ROMA Questa volta a Napoli hanno mandato un ispettore, non un commissario, un Clouseau piuttosto che un Montalbano. A vestire i panni dell'ispettore più imbranato del cinema è toccato a Emanuele Fiano, milanese, che imbranato non è, ma il ruolo ispettivo se lo è assunto con convinzione. E subito ha deciso di sospendere la sezione Miani sotto il Vesuvio «in attesa di accertamenti», visto che questa volta lo scandalo ha riguardato le tessere, non le code di cinesi alle primarie o «ti dò un euro e tu vota a fimmina».
LE CODE
Tessere più che gonfiate, acquistate e vendute, con file davanti alla sezione incriminata, proprio l'ultimo giorno utile per iscriversi. C'è sempre un nome che gira e rigira, tal Michel Di Prisco, un misto francesizzante e meneghino, ma immancabile a ogni vicenda non proprio esemplare. C'era nel 2102 alle primarie dei cinesi in coda, c'era a quelle invalidate per brogli, e c'era a quelle del ricorso di Antonio Bassolino poi finito nel nulla. «Sì, Di Prisco è onnipresente quando c'è da far apparire in cattiva luce il Pd», attacca Marco Di Lello, che proviene dal Psi: «Ho chiamato Guerini, gli ho detto ma che altro deve succedere per intervenire pesantemente?. Nel Psi succedeva anche di peggio, ma almeno a Napoli stavamo al 20 per cento, adesso mi dicono che alcuni personaggi li tengono dentro perché hanno dei voti, ma dico, ora stiamo all'11, che altro deve succedere? La gente per bene così ci schifa, chi andrà a votare alle primarie?». Mentre l'ispettore Fiano chiude e sospende il circolo sotto accusa, da Roma, dal Nazareno, sia il vice Guerini sia il presidente Orfini promettono fermezza, ma l'impressione è che non si sappia come affrontare il caso, «siamo rimasti al 2011, quando Cozzolino vinse, lo sconfitto Ranieri fece ricorso e sollevò il caso, Bersani allora segretario inviò Andrea Orlando come commissario, ma gli stessi personaggi continuano a circolare e il Pd a Napoli diventa sempre più ininfluente», racconta uno che tutta la storia conosce bene da dentro.
LA CONTROMOSSA
Sul che fare, dal punto di vista politico, circola un'ipotesi, una suggestione forse, resa manifesta dall'Unità: i tre candidati alle primarie, Renzi, Orlando e Emiliano, si rechino insieme sotto il Vesuvio a sottolineare che il partito unito e compatto è tutto proteso ad affrontare e risolvere l'anomalia partenopea. A Napoli, fra l'altro, Orlando vorrebbe tenere quell'assemblea programmatica che aveva proposto in sostituzione del congresso. Ma in attesa degli sviluppi politici campani, ecco che scoppia con fragore un altro caso al Sud. Questa volta il luogo è Lecce, e la vicenda è più politica che di tessere. L'Huffington post ha reso pubblico un esposto di esponenti del Pd leccese nel quale si accusa il segretario della federazione di essere longa manus di Massimo D'Alema dentro il partito. «Lecce è l'unico posto in Italia dove gli scissionisti restano a loro comodo alla guida del Pd condizionandone indisturbatamente l'attività interna», si legge nell'esposto-denuncia di alcuni dem locali non dalemiani. Quanto alle tessere, «i dirigenti dei circoli commissariati (20) non le hanno neppure consegnate», mentre altri «hanno volutamente gestito in modo arbitrario il tesseramento locale».
Ma l'accusa più forte è quella politica: alcuni dirigenti leccesi, in sostanza, vengono accusati di avere svolto campagna attiva per il No al referendum e adesso, anziché uscire dal Pd come gli altri, se ne restano ai loro posti a sostenere le iniziative di conSenso, l'associazione ispirata da D'Alema sorta a cavallo del referendum. Emiliano non è chiamato in causa, ma se si parla di Puglia il suo interessamento è d'obbligo. «Ora si capiscono meglio i contorni di questa strana scissione, e sembra corrispondere al vero che, pur di combattere Renzi, l'unico suo vero obiettivo, D'Alema abbia dato indicazione ad alcuni di rimanere dentro il Pd per creare i maggiori problemi possibili e magari uscirne in un secondo tempo», spiega chi ha seguito fino all'ultimo i movimenti scissionistici dal Nazareno.