Ancora un cavalcavia che crolla schiacciando stavolta due automobilisti che stanno transitando lì sotto. Siamo sull’A14, l’Adriatica, all’altezza di Loreto, e soltanto per pochi attimi il caso evita una vera e propria strage. Dalle impalcature cadono, per fortuna senza gravi conseguenze, tre operai romeni i quali avevano tirato su coi martinetti il cavalcavia crollato da entrambi i lati. La prima domanda che sorge spontanea e che il sindaco di Castelfidardo rivolge alla Società Autostrade: perché durante lavori così delicati non si è sospeso il traffico sull’A14 tuttora a due corsie in quel tratto? È vero che la vecchia statale 16 è perennemente intasata dal traffico pesante (che quasi sempre rifiuta il sovraccosto del pedaggio autostradale il cui percorso per giunta è in salita e fa consumare più carburante) e che quindi il traffico veloce va sull’autostrada Bologna-Bari-Taranto. Ma è stata certamente una grande imprudenza non chiudere la A14 in quel tratto. Una commissione d’inchiesta - fa sapere il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio - verrà prontamente istituita. Essa consentirà anche di capire perché due distinte imprese lavorassero a questo problematico sollevamento del cavalcavia col quale si rendeva possibile la terza corsia autostradale. Ma intanto le polemiche si infiammano. Nei mesi scorsi il governo Renzi ha varato un nuovo codice degli appalti tendente a conciliare trasparenza, ribassi concorrenziali e standard qualitativi. La legge del “massimo ribasso” ha prodotto e continua a produrre lavori di bassa qualità, quando non disastrosa. Vi sono state aste per edifici pubblici, come scuole, uffici postali, dogane vinte da imprese che hanno offerto ribassi del 40, persino del 50 per cento. La Gazzetta di Modena ha condotto una inchiesta in proposito raccogliendo le preoccupazioni della Cgil regionale per questi ribassi tanto forti da indurre il ministro Delrio, per anni sindaco di Reggio Emilia e quindi esperto di questi problemi, a intervenire dicendo basta, energicamente, a una pratica che può favorire imprese dubbie le quali poi risparmiano su tutto, a cominciare dalla qualità dei materiali. Il nuovo Codice degli appalti è più stringato del precedente: 217 articoli contro 600 (più 1.500 commi). In esso si è cercato di conciliare trasparenza, qualità ed economicità dei lavori. Ma l’accoglienza non è stata quella unanimemente favorevole che ci si aspettava. Con la solita vis polemica il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, ha subito affermato che «la nuova normativa è un modo per paralizzare l’Italia. La riforma è condivisibile, non per gli appalti di media dimensione per i quali si va a gare soltanto se i progetti sono esecutivi. Ricordo che per un’opera di 20 milioni un progetto esecutivo costa 2 milioni e mezzo e nessun soggetto pubblico può investirli, e nemmeno uno privato». Risposta del ministro Delrio: «Sono stupito. È noto che i costi del progetto esecutivo costano al massimo il 3 e non il 10 per cento. Mettere in discussione la centralità del progetto esecutivo significa mettere in discussione il fondamento del Codice degli appalti che vuole bloccare quelle lobby che vivono di riserve e di varianti e che sono una delle principali cause della mancanza di esecuzione di lavori pubblici in Italia». Non ho dubbi sul fatto che la ragione stia dalla parte del ministro e del suo Codice. Anche se il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Pier Camillo Davigo, sostiene che esso vesserà le imprese oneste e non creerà problemi a quelle disoneste. Strane forzature massimaliste. Nel perdurare di una lunghissima crisi edilizia, i lavori pubblici sono un volano fondamentale per tutta l’economia. Nel primo semestre di attuazione del Codice le opere pubbliche sono aumentate del 36,2 % in numero e del 50% in valore. Ma certo i controlli tecnici e quelli finanziari devono risultare ferrei, impeccabili. Sarà mai possibile?