PESCARA Le etichette false delle griffe come Chanel, Gucci, Louis Vuitton, Liu Jo e Guess arrivavano a Pescara da Napoli: migliaia di pezzi in vendita a 12 centesimi l’uno, prodotti in stabilimenti riconducibili alla camorra. Tra i 10 arrestati finiti, ieri, nella rete della finanza in un’operazione contro la contraffazione ci sono anche due personaggi affiliati al clan Mazzarella: si tratta di Paolo e Armando Cimmelli, 34 anni il primo e 32 il secondo, entrambi napoletani ed entrambi ai domiciliari. Secondo la finanza, erano loro che facevano arrivare sulle bancarelle dell’area di risulta migliaia di scarpe Hogan false. «Io mo’ ti mando qualcosa, però domani mattina vedi di fare qualcosa di soldi», così diceva Paolo Cimmelli a uno dei senegalesi più attivi, Papa Ngom, 36 anni di Pescara, anche lui arrestato ai domiciliari. L’operazione Bazar, portata a termine dalla finanza di Pescara guidata dal comandante provinciale Francesco Mora e dal capitano della compagnia Sara Venturoni, ha smantellato un’organizzazione intera: dalla fabbrica dei falsi fino alla vendita al dettaglio. Sono 15 gli indagati con reati che vanno dall’associazione a delinquere, ricettazione e contraffazione: 9 sono finiti ai domiciliari, uno in carcere (Mbaye Diop, 38 anni del Senegal ma residente a Pescara), tre sono ancora ricercati e due sono agli obblighi di dimora. E questi ultimi sono due autisti della Satam, G.M, 47 anni residente a Orsogna, e F.D.P., 46 anni di Bugnara: secondo gli investigatori, coordinati dal pm della Dda dell’Aquila Fabio Picuti e dal pm della procura di Pescara Andrea Papalia, gli autisti aiutavano la banda a far arrivare la merce falsa a Pescara trasportandola con i bus di linea lungo la tratta Salerno-Napoli-Pescara. «Oh, domani mattina c’è un amico mio, quello autista», così un senegalese ordinava a un altro arrestato di far partire un carico. E, secondo gli inquirenti, ci sono contatti telefonici diretti tra gli autisti e i senegalesi: «Allora domani ho una cosa che mi devono fare urgente», diceva il senegalese a un autista. E lui rispondeva: «E ci sta Camillo, chiama Camillo». I 15 indagati si aggiungono ad altri denunciati per reati legati alla contraffazione: al vertice ci sono gli italiani (19), quasi tutti napoletani, nel ruolo di imprenditori dei falsi e grossisti con tanto di album fotografici per il campionario; un gradino più in basso i senegalesi (21) che attaccavano le etichette su borse, giacconi, scarpe e magliette; infine, i venditori dell’area di risulta. Le bancarelle del mercatino, sgomberato nel 2016 dall’amministrazione Alessandrini, erano la vetrina della merce e i furgoni fermi e stipati di pezzi falsi erano usati come magazzini. Un’inchiesta che è nata sequestrando i primi falsi sull’area di risulta, è arrivata fino a Napoli documentando l’interesse della camorra nella produzione ed è tornata a Pescara, il centro degli affari dei senegalesi con la vendita al dettaglio. Ma per i finanzieri, l’organizzazione si muoveva anche nel Lazio, in Toscana e nelle Marche. Nell’indagine sono stati trovati tre laboratori clandestini, a Pescara e a Reggio Calabria con rotoli di etichette in tessuto e loghi di metallo: fabbriche abusive con plotter e stampati per riprodurre i loghi dei grandi marchi come Nike, Adidas, Dsquared, Converse, Blauer, Moncler, Colmar, Napapijri e cucire le etichette sui capi. Falsi d’autore, quasi impossibili da riconoscere. Come per le Hogan che venivano vendute, da 30 fino a 70-80 euro per i modelli più noti, con tanto di scatole contraffatte. E secondo la finanza queste scarpe sarebbero finite non solo sulle bancarelle ma anche nei negozi di altre regioni. In oltre un anno e mezzo di indagine, sono stati sequestrati 65.170 pezzi tra magliette, giubbini, scarpe e borse per un valore di mercato che potrebbe arrivare ai due milioni. Grandi affari, anche per la criminalità organizzata, da tenere riservati. Nell’ordinanza di custodia, firmata dal gip Guendalina Buccella, si parla di acquisti «sempre in modalità prudente» anche con ricariche Postepay o in contanti ma in momenti e luoghi diversi dalla consegna della merce.
