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Data: 04/03/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Tiziano Renzi ai pm «Mai visto Romeo». Ma non gli credono. Lo sfogo in auto tornando a Rignano: «Con Russo nient'altro che un'amicizia». L'ex premier al contrattacco «Se papà è colpevole la pena sia doppia»

ROMA Tiziano Renzi esce dalla procura di Roma con l'aria tranquilla: «Mai preso soldi. Si è trattato di un evidente caso di abuso di cognome», dice davanti alle telecamere, spiegando che ai pm Paolo Ielo di Roma e Celeste Carrano di Napoli ha dimostrato la propria estraneità all'ipotesi di traffico di influenze che gli viene contestata. Un aria serena, dopo un interrogatorio di quattro ore e quindi tutto sommato breve, vista la mole di intercettazioni raccolte dai carabinieri del Gruppo tutela ambiente. Un'aria, però, che non sembra corrispondere a quella che si respira tra gli inquirenti, al momento molto perplessi sulla versione dei fatti fornita, tanto che non è neppure chiaro se lo interrogheranno una seconda volta.
«Il dottor Renzi ha risposto a tutte le domande» ed ha precisato di «non aver avuto alcun ruolo in questa vicenda», dice il suo legale, Federico Bagattini: «È stanco e provato, e non lo diciamo solo noi, perché questa vicenda non ha uno spettro esclusivamente giudiziario. Nel corso dell'interrogatorio ha negato di incontri avvenuti in ristoranti o bettole». Dunque, dice, nessun incontro con l'imprenditore Alfredo Romeo che «non ha mani conosciuto», nessun ingresso alla Consip, come del resto ha escluso di conoscere Denis Verdini.
Parallelamente al suo interrogatorio, le due procure che indagano di concerto per le ipotesi di corruzione, rivelazione del segreto istruttorio, associazione a delinquere, stanno mettendo a fuoco anche altri aspetti dell'inchiesta. Mentre Tiziano Renzi rispondeva a piazzale Clodio, a Roma, a Firenze Henry Woodcock e Mario Palazzi, accompagnati dagli investigatori del Noe di Napoli e di Roma hanno sentito come persone informate sui fatti due figure minori che, però, in questa storia rischiano di diventare decisive.
LA FUGA DI NOTIZIE
All'ultimo è saltata l'audizione di Roberto Bargilli, l'autista del camper di Matteo Renzi durante le primarie del Pd e ora assessore in quota Pd al Comune di Rignano sull'Arno. Bargilli, per gli amici Billy, il 7 dicembre 2016, chiama per conto del «babbo» Renzi quello che oggi è il suo coindagato, Carlo Russo. Per avvertirlo che il telefono è intercettato: «Scusami ti telefonavo per conto di babbo... mi ha detto di dirti di non chiamarlo e e non mandargli messaggi». Gli investigatori del Noe commentano con durezza: «La conversazione poc'anzi riportata non necessita di alcun ulteriore commento ma è doveroso rappresentare che le operazioni di intercettazione sull'utenza di Renzi Tiziano sono state disposte da Codesta autorità il pomeriggio del 5 dicembre 2016 e quindi sono trascorsi soli due giorni prima che anche questa notizia arrivasse al Renzi Tiziano». Di certo, a quell'allerta Tiziano Renzi sembra aver creduto. Mentre Bargilli chiama Russo per avvertirlo, infatti, Renzi parte «percorre circa 300km per intrattenersi conuna persona fuori dall''aeroporto di Roma Fiumicino per soli 44 minuti». Un atteggiamento: «E' davvero singolare».
L'altra persona sentita come persona informata sui fatti è il sindaco di Rignano sull'Arno, Daniele Lorenzini. Il paesino in cui risiede l'intera famiglia Renzi è centrale nel presunto sistema di relazioni che avrebbe visto anche Tiziano Renzi come protagonista. E' proprio Carlo Russo a raccontare, ad esempio che la sede del Pd di Rignano è di fatto più imporante di Firenze. «So stato da Tiziano ieri sera poi, ieri mattina sono andato la prima di partire per Roma, era incasinatissimo perché ora è tornato segretario del Partito di Rignano, quando è stato assolto». E ancora: «C'era la festa dell'Unità ieri sera c'era Lotti come ospite... c'ha avuto più ospiti Rignano che Firenze (ride, ndr) Delrio è andato ».
ROGATORIA A LONDRA
Altra mossa fondamentale per l'inchiesta in corso è la decisione di avviare una rogatoria internazionale a Londra. Proprio a Londra Alfredo Romeo, l'imprenditore che avrebbe promesso soldi anche a Tiziano Renzi pur di essere aiutato nelle gare Consip, ha un giro di società che, tra l'altro propone a Carlo Russo di usare per fargli arrivare i soldi necessari alll'«accordo quadro».

