ROMA Un taglio del carico contributivo di 4 punti, a partire dal 2018, da suddividere tra lavoratori e azienda. Ecco lo schema che ha in mente il governo per cercare di imprimere una scossa al mercato del lavoro che sta dando segnali di risveglio, soprattutto tra gli over 50, tagliando però fuori dal dividendo i più giovani. «Giù le tasse su lavoro» ha chiarito il premier Gentiloni una settimana indicando la rotta sulla quale naviga Palazzo Chigi. Ed ora i tecnici del ministero dell'Economia sono all'opera per tradurre in fatti questa strategia. La tabella di marcia sarà messa a punto ad aprile con il Documento di economia e finanza che servirà ad indirizzare all'Europa il messaggio che le riforme non si sono fermate. Il Def farà da cornice anche alla manovra da 3,4 miliardi per correggere il debito e rimettersi in linea con le regole di Bruxelles. Sul dossier contributi il governo intende appunto procedere con una riduzione permanente di 4 punti percentuali dell'aliquota di contribuzione per la previdenza, da dividersi in parti uguali fra datori e lavoratori neo-assunti.
I NUMERI
In questo modo da una parte le imprese beneficerebbero di un taglio netto di 2 punti di costo del lavoro, dall'altra i lavoratori potrebbero scegliere di incrementare del 2% la loro busta paga (dovrebbero però pagare l'aliquota marginale Irpef su tale incremento) oppure di devolvere la stessa somma alla previdenza integrativa (deducendola dall'imponibile Irpef). Nella sua versione base, la riduzione dell'aliquota determinerebbe una riduzione effettiva dei versamenti contributivi e, dunque, nello schema contributivo, una pensione di importo proporzionalmente ridotto. Per evitare questo effetto, occorre che lo Stato fiscalizzi, ovvero ponga a carico del proprio bilancio, la mancata contribuzione. L'aliquota contributiva a carico del datore di lavoro scenderebbe dal 23,81 al 21,81%, mentre quella versata dal lavoratore passerebbe dal 9,19 al 7,19%. Per realizzare questa operazione, il ministero di Via XX Settembre ipotizza una copertura di 320 milioni di euro. Il calcolo è presto fatto: i tecnici stimano circa 400 mila nuove assunzioni il prossimo anno. E, considerando una retribuzione media in ingresso di 20 mila euro lordi, ci sarebbe un taglio di contributi di 800 euro, di cui 400 andrebbero al lavoratore che ne perderebbe però una parte a causa della maggiore Irpef.
Ovviamente, negli anni successivi, la copertura necessaria salirebbe per effetto dell'affacciarsi sul mercato di nuove classe di lavoratori ma nell'impianto messo a punto si valuta il fatto che, proprio con l'aumento dell'Irpef pagata dai neo-assunti, buona parte del provvedimento si autofinanzierebbe. Per dare una ulteriore spinta alla fase iniziale del progetto, ambienti di governo caldeggiano una versione ancora più incisiva del taglio del cuneo ipotizzando l'esonero contributivo, almeno per il primo anno, in favore dei neo-assunti più giovani. Sarebbe lo Stato, in questo caso, a farsi carico totale del 9,19% della contribuzione. «Se il Governo non ha a disposizione risorse adeguate per tutti sul cuneo fiscale, che lo azzeri totalmente per i giovani» ha suggerito a tal proposito il presidente di Confindustria Boccia due giorni fa. Ma l'idea, spiegano fonti impegnate sul dossier, cozza contro lo scoglio quasi insuperabile delle coperture finanziarie.
GLI UNDER 35 E L'IRPEF
Piuttosto complicata anche la strada, indicata da alcune aree della maggioranza più vicine all'ex premier Renzi, di affiancare al taglio dei contributi una riduzione dell'Irpef in favore degli under 35 secondo lo schema della progressività che caratterizza il sistema impositivo italiano. «Sul taglio del cuneo fiscale ha spiegato Renzi qualche giorno fa io ho qualche dubbio. La misura dei cinque punti nell'esperienza del governo Prodi non ha portato risultati. Il governo deciderà e sulla base della proposta che viene fatta discuteremo».
