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Pescara, 24/07/2024
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Data: 03/03/2017
Testata giornalistica: Prima da Noi
Inchiesta Penne. D’Alfonso: «necessario infrangere la legge per l’interesse pubblico». Il ‘cittadino’ si difende dalle accuse della procura e spiega i fatti… poi si autoaccusa

ABRUZZO. «Se mi accusano di aver ucciso il vescovo di Canterbury e dimostro di non essere stato mai a Canterbury ed il vescovo è vivo non mi preoccupo».

Tra le tante metafore il presidente Luciano D’Alfonso è sceso letteralmente al piano terra per accogliere la stampa e sforzarsi di parlare in maniera semplice e comprensibile per tutti per «spiegare i fatti affinché si sappiano», «non vorrei che emergessero solo quelli della procura perché poi mia sorella in America si preoccupa».

Il presidente della Regione Abruzzo è sembrato tranquillo e pacato, senza forzature d’animo, ed è apparso nella sua difesa personale a tratti persino più istituzionale delle altre volte che parla per conto delle istituzioni. Per questo un paio di passaggi sono apparsi particolarmente stridenti.

Le accuse pesantissime di corruzione, istigazione alla corruzione e abuso nell’ambito ‘del filone Penne’ sono dirette alla persona Luciano D’Alfonso, anche se nella qualità di pubblico ufficiale ed esponente delle istituzioni, e per questo ci ha tenuto a sottolineare la differenza scherzando sull’utilizzo «improprio» della sala pubblica a fini privati «mi informerò se l’utilizzo della sala della Regione per fini personali pone a carico dei costi per la mia persone... mi informerò».

Il presidente ha voluto spiegare che le accuse a lui rivolte non possono avere fondamento anche se possono essere lette dagli accusatori in maniera diversa.

FACILITARE IL COMPITO DELLA STAMPA

«Non ho concordato nulla con i miei impositivi avvocati», ha detto tra l’altro spiegando di non aver detto nulla al difensore Giuliano Milia, «ho sentito il bisogno di dire il mio punto di vista sul ‘capitolo Penne’. Voglio facilitare il compito della libera stampa e non emotiva a ricostruire i fatti dopo queste gravissime accuse rivoltemi. Ieri mia sorella mi ha chiamato allarmata chiedendomi ‘che è successo?’ e pensavo fossero fatti nuovi...»

D’Alfonso ha citato il servizio del Tg5 di ieri sera che ha «connesso il mio nome, la mia faccia e la mia reputazione con accuse gravissime».

«Per mandato statutario ho il compito di aiutare i Comuni», ha detto, «e per formazione mentale li ritengo luoghi del bene vivere inventati da Dio, poi l’uomo ci ha messo i poteri. Se un Comune mi rappresenta una questione amministrativamente affrontabile io mi sento precettato, mi capita per qualsiasi Comune o coloratura. Non mi sento inseguito o perseguitato ma caratterizzato da una grande volontà di perseguire l’interesse pubblico. Non sono scandalizzato che si facciano riletture degli atti amministrativi ma dai danni che vengono rappresentate dalla stampa rispetto a queste accuse».

Nel suo eloquio, spesso interrotto da richieste di domande ai giornalisti che non sono arrivate, D’Alfonso con la stessa pacatezza ha fatto emergere il suo pensiero e la sua formazione politica e amministrativa, quella di sempre, arrivando tuttavia ad affermare cose dal grande peso specifico.

Ha detto: «Io credo che a volte la rottura delle leggi sia necessaria per perseguire gli interessi pubblici. Per esempio aprire un tribunale prima che sia collaudato: io l’ho fatto. Sottoporre a verifica una scuola in assenza di fondi idonei: io lo farò. Aiutare un comune a rispettare il patto di stabilità, l’ho fatto e lo farò sempre».


Il D’Alfonso pensiero, dunque, accetta la violazione della legge per perseguire un interesse pubblico fatto che -oltre che essere inappropriato per un rappresentante delle istituzioni- potrebbe configurare (oltre ad un reato) persino una contraddizione in termini o un ossimoro parossistico. La legge (giusta o sbagliata è la legge) serve in fin dei conti a tutelare il supremo bene comune che è il vivere sociale, infrangerla significa rottura delle istituzioni e dei beni che tutelano. Se poi ci sono leggi talmente tanto sbagliate da meritare di essere infrante la colpa non può che ricadere sulla politica...

L’affermazione comunque è servita per dischiudere la tesi difensiva dalfonsiana nello specifico procedimento penale.

«L’INTIMAZIONE»

A lui viene contestata una eccessiva pressione verso un responsabile della Soprintendenza che doveva emettere un parere tecnico-amministrativo per sbloccare la vendita di un immobile comunale, vendita che avrebbe consentito poi di incassare soldi utili per l’equilibrio di bilancio del Comune di Penne.

L’omonimo primo cittadino di Penne, Rocco D’Alfonso, chiama il governatore e gli dice: «abbiamo un problema, il parere non arriva e rischiamo di sforare il patto di stabilità se non riusciamo a vendere».