Lo sfogo in auto tornando a Rignano: «Con Russo nient'altro che un'amicizia»

ROMA Arriva, da un'entrata secondaria e blindatissima, direttamente collegata con il garage, a bordo di una Tuareg nera con i vetri oscurati. E in serata, dopo l'interrogatorio in una stanza nascosta, Tiziano Renzi va via con quell'auto dal palazzo di giustizia. A bordo della quale, nel ritorno a casa, non si trattiene - lui che è un tipo loquace, costretto stavolta al bavaglio per non complicare le cose - e si descrive così al telefono: «È andata bene. Non ero abbattuto prima dell'interrogatorio, che è stato pure lunghetto, e sono ancora più sollevato adesso». Poi cerca di interrompere la telefonata, ma è un tipo gentile. Non ce la fa e allora continua ma premette: «Io sono un indagato, non è corretto che parli. Dirà tutto il mio avvocato».
VERSO CASA
L'auto continua la sua marcia, non diretta verso il figlio del babbo, cioè Matteo Renzi, visto che i rapporti tra i due non sono facili. Eppure il palazzo dio giustizia che Tiziano sta lasciando poco prima dell'ora di cena è a due passi dalla redazione di La7 dove l'ex premier sta parlando di lui, con una certa severità: «Se mio padre è colpevole, spero che abbia una pena doppia». E comunque, Tiziano nel buio della Tuareg che sta attraversando Roma e si avvia verso il raccordo anulare, destinazione Rignano sull'Arno dove lo aspetta la moglie che nel renzismo formato famiglia rappresenta il pensiero forte, confida qualche altro particolare: «Ho negato tutto? E che cosa dovevo negare visto che non ho fatto niente?». Chissà se da questo «niente» si saranno fatti convincere i pm. Lui comunque, dalla voce, sembra mediamente soddisfatto dalla prova. Anche se rimpiange, naturalmente, i dieci giorni di vacanza appena trascorsi alla Barbados. E appena è tornato da quelle isole stupende, «mi è arrivata la botta». Difficile smaltirla per ora, anche perché l'inchiesta potrebbe crescere e l'occhio del ciclone mediatico è spalancato. «Ho chiarito tutto - incalza «il babbo» - con i procuratori. Abbiamo parlato anche dei miei rapporti con Carlo Russo e si tratta di una normale amicizia. Sono padrino di battesimo di suo figlio». Oltre che compagno di viaggi devozionali a Medjugorje.
Il Russo però, amico ma non compaesano del «babbo» (egli è di Scandicci), è lo stesso che Matteo Renzi ha sempre cercato di evitare. Anche perché non è detto che padri e figli debbano condividere le stesse frequentazioni. E non è detto neppure che si debbano vedere spesso. «Vi devo svelare un segreto», ha infatti raccontato più volte in questi anni Tiziano: Matteo non lo vedo quasi mai. E quando mi vengono idee di ordine politico e istituzionale, le confido a Luca Lotti». Che è molto caro ad entrambi, e ieri Renzi nella sua esibizione tivvù è sembrato più appassionato nella difesa dell'amico Luca che in quella del suo babbo. Il quale in queste ore, prima e dopo la visita dai pm, è in pieno travaglio, anche se cerca di ostentare tranquillità e gli amici del paese per tiralo su gli ripetono: «Dai, Tiziano, abbiamo raggiunto un gran successo. Sono aumentate del 60 per cento le iscrizioni al circolo del Pd di Rignano». Di cui lui è segretario. Lo era già stato una volta, prima della prima tegola. Quando fu indagato per bancarotta, ma poi l'indagine è stata archiviata su richiesta dei pm, accolta dai giudici della procura di Genova, dopo dieci mesi di graticola. Finì quella vicenda e tornò segretario di sezione. Ora di vicenda c'è questa: e «spero che stavolta duri tutto molto meno».
ORSO SAGGIO
Non fa che ripetere Orso Saggio - questo il nome che si è scelto per l'account Facebook - quanto sia profonda la sua fiducia nella magistratura. «Il rispetto per i giudici è uno dei fondamenti della vita democratica», è uno dei suoi mantra. Ed è anche un modo per presentarsi, «a dispetto delle malelingue», come un cittadino modello. Quello che ama farsi fotografare in sezione, pur essendo democristiano, davanti al santino di Enrico Berlinguer, a suo tempo soprannominato il Frate Zoccolante. Intanto la Tuareg nera sarà arrivata al paese. Ma la storia non finisce qui.

