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Data: 26/02/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Privatizzazioni - Poste e Fs, privatizzazione più lontana

ROMA Sul taccuino dei bookmaker le quotazioni per la privatizzazione dell'Alta velocità delle Ferrovie e di una nuova tranche di Poste sono in deciso ribasso. Dopo i dubbi espressi dal sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli e quelli del ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, all'interno del Partito Democratico la schiera dei frenatori si sarebbe allargata. Il contrappeso, per adesso, è rappresentato soprattutto dal ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, dal suo capo della segreteria tecnica, Fabrizio Pagani, e dal ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda. Insomma, un fronte Pd contro un fronte governativo. Per ora, però, è il primo che starebbe prevalendo. Anche perché per portare sul mercato le due società, sono necessari dei passaggi parlamentari che potrebbe essere rischioso affrontare senza avere la certezza dei numeri.

L'OPERAZIONE Per la seconda tranche di Poste, era previsto il collocamento di un'altra quota del 30% dopo quella del 35% portata a termine dall'attuale amministratore delegato Francesco Caio. Nei piani del ministero, questa seconda operazione avrebbe dovuto portare nelle casse dello Stato circa 2 miliardi di euro. I soldi, come promesso all'Unione europea, avrebbero dovuto essere utilizzati per abbattere il debito pubblico. Tuttavia, a pesare su una nuova operazione Poste, non ci sarebbero solo i dubbi di tipo politico. Ci sarebbero anche una serie di questioni tecniche, di mercato. Il titolo delle Poste era stato collocato a 6,75 euro per azione. Adesso in Borsa viaggia ben lontano da quel livello, bloccato attorno ai sei euro. Sarebbe difficile immettere sul mercato una nuova tranche a un prezzo inferiore alla prima. C'è poi un altro ragionamento, basato su alcuni calcoli che iniziano a circolare e che avrebbero fatto breccia anche in qualche settore del Tesoro.

I CONTEGGI Poste ha iniziato a produrre utili di una certa consistenza. Tramite la Cassa Depositi e Prestiti che controlla la società, poco più della metà degli utili generati dalle Poste rientrano nelle casse del Tesoro. Il flusso di dividendi sarebbe maggiore del risparmio di interessi sul debito che il riacquisto di 2 miliardi di titoli pubblici permetterebbe di ottenere. A questa obiezione, in realtà, Padoan ha già in qualche modo risposto sostenendo che le privatizzazioni non sono la via maestra per ridurre il debito. Servono a quello, ma non solo. Il fatto,ha già spiegato il ministro, è che «le privatizzazioni migliorano l'efficienza delle imprese partecipate dallo Stato come dimostra il caso di Poste, la cui efficienza è aumentata di molto dopo la cessione della prima tranche». Dall'altro lato i parlamentari renziani, non hanno solo i conteggi dalla loro parte. Il discorso è politico. Giacomelli, nell'ultimo anno, è stato costretto a rispondere a decine di interrogazioni parlamentari sulla distribuzione a giorni alterni della corrispondenza soprattutto nei piccoli paesi. Un effetto, questo, proprio della privatizzazione e della necessità di rendere efficiente la società. C'è però anche un altro aspetto che è entrato nel dibattito. Le Poste, in fin dei conti, raccolgono il risparmio degli italiani, oltre ad essere uno degli acquirenti del debito pubblico. In questo senso è una società strategica come lo sono le Generali o le grandi banche. Il governo, è il ragionamento, dovrebbe tenerne saldamente il controllo. Un'ipotesi (difficile) di compromesso, potrebbe essere quella di non quotare più il 30%, ma solo un altro 15%, tenendo la quota pubblica sopra il 50%.
Se la privatizzazione di Poste si allontana, quella dei Frecciarossa è ormai praticamente archiviata. Tanto che all'interno dello stesso gruppo ferroviario, si starebbe già ragionando se rinunciare anche alla societarizzazione dell'Alta velocità.

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