PESCARA «Noi l’otto marzo non festeggiamo, noi scioperiamo». Toste e belle le donne dicono ciao ciao alle cene in pizzeria con le amiche e alla seratona di risate davanti a ridicoli streep teese maschili e si riappropriano della “loro” giornata per dire a tutti che di pazienza non ce n’è più e che si torna a fare sul serio, perché è « necessario e improrogabile» interrompere la spirale che soffoca la vita delle donne, di tutte le donne del mondo. E così anche a Pescara come a Cuzco in Perù, a Berlino, a Londra, a Roma, a New York e in decine di altre città di 40 Paesi della Terra prende vita la marcia delle donne per una protesta globale capace però di lasciare cogliere le diverse sfaccettature dei soprusi che il mondo femminile vive quotidianamente. Dalla violenza fisica e psicologica alla discriminazione sui luoghi di lavoro, dalla maternità imposta alla disparità di salario, ai triti stereotipi di genere, ai diritti negati, al grido di «Chi tocca una di noi tocca tutte noi», e dunque con una unità che dà forza e rende più sicure, le donne chiamate allo sciopero con un tam tam virale partito dal gruppo “Non una di meno” si sono ritrovate nel cuore del capoluogo adriatico puntuali alle 16 per sfilare, parlare, cantare, capire, ballare, confrontarsi. Non sono una marea come la posta in gioco richiederebbe, ma sono tante e sono determinate. Sull’adesione allo sciopero vero e proprio non si hanno cifre, «forse non è alto» ammette qualcuna, «ma anche questo è lo specchio di una condizione difficile, ad esempio sul lavoro, di tante» osservano altre. Ma sono qui. Ci sono le operatrici dei centri antiviolenza, ci sono studentesse che però a scuola al mattino ci sono andate e universitarie che le lezioni invece le hanno saltate, ci sono molte ragazze degli anni ’70, capelli bianchi e occhi da giovincelle, ci sono extracomunitarie col capo avvolto in foulard fucsia, il colore, con il nero, simbolo della manifestazione, ci sono sindacaliste, insegnanti, badanti rumene, qualche rom e qualche uomo. Musica a palla sul camion che apre il corteo, striscioni con scritte come “Libere di agire, capaci di reagire”, cartelli in cui si legge “Sciopero dagli stereotipi di genere”, o “Sciopero dalla maternità obbligatoria”, e con lo slogan “Il corpo è mio e lo mostro a chi voglio io”, che ricorda, assonanza ma non solo, il progenitore anni ’70 “L’utero è mio e lo gestisco io” e che oggi ribadisce l’importanza di una autonomia di scelta troppe volte violata dall’esposizione inconsapevole di corpi e intimità sulla Rete. I cartelli chiudono tutti con una frase mutuata da un famoso spot: “Perchè io valgo”, che ben si attaglia al discorso portato avanti. Il percorso del corteo parte da piazza della Repubblica, attraversa corso Umberto I approda alla Nave di Cascella e ritorno, per fermarsi nella piazza della vecchia stazione. Dove ci saranno gli interventi. Obiettivo principale di “Non una di meno” è «la scrittura di un piano femminista contro la violenza maschile sulle donne in tutte le sue forme», spiega una giovane con un nastro fucsia intorno alla testa, «un documento a cui stanno lavorando centinaia di donne, costruito dal basso per raccogliere definizioni, pratiche e metodologie contro la violenza di genere. Qui ci stiamo preparando». La lotta è appena cominciata.