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Data: 25/02/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Stadio, c’è l’accordo ma tagliate cubature ed opere pubbliche. Così Parnasi finanziò a pioggia i consiglieri

ROMA «Dimezziamo l'Ecomostro. È il massimo che possiamo fare», dice, stanca, Virginia Raggi ai suoi consiglieri comunali, dopo quasi tre ore di riunione a Palazzo Senatorio. Anche perché, terminato quel vertice con la maggioranza, nell'agenda della sindaca c'è un altro appuntamento ancora: alle nove di sera salgono le scalette accanto alla Lupa il direttore generale della Roma, Mauro Baldissoni, e il costruttore Luca Parnasi. Sono a Palazzo Senatorio per «chiudere» la trattativa sul nuovo stadio giallorosso a Tor di Valle. Fuori dal Campidoglio, un manipolo di tifosi intona cori pro-stadio fin dal primo pomeriggio (ma la sindaca non può sentirli, perché in quel momento si trova all'ospedale San Filippo Neri per accertamenti dopo un lieve malore). A fine serata la Raggi dà l'annuncio: «Via le torri, le cubature sono dimezzate. Abbiamo evitato il progetto monstre ereditato dalla precedente amministrazione». E Beppe Grillo rilancia su Twitter con un hashtag: «#UnoStadioFattoBene»
La piega che prende la giornata - con la sindaca che cede alla realizzazione dello stadio con il dimezzamento delle cubature private - si capisce intorno a mezzogiorno, quando sul blog del Garante appare un post che scomunica i meet up grillini che in questi giorni hanno protestato contro l'operazione immobiliare. «Il cosiddetto tavolo urbanistica M5S - si legge sul blog - non parla a nome del Movimento 5 Stelle e non è titolato a farlo». «Beppe fa capire a tutti che sta con la sindaca», confida un parlamentare vicino a Grillo. Anche l'ex capogruppo Vito Crimi fa intuire che l'accordo è vicino: «Una cosa la posso assicurare: stupiremo tutti, con qualcosa di straordinario».
LA FRONDA L'incontro viene rimandato di ora in ora: prima è fissato intorno alle 14, poi slitta alle 16, poi alle 18. Alla fine i privati arrivano nella sede del Comune di Roma alle 9 di sera. Fino alle 18 la sindaca è stata in ospedale, poi ha dovuto convincere i suoi che l'operazione, pur scavallando ampiamente i limiti del Piano regolatore generale, era il «miglior risultato possibile», considerando che «questo progetto noi lo abbiamo ereditato». Accanto a lei c'è l'avvocato del Movimento, Luca Lanzalone, che tiene i fili della trattativa con i privati.
Il taglio finale alle cubature private è del 50% rispetto al progetto originario (del 60% per il business park), dopo una trattativa che era partita da una proposta della Roma e di Parnasi che prevedeva una riduzione delle volumetrie intorno al 35%. Ma era un piano che non poteva convincere tutti i consiglieri pentastellati, soprattutto la fronda degli ortodossi fedeli alla linea del «No alla speculazione». La sindaca sposta ancora l'asticella e alla fine cede ai privati. Poi comunica l'intesa alle dieci e mezza (ovviamente via Facebook): «Tre torri eliminate; cubature dimezzate, addirittura il 60% in meno per il Business Park». Per la Raggi, «abbiamo rivoluzionato il progetto. Abbiamo sempre detto di essere favorevoli alla realizzazione dello stadio ma nel rispetto della legge». Per la Roma parla prima il diggì Baldissoni, «l'accordo che migliora il progetto, è un giorno storico», e poi il presidente James Pallotta: «Comincia un nuovo capitolo, non vediamo l'ora di costruire».
LE INFRASTRUTTURE Ma insieme alle cubature, anche le opere pubbliche verranno tagliate rispetto a quelle definite dalla delibera del 2014. Alcune opere come il ponte sul Tevere e lo svincolo della Roma Fiumicino vengono rinviate a data da destinarsi, anche dopo l'apertura dell'impianto. Ieri sera la prima cittadina prometteva che comunque «realizzeremo una stazione nuova per la ferrovia Roma-Lido, si accorceranno i tempi per andare a Ostia, metteremo in sicurezza l'area circostante». Salta invece il prolungamento della metro B.
C'è poi il nodo dei tempi: tagliando le opere pubbliche, rischia di decadere la conferenza dei servizi che scade il prossimo 3 marzo, anche se i privati, come sembra, chiederanno la proroga di un mese. L'iter a quel punto dovrebbe ripartire da capo: nuovo progetto, nuove autorizzazioni, nuovi elaborati definitivi.


