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Data: 20/02/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Politica in fibrillazione - Pd a congresso La minoranza: così è scissione. Renzi: non si tratta più. E chiude sulle alleanze

ROMA L'Assemblea del Pd ha fornito pochissime notizie in chiaro, seminascoste dalla guerra delle parole (alcune peraltro d'alto profilo tali da dar senso a uno spettacolo per certi aspetti surreale) fra renziani e antirenziani. I fatti accaduti nella giornata di ieri sono due: il segretario del Pd Matteo Renzi ha formalizzato le proprie dimissioni e i Democrat hanno avviato il Congresso. Domani la Direzione (per statuto) dovrebbe decidere le date e altri dettagli come le commissioni di garanzia e quant'altro. Se in queste ore non si raggiungerà un accordo, le primarie dovrebbero tenersi domenica 9 aprile, altrimenti saranno spostate a fine aprile o a metà maggio.
IL RITARDO
E la scissione? Già, anche ieri la scissione non è partita. Tanto che intorno alle 21 la testata HuffingtonPost.it, non sospettabile di simpatie renziane, titolava proprio così: «Neanche oggi l'annuncio».
Eppure poche ore prima - a breve distanza dalla chiusura della lunga Assemblea - erano stati i tre candidati della minoranza, Michele Emiliano, Enrico Rossi e Roberto Speranza, a scrivere in un comunicato la parola scissione addebitandola al segretario. «È ormai chiaro che è Renzi ad aver scelto la strada della scissione assumendosi una responsabilità gravissima». La prova? Secondo Speranza, Rossi ed Emiliano di fronte al «generoso tentativo unitario» della minoranza il segretario non avrebbe neanche replicato in sede di Assemblea.
Resta il fatto che ieri nessuno ufficialmente ha reso noto il nome della nuova formazione né la nascita dei gruppi parlamentari autonomi (che garantiscono anche entrate economiche). Sempre ufficialmente si sa che né Speranza, né Rossi, parteciperanno alla direzione mentre Emiliano, che come Rossi è presidente di Regione e dunque è interessato a mantenere in piedi anche la propria Giunta, continua a tenere aperto un canale di mediazione.
Proprio Emiliano era stato protagonista nel pomeriggio, in piena Assemblea, di un intervento sorprendente, tutto giocato su toni pacati e conciliatori («Ho fiducia nel segretario»; «Si soffre moltissimo davanti ad una platea meravigliosa») nel quale aveva negato di aver chiesto a Renzi nei giorni scorsi di non candidarsi al Congresso.
Sul piano del marketing o, se si preferisce, del confronto dialettico l'intervento di Emiliano è stato una delle poche frecce scoccate dal fronte antirenziano. Bersani è intervenuto nel pomeriggio da una trasmissione tv, mentre le minoranze si sono fatte rappresentare da Guglielmo Epifani, che ha ricordato i molti errori del governo Renzi senza però presentare una piattaforma programmatica.
La regia renziana dell'evento è stata calibrata al millimetro. Spazio ai mediatori come Andrea Orlando e Cesare Damiano. Spazio agli indipendenti con l'intervento pregiato di Walter Tocci. Molto spazio ai padri del Partito Democratico (Walter Veltroni, Franco Marini, Piero Fassino) provenienti soprattutto dai Democratici di Sinistra. Dal palco ha parlato anche Teresa Bellanova, ex sindacalista Cgil oggi al ministero dello Sviluppo, per rivendicare «d'aver fermato in Italia le fabbriche di lavatrici Electrolux che stavano per essere trasferite in Turchia». Anche la relazione introduttiva di Renzi è stata infarcita di citazioni dei padri del Pd per sottolineare la pretestuosità della scissione. «Peggio della scissione c'è solo il ricatto - ha detto Renzi - Io ho pensato a rinunciare alla ricandidatura. Ma poi ho deciso altrimenti, perché il copyright della parola sinistra non è di una parte sola».

