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Data: 25/02/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Primarie il 30 aprile, sfuma il voto a giugno

ROMA All'unanimità. Una parola che non si sentiva nel Pd temporibus illis, ma è andata così. Le primarie per il nuovo segretario sono state fissate al 30 aprile, e almeno su questa data si sono alla fine ritrovati tutti d'accordo nella commissione per il congresso dove sono presenti tutte le correnti. Non che sia stato facile: fino all'ultimo è stato ingaggiato un braccetto di ferro tra quanti volevano il 9 aprile e quanti chiedevano più tempo; poi si è arrivati al 23, vigilia di lungo ponte del 25 aprile, e si è valutato che no bbuona neanche questa, e si è approdati al 30 aprile.
Dietro il braccetto di ferro c'è chi vi ha visto uno scontro politico politico, nel senso che si attribuiva a Matteo Renzi la volontà di voler forzare i tempi per poi forzare sulla data delle elezioni anticipate (l'election day a giugno), anche se era l'ex premier in persona che da giorni andava ripetendo che «giugno ormai non esiste». Lo ha spiegato bene Piero Fassino tra i primi a intervenire in direzione: «Le primarie al 30 di aprile chiudono ogni dibattito su elezioni a giugno, e comunque non c'è nesso tra congresso Pd e sostegno al governo Gentiloni». E anche se non c'è nessuna legge regolamento comma che vieta di aprire crisi di governo e sciogliere il Parlamento in presenza di primarie di partito, dal punto di vista politico il segnale è chiaro e netto, e somiglia molto a una pietra tombale sul voto anticipato.
LA ROAD MAP Uno dei motivi che più hanno spinto per i gazebo prima delle amministrative, lo ha illustrato aprendo la direzione Lorenzo Guerini: entro il 7 maggio ci sarà il nuovo segretario del Pd, in tempo appena sufficiente per poter riappropriarsi del simbolo e poter firmare le carte e i moduli opportuni per correre alle amministrative (in assenza del segretario, il simbolo del partito è sospeso). Gazebo dunque il 30, quindi proclamazione del nuovo leader una settimana dopo in assemblea nazionale, con avvertenza d'obbligo, ricordata a ogni primarie, che se nessun candidato raggiunge il 50,1 per cento alle primarie, il segretario viene eletto con ballottaggio tra i primi due dall'assemblea stessa. Ma non sono queste le avvisaglie.
Uno che se ne intende come Massimo D'Alema, ormai fuori dal Pd, ha annunciato che non parteciperà alla conta, ha riconosciuto che Renzi ha buone possibilità di essere riconfermato, aggiungendo che ove mai dovesse prevalere Orlando «si potrebbe riaprire il dialogo» (non si sa al momento se il Guardasigilli abbia gradito o meno l'endorsement). «Non c'è stata nessuna forzatura, ma solo l'accortezza di essere pronti per le amministrative, in linea con le richieste di Orlando», hanno spiegato i renziani. E Guerini, concludendo la breve direzione, ha ricordato a quanti parlano di «congresso lampo» che la volta scorsa nel 2013 durò 71 giorni, questa volta sarà di 66. Perplessità ha espresso l'emilianeo Francesco Boccia, che avrebbe voluto la chiusura del tesseramento oltre il 28 febbraio, e perplesso è rimasto Gianni Cuperlo che continua a definire i tempi del congresso «una forzatura» (aveva proposto luglio), perplessità e contrarietà che si sono espressi alla fine con 3 voti contrari e 2 astenuti, 104 i favorevoli. Un'avvertenza politica e non di calendario ha voluto esprimere Patrizia Toia: «Evitiamo che queste primarie salgano nei toni oltre il dovuto, ognuno deve dire solennemente che chiunque vinca poi si riconoscerà nell'altro, frasi del tipo non ho fiducia non devono avere cittadinanza».
SFIDA A TRE Sarà una sfida a tre: Renzi, Emiliano, Orlando. Più che Il buono, il brutto e il cattivo, somiglierà a I tre moschettieri o I tre dell'ave maria, condannati a stare insieme. I riflettori si spostano oggi sui fuoriusciti dem, che in un luogo freak a Testaccio presentano nome e progetto. Convocati da Roberto Speranza, si daranno appuntamento i parlamentari bersaniani freschi di uscita dal Pd (12 al Senato, 20-19 alla Camera) che assieme ai fuoriusciti di Arturo Scotto da Sel daranno vita a gruppi autonomi. Si dovrebbero chiamare Democratici e progressisti, la sigla fa Dp, ma tant'è, di tempo da allora ne è passato, e comunque le dinamiche attuali ricordano parecchio le stesse dei tempi in cui i gruppuscoli si dividevano e ricomponevano a go go.

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