In busta paga 300 euro in più all'anno ma sui redditi medi c'è il rischio bonus
ROMA Un beneficio netto in busta paga intorno ai 300 euro l'anno per le fasce retributive che probabilmente sarebbero le più interessate da un taglio contributivo rivolto ai neo assunti, nell'ipotesi che questo sia di 4 punti divisi a metà tra azienda e lavoratore. E un vantaggio decisamente più visibile nella fase iniziale, qualora andasse in porto anche l'idea di esentare totalmente dai versamenti contributivi il lavoratore nel primo anno di attività.
L'operazione annunciata dal premier Gentiloni, i cui contorni sono ancora tutti da precisare, si pone di fatto in alternativa - se non altro per motivi di compatbilità finanziaria - alla riduzione generalizzata dell'Irpef annunciata dal precedente esecutivo. I vantaggi che ne deriverebbero per la busta paga del lavoratore non sono trascurabili, ma forse nemmeno così massicci da avere un forte impatto, almeno sul piano psicologico. Questo anche perché una parte del vantaggio è destinata all'impresa che dovrebbe così ricavarne una maggiore competitività.
LA SITUAZIONE ATTUALE
Vediamo quindi quali sarebbero gli effetti concreti dell'intervento che si sta delineando. Attualmente, come è noto, sulla retribuzione annua lorda vengono pagati contributi previdenziali complessivi pari al 33 per cento. Nella maggior parte dei settori il 23,81 è a carico dell'azienda (e quindi per il datore questo importo si somma alla retribuzione vera e proprio gonfiando il costo del lavoro) mentre il restante 9,19 va a ridurre la stipendio del dipendente prima che questo sia sottoposto alle aliquote Irpef. Dunque ad esempio su una retribuzione annuale lorda di 20 mila euro, livello abbastanza plausibile per un neoassunto (circa 1.300 euro netti mensili nella situazione attuale) il taglio del 2 per cento vale 400 euro: ma il beneficio effettivo per l'interessato è minore e pari a circa 265 euro, perché l'importo verrebbe sottoposto a tassazione Irpef, mentre i versamenti contributivi sono esenti. Che cosa succede al crescere del reddito? Crescerebbe naturalmente anche l'importo dei 2 punti di contributi tagliati, e l'aumento netto in busta paga diventerebbe via via più consistente, avvicinandosi ai 300 euro e superando questa soglia ad esempio per una retribuzione di 24 mila euro. Per retribuzioni ancora maggiori però si manifesterebbe almeno sulla carta l'effetto indesiderato del meccanismo 80 euro, che aumenta in modo rilevantissimo l'aliquota marginale effettiva nella fascia di imponibile Irpef compresa tra 24 mila e 26 mila euro.
IL MECCANISMO
Un totale esonero della quota contributiva a carico del lavoratore, ipoteticamente nel suo primo anno di attività, avrebbe naturalmente un impatto molto più apprezzabile: sempre sulla retribuzione-tipo di 20 mila euro gli oltre 1.800 euro di contributi non dovuti diventerebbero 1.200 in termini netti. Ma anche in questo caso, confrontando gli effetti di un eventuale provvedimento con la situazione attuale, bisognerebbe fare i conti il venir meno del bonus 80 euro (che in un anno ne vale 960). Una retribuzione di 26 mila euro che versa il 9,19 per cento alla previdenza percepisce infatti pienamente il credito d'imposta voluto dal governo Renzi, mentre se i 26 mila si trasformano automaticamente in imponibile fiscale il bonus viene perso in un colpo solo. Ecco perché probabilmente, per questa e per altre ragioni, l'esecutivo dovrà prevedere accanto all'intervento sul costo del lavoro un qualche tipo di aggiustamento del meccanismo introdotto nel 2014.