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Data: 01/03/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Sorti del governo appese a voucher e Finanziaria

ROMA «E' in corso la conferenza dei capigruppo e dobbiamo stare attenti che il Pd non metta in calendario qualche trappola». Poco dopo le quattro del pomeriggio Mario Mauro, e non solo, tira un sospiro di sollievo. Il Senato rinvia la riforma del processo penale e lo ius soli. Il primo finisce in buona parte in commissione e il secondo slitta di due settimane ancora «perchè non c'è accordo», spiega la neo vicepresidente del Senato Rosa Di Giorgi. Il debutto nella riunione della neo capogruppo di Dp Cecilia Guerra, aggiunge un componente alla pattuglia degli «sminatori». Ovvero al gruppo di coloro che dicono di voler arrivare al termine della legislatura e temono che possa arrivare in aula un provvedimento che spacchi la traballante maggioranza e spinga la corsa al voto.
Uno dei nodi è la riforma dei voucher. Oggi alla Camera si vedrà se si riuscirà ad evitare il referendum. Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro, è convinto che l'accordo sia a portata di mano, ma l'ex minoranza del Pd, ora Dp, frena e punta diritto al voto in aprile voluto dalla Cgil.

SLAVINA Scampato con il referendum il pericolo di diventare una sorta di museo per consiglieri regionali in trasferta, Palazzo Madama torna ad essere di nuovo centrale per comprendere i destini della legislatura. E' infatti al Senato che i numeri ballano da sempre e ora - almeno sulla carta - ancora di più dopo la nascita del nuovo gruppo Dp. Logico quindi che siano cresciute le attenzioni per evitare possibili slavine. «Non ho mai votato la fiducia al governo Gentiloni e dal Pd sono uscito nel 2014». Felice Casson, mancato sindaco di Venezia e vicepresidente della Commissione Giustizia del Senato, è entrato nel gruppo bersaniano direttamente dal Misto. «Valuteremo provvedimento per provvedimento - spiega l'ex magistrato - cercando di metterci del nostro e così faremo anche quando si discuterà della legge di Bilancio». Eh già perchè in aula tutto, o quasi, si può rinviare ma non la legge di Bilancio che ogni ottobre arriva in aula. Un appuntamento decisivo per le sorti della legislatura, non tanto e non solo per l'ammontare della manovra chiesta da Bruxelles, ma anche perché toccherà presto a Gentiloni capire già con il Def di aprile che possibilità ha di essere votata una manovra che ad ottobre si dovrà varare senza nemmeno la spada di Damocle della fine anticipata della legislatura e in un clima elettorale da tana liberi tutti che coinvolgerà anche gli attuali sostenitori di Gentiloni che non siedono nelle fila della maggioranza.

POSTA «Ma la legge di Bilancio la voteranno tutti e si va al 2018! Anche perché la maggior parte di quelli che sono qua non torneranno», sostiene sicuro il presidente della commissione Esteri Pier Ferdinando Casini. «Non la voto di sicuro. Sarà una manovra di tasse. Occorre recuperare 20 miliardi per colpa della mance di Renzi», incalza Mario Mauro. «Io sono uno pratico - è la premessa di Ugo Sposetti, senatore Pd che a sorpresa non ha seguito D'Alema nel nuovo partito - se non si vota la legge di Bilancio si va a votare». «E' proprio per questo che i renziani che sono qui sono ancora convinti che si possa andare a votare a giugno o al massimo a settembre», rivela Mauro, che non sottovaluta anche la possibile difficoltà che - sondaggi alla mano - potrebbe esserci dopo il voto a metter su una maggioranza e un governo e di conseguenza a metter mano in pochi giorni ad una legge di Bilancio che ad ottobre rischia di essere figlia di nessuno.

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