Una raccomandazione al potente governatore che tutto può e si innesca il caso giudiziario.

D’Alfonso alza il telefono e in una chiamata intercettata sollecita l’architetto Roberto Orsatti (che dice di non conoscere) a rilasciare parere positivo per l’alienazione.

Dalle poche cose emerse, le accuse della procura ruoterebbero proprio su una indebita pressione su un tecnico chiamato a rilasciare un parere, dopo una istruttoria tecnico-amministrativa la quale ha regole precise e basi ontologiche solide. Solo dopo ‘approfondita istruttoria’ -di solito- si emana il parere che è frutto di una serie di valutazioni deduttive. Sollecitare un esito specifico significa (agli occhi, anzi le orecchie, degli investigatori) compiere un abuso dei propri poteri.

Diverso sarebbe stato se D’Alfonso avesse sollecitato a fare in fretta ad emettere il parere qualunque esso fosse stato.

Sottigliezze?

Il presidente in un passaggio fugace ha confermato di aver ‘invitato’ il tecnico a rilasciare il parere utile al Comune di Penne, ecco allora il riferimento alla ‘rottura delle leggi’ per perseguire un interesse pubblico (che in questo caso sarebbe un bilancio in equilibrio del Comune di Penne).

TELEFONATA O MAIL?

Della telefonata però D’Alfonso non ha parlato mentre ha distribuito alla stampa una mail scritta dal segretario Claudio Ruffini sotto dettatura chiarendo che la volontà è integralmente del presidente della Regione dicendosi dispiaciuto per il coinvolgimento del suo braccio operativo.

«Ho ritrovato una mail firmata da Ruffini su mia volontà che rappresenta il bisogno di sollecitudine e solo casualmente è connessa ad una mail del vicesindaco di Penne», ha aggiunto, «la fattispecie di reato a me contestato ha bisogno anche del conseguimento di un interesse privato ma ‘quando si edifica una chiesa non ci può essere mai reato’ come diceva il vescovo Iannucci. Quando si concorre con il Comune a rinvenire un interesse pubblico ho difficoltà a trovare un interesse privato. Non conosco Orsatti. Se mi capitano circostanze di questo tipo sono portato senza riflessioni a replicare. Escludo per quanto mi riguarda un interesse privato che potrebbe riguardare l’acquirente e non so manco chi sia. Oggi ho scoperto essere un venditore di semenze al pomodoro e la conduzione commerciale va avanti da anni».

La mail è del 29 dicembre 2015, due giorni prima la scadenza dei termini per la caduta del vincolo necessaria per la vendita dell'immobile «'la mail - ha detto D'Alfonso - data il mio impegno nella vicenda, ora trovatemi un pelo fuori posto»'

Nella richiesta di proroga delle indagini la procura dell' Aquila ''accerta'' i reati contestati ''in Pescara e L'Aquila nel luglio del 2015, 16/12/2015 e tuttora persistenti''.
D'Alfonso era stato iscritto sul registro degli indagati il 16 dicembre di quell'anno insieme al suo segretario particolare Claudio Ruffini per corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, istigazione alla corruzione e abuso d'ufficio in concorso con altri.

Era stato lo stesso D'Alfonso, dopo il blitz dei carabinieri in Regione dello scorso 16 febbraio, a rivelare di essere stato iscritto nel registro degli indagati oltre che per le vicende dell'Ater di Pescara e il parco didattico del fiume Lavino, anche sulle vicenda di Penne, i cui contorni sono stati svelati successivamente.

«IN 25 ANNI FATTO 100 DI QUESTE COSE»

D’Alfonso poi ha detto di aver appreso che «il piano di alienazione del Comune di Penne fosse particolarmente spintonato dal revisore dei conti ma la mia condotta è stata lecita, dovuta e meritoria, mi aspetto una istruttoria per diventare cittadino onorario di Penne. Nell’arco di 25 anni avrò fatto 100 di queste cose, per i Comuni, per le scuole, per alcune università, ho usato una delle risorse che è il ‘protagonismo istituzionale’: se telefona il presidente segna velocizzazione e qui l’aspettativa era di velocizzazione».

Dall’incontro con la stampa è uscito un D’Alfonso strutturato, l’amministratore noto e conosciuto, pratico veloce ad ogni costo, che fa i fatti anche se qualche volta questi tradiscono quella volontà di «rompere le leggi» di cui ha parlato oggi.

Sulle accuse formulate, almeno al momento e sul caso Penne, allo stato si sa troppo poco per capire davvero come siano andate le cose e s ele accuse possano essere fondate o meno.

Alla fine forse preoccupano più certe visioni, certe interpretazioni e certi comportamenti degli uomini di Stato di oggi che le accuse giudiziarie.

Resta il fatto che infrangere la legge è sempre reato (persino quando appare giusto), anche spingere ad infrangere la legge è reato ed il solo fatto di dirlo pubblicamente, in un contesto ufficiale, non concede una amnistia.

Chissà se Milia avrebbe approvato.

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