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Data: 13/03/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Spending review - In bilico il taglio delle partecipate

ROMA Il capitalismo municipale batte un colpo. L'attesa sforbiciata delle ottomila società partecipate dai Comuni e dalle Regioni potrebbe trasformarsi in un taglietto. Complice la sentenza della Corte Costituzionale dello scorso novembre che ha costretto il governo a rinegoziare con le Regioni alcuni decreti attuativi della riforma Madia della Pubblica amministrazione, uno dei provvedimenti simbolo di quel pacchetto, rischia di uscirne azzoppato. Il governo aveva deciso che tra le società pubbliche da chiudere in automatico, dovevano essere ricomprese tutte quelle con un fatturato inferiore a un milione di euro. Secondo le stime della Corte dei conti si tratta di quasi 1.900 società che avrebbero dovuto chiudere i battenti a stretto giro. La quota maggiore del piano di dismissione e liquidazione messo a punto dal ministero della Funzione pubblica. Alle società con fatturato sotto il milione, infatti, avrebbero dovuto aggiungersi le 1.300 controllate con più consiglieri di amministrazione che dipendenti e le 500 con i conti in perenne rosso. Insomma, 3.700 società in tutto da chiudere in poco tempo sulle 8 mila circa del totale delle partecipate. Il governo a caccia di 3,4 miliardi di euro per la manovra correttiva promessa all'Unione europea, ci aveva anche messo un pensiero come alternativa all'aumento delle sigarette e della benzina. Il ministero della Funzione pubblica non ha mai quantificato il possibile risparmio della chiusura delle partecipate, ma alcune stime informali circolate parlavano di un miliardo di euro. Ora sul tavolo delle Regioni ci sarebbe una bozza di proposta del governo che prevede di abbassare la soglia di fatturato delle società da chiudere dall'attuale milione a 500 mila euro. Almeno per i prossimi tre anni, quando invece tutte le controllate che non avranno raggiunto il milione di giro d'affari verrebbero comunque chiuse. Quello che i governatori otterrebbero, insomma, è una proroga, ma non è detto che possa bastare, visto che le Regioni insistono che il tetto sia fissato definitivamente a 500 mila euro.
GLI ALTRI NODI
E non è l'unico punto sul quale gli Enti stanno cercando di strappare concessioni al governo. I Comuni vorrebbero che le loro società «in house», quelle cioè che ottengono affidamenti diretti, possano competere ai servizi messi a gara in altri ambiti territoriali. Era stata l'Anci, l'associazione dei Comuni, nei giorni scorsi a evidenziare la necessità di consentire alle società partecipate dei Comuni di presentarsi alle gare indette su tutto il territorio nazionale, nel caso in cui la competizione fosse su servizi a rilevanza economica come ad esempio il trasporto pubblico locale e la fornitura di gas, settori in cui da tempo il mercato è già liberalizzato. La versione originale del provvedimento aveva negato questa possibilità, mettendo un punto fermo su una situazione non definita, una sorta di vuoto normativo che finiva per essere determinato nella aule di tribunale.
C'è anche un altro punto di quella che si potrebbe definire voglia di restaurazione. Gli enti vogliono che il governo riveda le norme della legge Severino sulle incompatibilità per la nomina degli amministratori. La principale novità di quella legge era stata il divieto di far traslocare sulle poltrone delle partecipate i cosiddetti politici trombati alle elezioni, oltre al passaggio degli amministratori da una società ad un'altra nello stesso gruppo della Regione o del Comune. Regole che Regioni e Comuni vorrebbero rivedere, anche se non è chiaro se questa modifica possa essere inserita nel decreto sulle partecipate visto che la delega non lo prevede espressamente. L'appuntamento politico per discutere di tutti questi temi è fissato per domani. L'intenzione è di arrivare ad un'intesa per giovedì. Il ministro Marianna Madia vorrebbe salvare il provvedimento sulle partecipate. Accontentandosi anche della versione mini.

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