ROMA Niente bandiera rossa. Questa volta si punta sulla Costituzione, sull’articolo 1 quello che recita «L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro». Enrico Rossi, Roberto Speranza e l’ex Sel Arturo Scotto e tutta la pattuglia dei bersaniani presentano a Roma il movimento democratici e progressisti (Mdp), la nuova formazione che sarà in campo «per unire il centrosinistra e fermare la deriva centrista del Pd di Matteo Renzi». Il simbolo non c’è ancora (è in grafica) ma anche sul nome che ai più vecchi ricorda Democrazia proletaria, già si addensano nubi. I calabresi di Oliviero rivendicano il copyright della sigla democratici e progressisti e già minacciano azioni legali. Sul palco non c’è Michele Emiliano che al teatro Vittoria, la prima uscita del gruppo scissionista, era tra i più decisi a lasciare il Pd. E in platea non ci sono né Bersani né D’Alema, a simboleggiare il passaggio di testimone con i quarantenni. «Non saremo una ridotta rossa ma una forza di governo che vuole riconnettere il popolo al centrosinistra e che ha come priorità il lavoro per le giovani generazioni», spiega Speranza. «Partiremo dal noi e non dall’io» aggiunge l’ex capogruppo del Pd alla Camera, certo che il Movimento non avrà problemi nella ricerca di un leader che rappresenti se stesso e tutti. Speranza elenca tutti i motivi del divorzio. A partire da quel «ciaone» del renziano doc, Ernesto Carbone. «Il vero nemico resta il populismo della destra che si batte sui contenuti», aggiunge Rossi che lancia un appello a quanti sono rimasti nel Pd, per battersi sulle cose concrete. «Non è un moderatismo di destra o di sinistra che ci potrà salvare», spiega Rossi. A molti chilometri di distanza la scena è di Vasco Errani. Per l’addio al Pd il commissario per il terremoto, ex presidente dell’Emilia Romagna sceglie la sede di Ravenna dove è tesserato. «Il terremoto è un impegno totalizzante ma non me la sono sentita di scegliere la comoda posizione di restare nascosto», dice commosso. «Non ho mai chiesto il congresso nè che Renzi non si candidasse alla primarie, ma non mi convince un’idea di democrazia fatta solo di popolo e di leader». «Il problema è che non siamo in tendenza con il Paese, parliamo di noi e spesso non ci ascoltiamo, detesto la deriva in cui siamo entrati in relazione al posizionamento e ai posti», aggiunge Errani che seguirà Bersani. Sul fronte del Pd intanto entra nel vivo la battaglia per le primarie del 30 aprile. E mentre dalla Cina Graziano Delrio riapre la possibilità di elezioni anticipate a settembre, Andrea Orlando attacca Renzi. «Lui va in California, io a Scampia» dice il ministro della Giustizia, che insiste sulla necessità di andare a recuperare i voti nelle zone dove il popolo ha voltato le spalle al Pd. Quanto al fatto che la sua candidatura sia stata sponsorizzata da Napolitano, Orlando dice di essersi candidato per evitare che la corsa alla primarie diventi lotta libera tra Emiliano e Renzi.