Così Parnasi finanziò a pioggia i consiglieri

ROMA Cortesie per gli ospiti. Come aiutare la dura campagna elettorale di destra, sinistra e centro sapendo che poi gli stessi eletti dovranno votare sì o no in Aula Giulio Cesare sul proprio progetto. È la storia dei contributi elettorali elargiti a pioggia dalle società di Luca Parnasi ai consiglieri comunali che poi, un anno e mezzo dopo, alzeranno la mano per il progetto di Tor di Valle. Niente di illegale. Di sicuro, una prassi molto romana nell'accezione negativa del termine. Morale della favola. A beneficiare dei contributi, di entità compresa tra i 4 e i 30 mila euro, fu buona parte di quella che sarebbe poi stata la maggioranza a trazione Pd. La vittoria di Ignazio Marino, all'alba della campagna elettorale del 2013 per il Campidoglio, era considerata molto probabile, con un Gianni Alemanno in caduta nei sondaggi e un Movimento 5 Stelle ancora non abbastanza forte per competere. Ma, come rivelato dal vice direttore di Libero Franco Bechis, a incassare i contributi elettorali delle società riconducibili al gruppo guidato da Luca Parnasi, in pieno clima bipartisan furono i candidati al consiglio comunale di diversi partiti, dal centrodestra alle liste civiche, con l'eccezione dei quattro esponenti del M5S.
Si tratta di finanziamenti denunciati dai singoli consiglieri e consultabili da tutti. Ma è la prassi che testimonia uno scenario preoccupante. Ieri la vicenda è stata al centro del dibattito sui social network e sulle radio romane, con un minimo comun denominatore: lo stadio della Roma di Tor di Valle e la delibera con la quale l'assemblea capitolina, il 22 dicembre 2014, riconobbe la pubblica utilità al progetto presentato dai proponenti.
FAVOREVOLI E CONTRARI Tanti gli esponenti dell'aula Giulio Cesare, durante la passata consiliatura, avevano quindi ottenuto aiuti per la campagna elettorale dal gruppo interessato alla costruzione di quello che le associazioni ambientaliste definivano l' «Ecomostro» di Tor di Valle. Molti consiglieri hanno votato a favore della delibera, altri invece si sono astenuti o addirittura schierati contro. «Alla fine ho votato sì, anche se durante l'iter della delibera ho fatto notare alcune cose che non mi convincevano, come le cubature, e ho insistito sulla realizzazione delle opere pubbliche indispensabili», ricorda Fabrizio Panecaldo, all'epoca coordinatore della maggioranza che sosteneva Marino e in seguito capogruppo del Pd. Panecaldo ammette di aver ricevuto un finanziamento «di cinquemila euro, regolarmente registrato e denunciato». Favorevole anche l'ex capogruppo dem Francesco D'Ausilio, che aveva lasciato la guida della pattuglia dopo l'esplosione dell'inchiesta su Mafia Capitale, e altri consiglieri di maggioranza che risultano aver ricevuto finanziamenti elettorali del gruppo di Parnasi. Dall'ex presidente della commissione urbanistica Antonio Stampete all'allora presidente della commissione Roma Capitale, Gianni Paris. Fuori dalla maggioranza voti positivi arrivarono da Forza Italia, con Giordano Tredicine e Davide Bordoni. Ma anche da Ignazio Cozzoli, eletto in una lista civica del centrodestra: «Sullo stadio ho una mia idea, che mi sono fatto in 12 sedute della commissione urbanistica - dice Cozzoli - e su quella ho espresso il mio voto: all'epoca della campagna elettorale non c'era alcun progetto presentato, né la legge sugli stadi».
I VOTI Tra i consiglieri in carica nel 2014 che avevano ricevuto finanziamenti ce ne sono anche alcuni che non hanno votato a favore della pubblica utilità dello stadio di Tor di Valle. Ricca la pattuglia di chi non ha proprio partecipato alla votazione della delibera: in primis l'ex inquilino del Campidoglio, Gianni Alemanno, seguito dalla sua ex vicesindaco, Sveva Belviso, e da Giovanni Quarzo, all'epoca esponente di Forza Italia. Tra gli astenuti c'era invece Lavinia Mennuni, presidente della commissione trasparenza e consigliere di Fratelli d'Italia. Un altro rappresentante di Fdi, Dario Rossin, si espresse addirittura contro. Così come Alessandro Onorato, capogruppo della Lista Marchini, che in aula Giulio Cesare espresse le sue perplessità sull'esiguità delle opere pubbliche da realizzare, e poi disse no.



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