ROMA «Volevano che noi rifacessimo la Margherita e loro i Ds, ma Fassino e Veltroni hanno chiarito che indietro non si torna e, soprattutto, che non sono loro ad essere i depositari della parola sinistra». Soddisfatto e poco propenso a ragionare su cosa faranno adesso Speranza, Rossi e Emiliano, Matteo Renzi lascia l'hotel Parco dei Principi con in braccio il Tapiro d'oro di Striscia la Notizia. A difesa del Pd e a sostenere le sue ragioni, non i super-renziani, ma le vecchie glorie dell'Ulivo e del Pd. A cominciare da Walter Veltroni che ritorna sulla scena dopo anni di assenza e si riprende la sua rivincita incassando un lunghissimo applauso da coloro che vedono ancora i baffi di D'Alema dietro la scissione.
LUOGO
Le dimissioni da segretario e l'avvio della fase congressuale sembrano sollevare Renzi dal compito di guidare un partito alle prese ora con una lunga serie di appuntamenti procedurali. «Ora è tutto in mano ad Orfini», sostiene l'ex segretario che dice di volersi concentrare sull'appuntamento del 10 e 11 marzo al Lingotto. Due giorni a discutere di programma in un luogo non casuale visto che proprio nei padiglioni dell'ex fabbrica Fiat di Torino, Walter Veltroni nel 2007 lanciò la sua candidatura a primo segretario del Pd. Un anno appena e poi il leader dell'I care fu costretto al passo indietro da Massimo D'Alema. Il ricordo che dal palco fa lo stesso Veltroni della sinistra rissosa degli ultimi vent'anni non poteva non iniziare con il 98 quando D'Alema fece cadere il governo Prodi per sostituirlo a palazzo Chigi. Stesse lotte intestine e nomi che ricorrono anche ora che la scissione sembra cosa fatta. Almeno per la sinistra bersaniana che sino all'ultimo aspetta, invano, la replica dell'ex segretario.
Lui, Renzi, è convinto di aver fatto molte concessioni pur di tenere unito il partito. I tempi del congresso sono più lunghi di quelli immaginati dall'ex sindaco di Firenze. Di voto a primavera non parla più da tempo e «il rapporto con Paolo (Gentiloni ndr) è fuori discussione», sostiene Renzi. La speranza di poter cambiare la legge elettorale resta, anche se l'ormai ex segretario non si fa troppe illusioni visti i no dei pentastellati e l'attendismo di Berlusconi. Sul punto «il più chiaro è stato Giachetti» ricorda. Il vice presidente della Camera chiede di portare in aula il sistema uninominale del Mattarellum perchè è la legge «che ci trova tutti d'accordo». Al netto delle scissioni, ovviamente. Ad avvisare i potenziali scissionisti provvede dal palco l'insolitamente poco morbido Dario Franceschini: «E' davvero difficile in un tempo così corto avere una scissione e poi andare insieme alle elezioni». Nessuna legge elettorale con premio di coalizione e comunque nessuna alleanza, quindi, per coloro che pensano di andar via. «E se se ne andranno», sostenevano a tarda sera al Nazareno dopo l'ennesima frenata degli scissionisti.
Si capisce che Renzi ha fretta di chiudere lo psicodramma per concentrarsi sulle cose da fare, ma da Emiliano persino Lorenzo Guerini, sceso con Renzi al rango di ex vicesegretario, si attende sorprese. La poco nascosta voglia del governatore della Puglia, e magistrato in aspettativa, di sfidare Renzi al congresso potrebbe certificare la spaccatura del fronte del congresso-sì-ma-non-ora già in parte certificata dal palco dove Emiliano parla disattendendo gli accordi con Rossi e Speranza.
In attesa di comprendere cosa faranno i tre del teatro-Vittoria e soprattutto cosa farà Emiliano, i nomi di possibili candidati alla segreteria del Pd aumentano. Ultimo quello di Cesare Damiano. L'ex ministro ieri all'assemblea ha ricordato la sua esperienza nel Pci, non ha risparmiato critiche a Renzi ma ha anche spiegato che intende fare la sua battaglia dentro il Pd. Un annuncio di candidatura da parte di un esponente politico che ha la stessa storia politica di Bersani. Tenere unito il Pd e le sue due anime originarie, i Ds e la Margherita, significa per Renzi concedere agli scissionisti lo stesso spazio che a sinistra Achille Occhetto lasciò nel 1991 a coloro che non accettarono la nascita del Pds e diedero vita a Rifondazione Comunista.
TOUR
Assemblea programmatica e poi il congresso del Pd da celebrare entro aprile, il 9 o il 23, in modo - ragionava ieri sera Renzi - da avere il tempo per la campagna elettorale per le amministrative. In mezzo un tour per i territori e le federazioni del partito che, in vista delle amministrative, avranno bisogno del simbolo del Pd per presentarsi alle elezioni di giugno. E così l'assemblea della scissione diventa per Renzi l'occasione per mostrare alla sinistra chi ha veramente in mano non tanto il partito, quanto la sua eredità politica. Con Renzi non ci sono solo gli ex Pci Fassino, Veltroni, De Vincenti e l'applauditissima Bellanova, ma anche un anziano ma lucidissimo leone ex Dc come Franco Marini che senza mezzi termini dice a Guglielmo Epifani - che in assemblea funge da portavoce dei tre dissidenti - «di non aver capito bene cosa vuole» e che la disputa sul calendario è incomprensibile così come «pensare che si possa tenere aperto un congresso durante le elezioni amministrative». Emiliano, il «disperato», come lui stesso si è definito, alla fine potrebbe fare piatto decidendo all'ultimo di rimanere nel Pd e, senza Speranza e Rossi, raccogliere intorno a sè coloro che contestano il Renzi-segretario con il quale - al momento opportuno e forse anche in vista del voto di settembre - trattare i posti in lista.

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