«Vuoi Gucci e Prada? Qua si può fare tutto». Le telefonate tra i grossisti napoletani e i rivenditori senegalesi presenti in città. «Migliaia di etichette false a 12 centesimi l’una, ma mi devi pagare subito»
PESCARA «Per adesso c’ho solo Liu Jo, però se mi fai l’ordine ti posso fare anche Prada, ti posso fare tutto quello che vuoi tu. Pronto c’ho solo Liu Jo ed è un affare come prezzo». Mario Russo, 62 anni, grossista napoletano dell’abbigliamento contraffatto, propone a un senegalese una partita di etichette falsificate da cucire poi sui vestiti. Tutto si può falsificare dice il napoletano nell’intercettazione carpita dalla finanza di Pescara nell’operazione Bazar. «Chanel, Guess, Louis Vuitton e Gucci, sono 16 mila pezzi», spiega Russo in merito ai cartellini che si possono addirittura “personalizzare” sulla base delle esigenze dei clienti, «io te li mando neutri, senza colorare i campioni perché le devo portare a colorare. E tu poi, se ti interessa, dici: li voglio oro o li voglio argento e mi dici quello che è, e io ti porto a fare i colori. Un giorno e sono pronti». È una produzione industriale quella al centro dell’inchiesta con 15 indagati per associazione a delinquere, ricettazione e contraffazione. Etichette false. Abiti, scarpe e borse falsificate fino all’ultimo dettaglio. E cioè le etichette che potrebbero indurre in errore i clienti. Russo vende quelle etichette a 12 centesimi l’una: «Io ti ho fatto un regalo, 12 centesimi, ti rendi conto?». Ma l’acquirente senegalese vuole spendere meno: «No no, tu mi devi fare 10», e fa capire che potrebbe rifornirsi a «Milano» a prezzi più convenienti. Settemila Converse. Secondo l’ordinanza di custodia, per l’organizzazione è un gioco da ragazzi trovare merce falsa: in un’altra intercettazione, due senegalesi di stanza a Pescara trattano l’acquisto di 7 mila etichette contraffatte di Converse. L’importante è fare presto: «Ma domani mattina è pronto? Se mi puoi far mandare qualcosa domani mattina, il resto me lo aggiungi entro due giorni, comunque lo devi mettere così tanti almeno... e dopo chiamo il mio amico autista», dice un senegalese riferendosi a un autista della Satam che risulta indagato con l’accusa di aver aiutato la banda a trasportare la merce da Napoli a Pescara. E il senegalese informa un complice della partenza del bus alle 9 in punto: «Alle 9 quello di solito se non ci sono problemi». E il complice risponde con un riferimento al pagamento: «Va bene però tu dopo non dimenticare di caricare, eh».«No tu ascolta fratello. Tu mi conosci bene... magari sono un po’ fuori di testa però sono preciso». Caccia alle Hogan. Tra i prodotti più richiesti ci sono le scarpe Hogan, vendute da 30 a 70 euro: un altro arrestato Paolo Cimmelli, 35 anni di Napoli, tratta con un senegalese la vendita di 66 paia di Hogan false: «Io mo ti mando qualcosa, però, domani mattina vedi di fare qualcosa di soldi... perché io voglio fare lavorare te, però, dobbiamo chiudere qualche conto che non ce la faccio sennò». E il senegalese si sceglie i modelli: «Da uomo quanti colori hai da uomo?». «Penso tre, quattro», la risposta di Cimmelli. «Ok, va bene, mandami tutti e quattro, da donna sì». «Paga le scarpe». Anche un altro arrestato, Giuseppe Errichiello, 60 anni di Napoli, tratta le Hogan: «Fra’ è tutto a posto, sono due pacchi, 24 e 47 paia, però ci manca un paio». Poi, c’è la spedizione con un corriere da pagare: «La spedizione sono 60 euro». E dopo il ricevimento della merce, il napoletano ricorda al senegalese di pagare il conto: «Allora come dobbiamo fare?». E il senegalese risponde: «Eh, oggi ti mando qualcosa, oggi te lo mando qualcosa, verso mezzogiorno ti chiamo». E il napoletano lo riprende: «Paco, ma tu, tu a me non puoi darmi i soldi quando vendi la merce, non posso aspettare che tu vendi tutta la merce per avere i soldi». E il pagamento, dice l’ordinanza di custodia, avviene «per mezzo di ricariche Postepay, previa comunicazione via sms, da parte dell’Errichiello, delle relative coordinate».