Quattrocento aborti ogni anno, due soli medici non obiettori in una pianta organica di 24, un servizio, quello delle interruzioni volontarie di gravidanza, che in tutto l'Abruzzo viene garantito solo ad Avezzano e Pescara. O meglio Penne, dove il reparto, come spiega il direttore generale della Asl cittadina, Armando Mancini, è stato trasferito per assicurare maggiore riservatezza e privacy. I numeri spiegano meglio di qualsiasi dissertazione che si tratta di una prestazione sanitaria sulla quale grava il peso di una scelta, quella dell'obiezione di coscienza da parte dei ginecologi, che fa emergere luci e ombre della legge 194 e dell'irrisolto dissidio tra il diritto delle donne di interrompere la gravidanza e quello dei sanitari di esimersi dal praticare l'aborto.
«Finora - spiega Mancini - siamo riusciti a garantire il servizio rispettando le richieste, ma abbiamo ben presente che quest'anno uno dei due medici non obiettori andrà in pensione e la legge non ci permette di indire un concorso per ginecologi non obiettori. D'altra parte, la stessa possibilità di un concorso deve tenere conto dei vincoli legati al blocco del 50% delle assunzioni e al tetto di spesa regionale».
LA RICETTA DI ACERBO La percentuale dei medici obiettori in Abruzzo nel 2013 raggiungeva picchi dell'80%. Una stima in aumento che alimenta le polemiche e le proposte di seguire la strada intrapresa dalla Regione Lazio nella scelta di pubblicare un bando per ginecologi non obiettori. Che sia questa una valida soluzione ne è convinto il segretario di Rifondazione comunista, Maurizio Acerbo, che, dati alla mano, osserva: «L'Abruzzo è come il Lazio, abbiamo la stessa percentuale di medici obiettori, vale a dire l'80,7%. Non è il caso di fare guerre di religione, ma di fare in modo che nel servizio sanitario sia garantita l'applicazione di una legge dello Stato. Anche la nostra regione dovrebbe seguire l'esempio del Lazio».
DIRITTI CONTRAPPOSTI La soluzione, in realtà, andrebbe ricercata nella modifica della 194, perché, come sottolinea Mancini, «fintantoché le disposizioni normative resteranno quelle attuali ci troveremo sempre di fronte a due diritti contrapposti, quello di abortire e quello di esercitare l'obiezione di coscienza». Dietro cui, forse, più che considerazioni etiche e morali, si nascondono argomentazioni laiche e professionali. «La realtà - continua Mancini - è che i medici non obiettori vanno incontro a un effettivo demansionamento e sovraccarico di lavoro. Vale a dire che molti medici sono indotti a diventare obiettori perché in caso contrario si ritrovano a fare solo interruzioni di gravidanza e a vedere svilita la propria professionalità. Non si può pensare che un ginecologo possa ridursi a praticare soltanto aborti».
TUTELA DONNE IMMIGRATE La capacità da parte della Asl cittadina di portare avanti le attività senza disservizi ha ridotto drasticamente la pratica degli aborti clandestini. Problema che semmai potrebbe interessare le donne immigrate. «Credo - conclude il direttore della Asl - che l'attenzione andrebbe rivolta verso queste fasce di popolazione perché non sono informate e dunque non usufruiscono dei servizi sanitari disponibili. Per questo è plausibile pensare che possano, nel caso di gravidanze indesiderate, fare ricorso a pratiche e metodi non legali».