ROMA «Nonostante le incertezze iniziali, l’andamento dell’economia sembrerebbe avere segnato un’inversione di marcia verso un’espansione meno fragile e più qualitativa». Era da tempo che l’ottimismo non trapelava dalle relazioni della magistratura contabile. Ma leggendo il Rapporto 2017 della Corte dei conti sul coordinamento della finanza pubblica, presentato ieri a Roma, è evidente un bilancio per una volta non negativo sull’andamento dei conti pubblici e sulle prospettive dell’economia italiana. «Finalmente - sottolinea la Corte - si è usciti da una fase di recessione protrattasi per otto anni». Sulla fine del tunnel indicata dalla Corte concorda anche il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, intervenuto alla presentazione del Rapporto: «I primi segnali dell’anno in corso sono molto incoraggianti e la nostra economia è in una fase di transizione verso una crescita più robusta e duratura». Certo i problemi non mancano, ma sono quelli noti, anche se i dati aggiornati ne ribadiscono la gravità. Come nel caso della pressione fiscale, notoriamente una delle più alte in Europa (42,9% del Pil), che tocca il picco tra le imprese. Entrando nel merito, la lente della Corte dei conti ripercorre molti dei fattori storici che da sempre frenano l’economia italiana, a partire dal cuneo fiscale, che da noi è di ben «10 punti» superiore a quello che si registra mediamente nel resto d’Europa: il 49% viene infatti prelevato «a titolo di contributi e di imposte». Quindi il cuneo «colloca al livello più alto la differenza fra costo del lavoro a carico dell’imprenditore e reddito netto del lavoratore». La pressione fiscale tocca il picco tra le imprese. Il total tax rate stimato per un’impresa di medie dimensioni, spiega la relazione, «testimonia di un carico fiscale complessivo (societario, contributivo, per tasse e imposte dirette) che penalizza l’operatore italiano in misura (64,8%) eccedente quasi 25 punti l’onere per l’omologo imprenditore dell’area Ue/Efta». Anche i costi di adempimento degli obblighi tributari che il medio piccolo imprenditore italiano deve affrontare ammontano in 269 ore lavorative, il 55% in più di quanto richiesto al suo competitor europeo. La Relazione tocca anche il nervo scoperto del processo di risanamento finanziario, che per l’Italia è «più faticoso» rispetto agli altri paesi europei. Per abbattere il debito pubblico, la carta delle dismissioni potrà giocare un ruolo importante che però, avverte la Corte, «difficilmente potrà risultare determinante nel breve/medio periodo». E d’altra parte in un contesto di crescita moderata, riduzioni rapide del debito potrebbero essere «eccessivamente costose». La Corte chiede infine grande cautela sul fronte delle entrate. Nelle ultime manovre il governo ha previsto un «rilevante contributo» dalle misure di contrasto all’evasione. Tuttavia «le difficoltà di verifica in sede di consuntivo inducono cautela nell’utilizzare tali proventi, per loro natura incerti, per finanziare maggiori spese o riduzioni di entrata certe». Sulle entrate volontarie, la Corte segnala che si tratta di «misure replicabili con difficoltà nei prossimi anni». Per i giochi, i risultati recenti sembrano evidenziare la relativa saturazione del settore e una tendenza alla «diminuzione della resa media». Quanto alle anticipazioni, potrebbero «alterare il meccanismo impositivo con il rischio di intaccare il gettito futuro». La situazione dei conti pubblici è sotto controllo? La Confesercenti parla di un «corto circuito fiscale» mentre Giovanni Toti (Fi) attacca il governo: «Dire che la pressione fiscale è calata è una balla»