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Data: 03/03/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Verdini condannato: 9 anni e interdizione perpetua dagli uffici. Ala e Lotti, doppia mina per Gentiloni al Senato

ROMA A sei anni dall'inizio dell'indagine e dopo una settimana di camera di consiglio, il verdetto è durissimo: nove anni di carcere e l'interdizione perpetua dai pubblici uffici per il senatore di Ala Denis Verdini. Associazione a delinquere, bancarotta e truffa, le accuse contestate all'imputato che, dal 1990 al 2010, è stato presidente del Credito cooperativo fiorentino e ha risposto anche dei fondi destinati all'editoria ed erogati alla Società toscana edizioni. E se il Tribunale, presieduto da Mario Profeta, non ha riconosciuto l'associazione a delinquere, per Verdini, la sentenza si è allontanata di poco dalle richieste dei pm Luca Turco e Giuseppina Mione, che avevano sollecitato una condanna a undici anni. Cinque anni e sei mesi le pene stabilite per i costruttori pratesi Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei, amici di affari del presidente, che avrebbero usufruito delle erogazioni quando la banca era già in sofferenza. Anche per loro è stata disposta l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Due anni e sei mesi, invece, la condanna per il deputato di Ala Massimo Parisi.
«Una sentenza già scritta», si sarebbe sfogato il senatore, che non era in aula ma è stato avvisato dai suoi legali.
LE ACCUSE
Era la banca che Verdini avrebbe utilizzato come un bancomat. Durante la requisitoria i pm hanno ripercorso le tappe di quella gestione dissennata che ha portato al default: Verdini - ha spiegato Turco durante la requisitoria - ha soddisfatto interessi personali e dei suoi amici in affari, seguendo un disegno di sistematica espoliazione della banca». A spingerlo sarebbe stato un duplice movente: «Denaro e potere». Perché «se si esercita l'attività di credito seguendo criteri personalistici, si assume una posizione di supremazia economica e politica». La banca era finita commissariata nel 2010, quando ispezioni di Bankitalia avevano rivelato le sofferenze. Ma il primo accertamento da parte di Palazzo Koch risaliva al 2006. Da allora, secondo l'accusa, il senatore conosceva la situazione di debolezza dell'istituto che presiedeva, ma «non ha mai avviato un'attività di risanamento», proseguendo in una gestione che ha portato al fallimento. Nessuno dei consiglieri di amministrazione e dei sindaci revisori si opponeva. Erano tutti «uomini del presidente». Tra le accuse anche quella di truffa ai danni dello Stato, per i fondi erogati a Il giornale della Toscana, dorso regionale de Il Giornale, e i settimanali locali Metropoli, editati dalle cooperative (la Società Toscana Edizioni srl e la Sette Mari scarl) che sarebbero servite a drenare i fondi pubblici. E infati avrebbero incassato più di 4 milioni all'anno di contributi tra il 2005 e il 2009.
LA DIFESA
Ad annunciare l'appello è Franco Coppi, uno dei legali del senatore: «Ci aspettavamo ben altra sentenza - commenta - considerando quanto il processo aveva posto in luce in favore di Verdini e non ci consola certamente la pur giusta assoluzione dall'accusa di associazione per delinquere. Per fortuna il nostro ordinamento prevede ancora il giudizio di appello ed attendiamo con impazienza di leggere la motivazione della sentenza per proporre contro di essa impugnazione».

Ala e Lotti, doppia mina per Gentiloni al Senato

ROMA «Lunga vita al governo!». Quando a metà dicembre Denis Verdini salutò così l'arrivo del governo Gentiloni annunciando che il suo gruppo non avrebbe votato la fiducia, a palazzo Chigi si sfregarono le mani. La sentenza del tribunale per il crac della banca di Credito cooperativo fiorentino era ancora lontana, ma erano già troppe le grane giudiziarie dell'ex consigliere di Berlusconi per permettere al toscano l'up-grade richiesto. Ovvero passare dal mero sostegno in Parlamento all'ingresso nel governo con tanto di ministri e sottosegretari.
UNIONI
Malgrado il pressing il tentativo di Verdini non andò in porto anche per le resistenze del Quirinale che puntava a cambiare il meno possibile rispetto al precedente esecutivo. L'uscita di Verdini dal recinto della maggioranza non ha causato mai grandi problemi all'esecutivo anche perché a palazzo Madama, dove i numeri sono molto più risicati, non si respira gran voglia di andare al voto nemmeno tra le fila dell'opposizione. E così la condanna a nove anni di Verdini non turba i sonni né del governo né della maggioranza anche se Ala qualche voto di fiducia lo ha concesso, compreso quello sulle unioni civili, e potrebbe essere utile in vista di alcuni passaggi delicati come il Def ad aprile e la legge di Bilancio ad ottobre.
Resta il fatto che Gentiloni resta fedele al principio dell'innocenza sino a sentenza passata in giudicato. La condanna di ieri è solo in primo grado e gli avvocati di Verdini hanno già annunciato appello. Ovviamente il tema dell'alleanza con Verdini agita lo scontro dentro il Pd anche in vista della primarie e scatena l'opposizione. Compresa quella leghista anche se il Carroccio, con Verdini e i suoi, ha compiuto lunghi tratti di strada nel ventennio-berlusconiano.
Ma se Verdini è rimasto fuori dal governo-Gentiloni, come lo era nell'esecutivo-Renzi, Luca Lotti no. Anzi, l'ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con Renzi è ora ministro dello Sport e ha la delega all'Editoria. Il coinvolgimento di Lotti nella vicenda-Consip rischia invece di dare al governo molti più grattacapi di quanti non sia riuscito a procurarne Verdini. Con il rischio di un intreccio di destini che potrebbe rendere ancor più precaria la permanenza dello stesso Lotti al governo. Il M5S ha infatti annunciato una mozione di sfiducia nei confronti del ministro che verrà presentata alla Camera e al Senato. «Vogliamo che Lotti e tutto il giglio magico si allontanino dal governo», dice Luigi Di Maio, mentre il blog di Grillo parla di «atomica Consip sui partiti».
Un doppio appuntamento che a palazzo Madama può tingersi presto di giallo qualora Ala dovesse far mancare il proprio supporto proprio per mandare un segnale al governo senza farlo cadere. Senza i verdiniani e privi dell'apporto dei quattordici senatori di Mdp (ex sinistra Pd), la maggioranza rischia di andare sotto con le conseguenti dimissioni di Lotti. Se così fosse il clima si farebbe subito incandescente per l'immediata e prevedibile reazione dei renziani.

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