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Pescara, 24/07/2024
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Data: 07/03/2017
Testata giornalistica: Il Centro
Taglio delle tasse per i neo assunti. Il governo lavora al piano per la riduzione del carico sul lavoro. Servono le coperture entro aprile: ritocco sull’Iva agevolata

ROMA Zero contributi a carico dei neo-assunti per due anni. Poi, in una fase successiva, un taglio del cuneo fiscale di 4 punti da suddividere tra lavoratori e azienda. E nel pacchetto una riduzione dell’Irpef in favore degli under 35 secondo lo schema della progressività che caratterizza il sistema impositivo italiano. Ecco lo schema che ha in mente il governo per cercare di dare una scossa al mercato del lavoro che sta dando qualche segnale di risveglio escludendo però dai benefici i più giovani, il cui tasso di disoccupazione resta ancorato intorno al 35%. «Giù le tasse su lavoro», ha dettato il premier Gentiloni un paio di giorni fa. E i tecnici di Palazzo Chigi sono al lavoro per tradurre in provvedimenti concreti questa strategia. La road map sarà messa a punto con il Documento di economia e finanza che, nelle speranze dell’esecutivo, servirà a mandare forte e chiaro all’Europa il messaggio che le riforme non si sono fermate. E un progetto di taglio del cuneo fiscale sul lavoro da tradurre in misure vere e proprie già con la legge di Bilancio di fine anno. Il Def farà anche da cornice anche alla manovrina da 3,4 miliardi per correggere il debito e rimettersi in linea con le regole di Bruxelles. Sul dossier contributi il governo intende procedere su due fasi. Nella prima, a partire dal 2018, si punta e cancellare i contributi a carico dei lavoratori giovani neo-assunti. Costo stimato: 1 miliardo di euro. La seconda fase prevede invece una riduzione permanente di 4 punti percentuali dell’aliquota di contribuzione per la previdenza, da dividersi in parti uguali fra datori e lavoratori. In questo modo da una parte le imprese beneficerebbero di un taglio netto di 2 punti di costo del lavoro, dall’altra i lavoratori potrebbero scegliere di incrementare del 2% la loro busta paga (dovrebbero però pagare l’aliquota marginale Irpef su tale incremento) oppure di devolvere la stessa somma alla previdenza integrativa (deducendola dall’imponibile Irpef). A differenza di quanto accade con gli attuali sgravi, la riduzione dell’aliquota non verrebbe “fiscalizzata” - ovvero il suo finanziamento non sarebbe posto a carico del bilancio pubblico per mantenere immutati i versamenti di contributi validi a fini pensionistici -, ma determinerebbe una riduzione effettiva dei versamenti contributivi e, dunque, nello schema contributivo, una pensione di importo proporzionalmente ridotto. Nei piani c’è anche l’idea, suggerita dal mondo che gravita intorno all’ex premier Matteo Renzi, di rendere progressiva l’aliquota Irpef in base all’età dei lavoratori in modo da ridurre le tasse alle classi che si affacciano sul mercato e che hanno bisogno di essere sostenute nei primi anni di attività. Quanto alle coperture il governo, che pure punta su alcuni tagli di spesa, accarezza l’ipotesi di lasciar salire l’aliquota Iva agevolata dal 10 al 13%. Intanto il governo annuncia di voler regolamentare il mercato dei call center e affinché le grandi aziende committenti dei servizi firmino una sorta di “codice di autoregolamentazione” per disincentivare la delocalizzazione ed evitare gare al massimo ribasso. Il Mise punta ad applicare un vincolo di territorialità per garantire che il 100% delle attività di call center svolte per il mercato italiano restino nel Paese. Inoltre a fronte di commesse di aziende italiane per il mercato estero una percentuale minima molto alta (l’80%) del personale dovrebbe risiedere in Italia. Il secondo caposaldo del dossier è fare in modo che nella pubblicizzazione di gare si sganci la componente costo del lavoro dal costo complessivo della gara, per evitare gare al massimo ribasso.

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