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Pescara, 24/07/2024
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Data: 27/02/2017
Testata giornalistica: Il Centro
Manovra e privatizzazioni. Padoan vuole accelerare. Il ministro dell’Economia stoppa voci su possibili dimissioni, resta il malumore «Vado avanti per il risanamento dei conti». Ma non gradisce la frenata su Poste

ROMA Pier Carlo Padoan non si dimette. E non ci ha pensato neppure per un momento. Una secca nota mattutina del ministero del Tesoro ha stoppato sul nascere la tempesta che si stava abbattendo ieri nei palazzi della politica dopo la lettura dei giornali. Un articolo della Stampa, con tanto di virgolettati, attribuiva al numero uno del dicastero di via XX Settembre l’intenzione di abbondonare l’incarico, deluso in particolare dalla lentezza con la quale il governo starebbe procedendo sul fronte delle privatizzazioni. Padoan ha fatto sapere di voler andare avanti con determinazione «per proseguire nei prossimi mesi l’azione di riforma, di risanamento dei conti e di sostegno alla crescita avviata dal governo nel 2014». Il retroscena che attribuisce al ministro dubbi sulla prosecuzione del suo incarico, ha poi specificato il Mef, è «totalmente privo di fondamento e i virgolettati che gli vengono attribuiti sono frutto di fantasia». Una smentita alla quale ha fatto seguito la precisazione del quotidiano torinese. «La Stampa - si legge in un comunicato - non ha mai scritto che il ministro dell’Economia, Padoan, sta per dimettersi, abbiamo registrato un suo sfogo sulla tentazione di farlo e confermiamo tutto quello che abbiamo scritto» la replica. Schermaglie. Ma la sostanza resta. Il ministro dell’Economia, dimissioni accarezzate o no, è davvero in rotta di collisione con l’esecutivo del quale fa parte? Chi lo ha sentito racconta di un uomo determinato a portare avanti il suo lavoro, a cominciare dalla difficile prova della manovra correttiva da 3,4 miliardi da varare in primavera per scongiurare l’apertura della procedura d’infrazione minacciata da Bruxelles per debito eccessivo. Però le voci di dentro non negano che il ministro è contrariato per la piega a rilento che sta prendendo il dossier privatizzazioni. A cominciare dalla seconda tranche di Poste italiane da mettere sul mercato. Al rinvio deciso lo scorso autunno ne sta probabilmente per seguire un altro, motivato questa volta non più dall’incertezza dei mercati ma da quella della politica. O quantomeno da alcuni mal di pancia interni al Pd. Poste e Ferrovie sono aziende strategiche, fornitrici di servizi pubblici che, nei ragionamenti di ambienti dem, potrebbero essere compromessi dalla presenza di soci privati. Dopo l’Ipo di ottobre 2015, in cui il governo ha deciso di far debuttare il Borsa il 35% circa della società guidata da Francesco Caio, incassando oltre 3,3 miliardi di euro, un Dpcm del maggio 2016 aveva previsto la possibilità di quotazione dell’ulteriore partecipazione in mano al Tesoro, pari a poco più del 29%. L’obiettivo di incasso era questa volta di circa 2 miliardi e la tempistica inizialmente ipotizzata era l’autunno 2016. Le difficoltà sui mercati e le incertezze legate al referendum costituzionale avevano poi spinto il governo a soprassedere, rimandando l’operazione ad un momento più favorevole per il titolo a Piazza Affari. L’idea, confermata poco più di una settimana fa da Carlo Calenda, è diventata dunque quella di procedere entro l’estate. Nonostante l’attesa per il rinnovo dei vertici, i tempi tecnici ci sarebbero tutti, considerando che questa volta si tratta non di un debutto, ma solo della quotazione una nuova tranche. La decisione resta però tutta politica. Il ritardo delle operazioni fa storce il naso a Padoan. Il ministro conta proprio sugli incassi da privatizzazione per innescare il percorso di discesa del debito pubblico promesso all’Europa.

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