L'AQUILA Dal governatore Luciano D'Alfonso avrebbe ricevuto un aiutino per superare un ostacolo, che avrebbe potuto portare il Comune di Penne ad uno sforamento del patto di stabilità. Ma per la Procura dell'Aquila, questo presunto intervento si sarebbe tramutato in una vera e propria «una pressione indebita» sulla quale occorre indagare. C'è anche l'ex sindaco di Penne, Rocco D'Alfonso, accusato di abuso d'ufficio, tra gli indagati (in cui figura per sua stessa ammissione anche lo stesso governatore Luciano D'Alfonso) nel filone d'inchiesta relativo alla città pennese che ruota attorno alla vendita nel 2015, di un immobile (fondaco) all'interno di un palazzo storico dove ha sede il liceo scientifico, di proprietà comunale. Con il rischio di non rispettare il patto di stabilità e dunque di un dissesto, il sindaco (che a Pescara fa parte dello staff dello stesso governatore) aveva deciso di vendere l'immobile (dopo che per 15 anni era stato in affitto) allo stesso locatario, un commerciante di piante. L'ostacolo sarebbe stato rappresentato non tanto da un vincolo posto dalla Soprintendenza per il quale si sarebbe dovuto attendere la sua decandenza per portare a termine l'operazione immobiliare, ma soprattutto dai ritardi della commissione ad hoc che avrebbe dovuto esprimere un parere sul punto. Di qui, secondo la ricostruzione della Procura, il ricorso di Rocco D'Alfonso per ragioni di chiusura del bilancio al governatore della Regione, il quale avrebbe contattato un rappresentante dei beni Culturali per sollecitare il parere. Tradotto secondo l'accusa, «una pressione indebita» per favorire la decadenza del vincolo e permettere la vendita dell'immobile. Operazione, quella dello svincolo, che poi è avvenuta dopo poco tempo.
Intanto, sono slittati a questa mattina, gli interrogatori di Mauro Pellegrini, dell'impresa Dipe, difeso dall'avvocato Massimo Carosi, indagato nell'ambito del filone sulla gara per la ricostruzione all'Aquila, di palazzo Centi, (sede della Giunta regionale) di Berardino Di Vincenzo, ex alto dirigente dei Beni culturali, ora in pensione e consulente senza emolumento del presidente D'Alfonso, e il figlio Giancarlo, (assistiti dall'avvocato Emilio Bafile) architetto, coinvolti nello stesso filone con l'accusa di corruzione. «I miei assistiti ha detto il legale non hanno nulla da nascondere. Non c'è reato, perché palazzo Centi è della Regione e il rapporto è tra Regione e Soprintendenza, ma non con l'ufficio dell'architetto che ha gestito decine e decine di milioni di euro, senza finire mai sotto inchiesta o sotto processo. Ora ci è finito per una gara non del suo settore».