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Data: 08/03/2017
Testata giornalistica: L'Huffington Post
Rimborsi Ue, Lara Comi, Daniela Aiuto, Laura Agea: gli eurodeputati italiani che hanno abusato dei soldi dell'Ue

Tra gli europarlamentari dell'Unione europea che abusano dei soldi di Bruxelles ci sono anche alcuni italiani. In un articolo pubblicato sul quotidiano la Repubblica compaiono i nomi: si va da M5s a Forza Italia, passando per il Pd.

Tra i dossier italiani quello di Lara Comi, deputata di Forza Italia che ha assunto la madre come assistente parlamentare e ora dovrà restituire i 126 mila euro percepiti dalla signora, Luisa Costa, dal 2009 al 2010. Al centro di un’inchiesta ancora in corso e i cui esiti non sono ancora decisi due eurodeputate grilline: Daniela Aiuto e Laura Agea.

La prima è nel mirino per avere chiesto il rimborso, diverse migliaia di euro, per una mezza dozzina di ricerche che le sarebbero dovute servire per svolgere il mandato europeo ma che in realtà sono state copiate da siti come Wikipedia. La seconda ha assunto come assistente un imprenditore, sospettato di non avere il tempo di svolgere il lavoro relativo la mandato europeo dalla deputata ma al massimo, nella veste di attivista del Movimento, di seguirla nella politica locale.

Al centro di un’inchiesta anche un collaboratore del leghista Mario Borghezio, il viceministro Riccardo Nencini (ex europarlamentare al quale Strasburgo aveva chiesto indietro 455 mila euro ma ha scampato il rimborso grazie alla prescrizione) e il deputato eletto con il Pd, ora Mdp, Antonio Panzeri, che ha fatto ricorso alla Corte di giustizia europea di fronte alla richiesta di restituire 83 mila euro. Quelli italiani sono casi isolati e spalmati su tre legislature, con la stragrande maggioranza dei 73 parlamentari eletti ogni cinque anni che rispetta alla lettera le regole.

Panzeri ha tenuto a precisare che "il Parlamento Europeo, nel corso della legislatura 2004-2009, ha modificato le modalità organizzative della funzione di assistenza del parlamentare, che al tempo potevano essere organizzate mediante contratti di affidamento di servizi a soggetti terzi o associazioni, e ha provveduto ad applicare detti criteri “retroattivamente”, senza aver nulla eccepito al tempo". Per questo motivo ha presentato ricorso. "Equiparare -commenta Panzeri - la vicenda del sottoscritto ad altre, aventi ad oggetto episodi di mala gestione o addirittura di iniziative fraudolente, costituisce un grave errore e distorce la realtà dei fatti, in maniera tale da ledere ingiustificatamente la mia reputazione, che mi riserverò senza dubbio di tutelare nelle sedi opportune”.

La precisazione di Nencini.
“Per l'ennesima volta vengo tirato in ballo tra gli 'italiani sotto inchiesta' al Parlamento Europeo. E invece non solo non sono sotto inchiesta ma sono stato da tempo scagionato dalla Corte di Giustizia. Le indagini sono durate così a lungo, quasi 15 anni, e sono state svolte in modo così approssimativo - ho chiesto ripetutamente di essere ascoltato, ho fornito la documentazione bancaria sugli avvenuti pagamenti ai collaboratori, ho sollecitato, addirittura ho sollevato proprio io il problema - da non consentirmi di difendermi dovutamente nelle sedi opportune. Proprio nella sentenza della Corte di Giustizia infatti si legge: '...va constatato che l'istituzione ( il P.E.) è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio di ragionevolezza dei termini' e ancora '...il P.E. ha comunicato al ricorrente la seconda decisione del Segretario generale...solo nell'ottobre 2010 mentre il mandato parlamentare dell'interessato era terminato nel 1999...il Tribunale ha giustamente considerato che il P.E. era venuto meno agli obblighi ad esso incombenti...', tutto ciò a conferma che il ritardo nelle indagini e' da addebitarsi proprio al P.E. Peraltro, sul punto avevo già vinto due cause presso il Tribunale di Firenze (2002 e 2003). Era dunque inevitabile che la Corte di Giustizia accertasse il cattivo svolgimento delle indagini e l'intervenuta prescrizione. Ricordo infine che la contestazione del P.E. verteva sulla mancata registrazione di alcuni assistenti presso l'ufficio preposto del parlamento. Insomma, una questione di natura amministrativa legata ad una irregolarità formale. Non è mai stato contestato da chicchessia ne' il lavoro svolto dagli assistenti ne' la circostanza che abbia percepito personalmente alcunché a tale proposito. Il mio caso è stato uno dei pochissimi in cui la Corte di Giustizia ha riconosciuto le ragioni degli eurodeputati contestati. Non ho dunque nulla a che fare con gli altri casi riportati”

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