L'ex premier al contrattacco «Se papà è colpevole la pena sia doppia»

ROMA «Dirò roba pesante, cose molto forti», ha annunciato Matteo Renzi prima di entrare nella sede de La7. E l'ex premier mantiene la promessa. Dopo giorni di silenzio, finito sulla graticola per le accuse dei magistrati al padre Tiziano e al suo braccio destro Luca Lotti nell'ambito dell'inchiesta Consip, lancia il contrattacco. Che si può riassumere in tre punti. Il primo: «Di quello che ha fatto, mio padre ne deve rispondere lui davanti ai giudici. E se è colpevole la pena sia doppia». Il secondo: «Lotti è una persona straordinariamente onesta, non si deve dimettere. Noi siamo persone per bene, non abbiamo paura dei processi». Il terzo: «C'è un disegno evidente, una tensione creata ad hoc in queste ore, per tentare di mettere insieme cose vecchie di tre mesi. Il dibattito è surreale». Come dire: c'è una macchinazione per colpirmi durate la corsa per le primarie del Pd. Segue frenata: «Non credo ai complotti».
Renzi, prima di cominciare l'intervista con Lilli Gruber, attende la fine dell'interrogatorio del padre. E rinfrancato dal fatto che i magistrati non hanno mosso nuovi addebiti contro il babbo, fatto partire la controffensiva. Con una premessa: «Non sono i giornali, non siete voi giornalisti a fare i processi. Questo compito è dei magistrati nelle aule dei tribunali».
Le prime domande riguardano inevitabilmente il padre e le sue presunte relazioni pericolose. Qui Renzi non fa «l'avvocato d'accusa o di difesa». Si limita a dire: «So chi è mio padre, conosco i valori della mia famiglia. Credo che dovrà difendersi e rispondere alla domande dei pm. Già gli è successo una volta ed è stato assolto. Ma se questa volta fosse condannato sarebbe una cosa gravissima. Per questo dico, per dare un segnale: pena doppia».
IL RICAMBIO DEI MANAGER
Per Lotti l'ex premier invece veste con convinzione la toga del difensore. «Perché io non sono come gli altri leader che scaricano i propri collaboratori in difficoltà». Perché «lo conosco da anni e alla moglie e ai suoi figli dico che devono sapere di aver una persona straordinariamente onesta in casa». Ancora, parlando anche del comandante dei Carabinieri, finito pure lui nella stessa inchiesta: «Lotti è indagato con Del Sette su un reato che si presume sia stato commesso. Vediamo, io scommetto che questo reato non l'ha commesso Lotti come Del Sette. Ma ovviamente non sta a me deciderlo. Tocca ai giudici». E perché «negli ultimi tre mesi su Lotti non è emerso nulla, eppure è finito nel tritacarne».
A Renzi preme marcare la propria «diversità»: «Noi siamo persone per bene, non abbiamo paura dei magistrati e dei processi. Erano quelli di prima che inventavano lodi e trovavano il modo di non fare i processi, con il legittimo impedimento. Per noi si va in tribunale e si vede chi ha ragione o torto». Ancora: «In questi anni in cui abbiamo governato il Paese ci sono state Eni, Enel, Finmeccanica, Consip, Rai, Finmeccanica, ci sono cambiamenti dei manager e della organizzazione della macchina pubblica. Vi sfido a dire qual è uno scandalo realizzato in questi tre anni. Ditemi una sola cosa!».
ONORE DELLE ARMI A DENIS
E qui Renzi fa scattare l'attacco ai Cinquestelle, che hanno presentato una mozione di sfiducia contro Lotti e da giorni sparano a palle incatenate contro l'ex premier. Premessa: «Non sto in un partito guidato da un pregiudicato, io ai miei principi ci tengo. Io ho una fedina penale diversa da Beppe Grillo». Affondo: «Siamo garantisti sempre e si aspetta la sentenza sempre. Quando è uscita la vicenda dell'avviso di garanzia alla sindaca Raggi io ho detto: Difendo il sindaco di Roma. Spero sia innocente e sicuramente lo è fino all'eventuale condanna. E non abbiamo chiesto le dimissioni della Raggi. Noi non siamo come i grillini garantisti a targhe alterne: garantisti quando indagano i loro, giustizialisti quando tocca agli altri».
La Gruber gli chiede di Denis Verdini, della condanna. Risposta di Renzi: «E' pesante e se la condanna verrà confermata in via definitiva, sarà un fatto rilevante, grave e con conseguenze non solo politiche ma anche personali». Segue l'onore delle armi all'ex alleato di maggioranza: «Se si sono fatti Jobs act, Expo e una serie di cose concrete, è perché c'è stata una maggioranza che ha governato. Se non c'era Verdini non passavano neppure i diritti civili, perché Bersani non ha vinto le elezioni nel 2013».

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