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Data: 15/03/2017
Testata giornalistica: La Repubblica
La virata di Renzi: "Voucher addio: non sono il jobs act, li ha messi la sinistra pd". Il retroscena: l'ex premier teme l'ondata del Sì. E vuole pure evitare polemiche con gli alleati nelle città

Disinnescare la mina. Evitare che il 28 maggio si trasformi in un nuovo 4 dicembre. Matteo Renzi stavolta non si lascia tentare dalla sfida. A ministri e capigruppo del partito impartisce un ordine di scuderia che non lascia margini a tentennamenti: "Abbiamo di fronte la battaglia congressuale e le amministrative, concentriamoci su quelle". Risulterebbe tombale, per la sua leadership, una seconda débâcle, dopo quella del referendum costituzionale. Potrebbe vanificare l'eventuale successo alle primarie Pd del 30 aprile e trascinare a fondo partito e candidati alle successive amministrative di giugno, spaccando le coalizioni di centrosinistra in corsa nelle città. Insomma, un disastro, visto dai radar renziani.

Allora la cancellazione dei voucher e della normativa sugli appalti, nel mirino del doppio quesito promosso dalla Cgil e dalla sinistra, diventa inevitabilmente il male minore. "Perché in fondo, diciamoci la verità, i voucher non sono stati una mia invezione, non c'entrano niente col Jobs Act" ragiona in queste ore l'ex premier. "Sono stati un'invenzione dei precedenti governi di centrosinistra sostenuti da quelli che ora vorrebbero cancellare i buoni". Bersani, D'Alema e i loro seguaci. Non diventeranno la bandiera per la quale il Pd renziano ha intenzione di votarsi al sacrificio finale. Non ora che sta tentando la faticosa rimonta.

E poi, era il ragionamento degli uomini dell'ex premier ieri pomeriggio in Transatlantico, la cancellazione dei "buoni" non era quel che volevano Camusso e la sinistra? Allora eccolo servito il decreto-ghigliottina, che il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni si è affrettato a mettere in cantiere. E questo nonostante nella conferenza stampa di fine anno il premier allora appena insediato, pur preannunciando modifiche, difendeva la filosofia dei voucher. "Non sono il virus che semina il lavoro nero, la madre di tutti i problemi e guai del mercato del lavoro", dice quel 29 dicembre. Adesso non c'è tempo da perdere. Il decreto va adottato in fretta in Consiglio dei ministri (forse già venerdì) per condurre la Cassazione alla cancellazione del referendum.

Renzi ha intravisto l'agguato dietro l'angolo. La consultazione per la quale la Cgil è in piena campagna già da tempo si è trasformata in una formidabile arma nelle mani degli scissionisti bersaniani. Quelli che lasciando il Pd si sono impressi non a caso l'Art.1 della Costituzione nel nome. Già, gli ex compagni di Mdp. "Meno male che dovevano essere l'elemento stabilizzatore del governo Gentiloni" sorride amaro Renzi in queste ore: "Sono nati due settimane fa e già hanno preso le distanze su missioni all'estero strategiche, usciranno dall'aula al primo voto di sfiducia contro un ministro e presentano una loro mozione per farlo dimettere". Non certo il profilo di futuri alleati alle politiche, è la conclusione inevitabile. "Il loro atteggiamento è a dir poco singolare" sbuffa il vicesegretario Lorenzo Guerini.

Il fatto è che, più in generale, i temi del lavoro hanno pian piano catalizzato, sotto traccia, interessi politici convergenti. E ora rischiano di coalizzare una nuova "santa alleanza" anti renziana con chances di successo analoghe alla precedente. Ieri da Matteo Salvini all'ex vendoliano Arturo Scotto era un coro in favore del Sì al referendum della Cgil. Replica dello spartito costituzionale, cinque mesi dopo.

Per non dire delle primarie Pd. Sul fronte dell'abrogazione dei voucher, se il referendum restasse indetto, si schiererebbero con molta probabilità i due avversari interni dell'ex premier. Anzi, Michele Emiliano lo ha già fatto senza perdere tempo: "Al referendum voterò due sì e avrei votato anche contro il Jobs Act e la modifica dell'Art.18". Tutto proiettato verso una sovrapposizione delle due campagne - primarie e referendum - dagli effetti per Renzi imprevedibili. Meglio per lui, per i suoi - e a conti fatti anche per la tenuta di Gentiloni fino al termine della legislatura - neutralizzare la mina. Prima che esploda.

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