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Data: 12/04/2017
Testata giornalistica: Il Centro
Pd, la fine di un’epoca. La vittoria del renziano Di Benedetto spacca la classe dirigente dem tra veleni e ripicche. «Ha vinto la città, ma ora tutti al lavoro sulle liste». Di Benedetto: qui è accaduto qualcosa di straordinariamente bello e importante

L’AQUILA «Stanotte la triade è finita». Il ritornello tra gli addetti ai lavori corre veloce di bocca in bocca. Un uomo organico al centrodestra, mescolato in mezzo a quelli del Pd che fanno festa attorno ad Americo Di Benedetto, fresco vincitore delle primarie, dà il titolo al colpo di scena delle consultazioni democratiche. Lo pensano tutti. Il ribaltone renziano, che travolge Pierpaolo Pietrucci, allievo prediletto di Giovanni Lolli – in un contesto di partito che pure ha votato Orlando segretario nazionale, e non certo l’ex premier – dall’altra parte della barricata, ma anche nell’immancabile opposizione interna, viene percepito come la fine di un’era. In tanti aspettavano questo momento. Cioè di rimettere un moderato – cresciuto all’ombra politica del conterraneo senatore e sottosegretario della Democrazia cristiana Achille Accili – a Palazzo Margherita. Dopo 24 anni trascorsi tra comunisti e post-comunisti (Centi e Cialente), missini e post-missini (Tempesta). LA TRIADE. Eppure, sia Lolli sia il sindaco Massimo Cialente sia la senatrice Stefania Pezzopane si spendono in larghi sorrisi e parole al miele nei confronti del presidente della Gran Sasso acqua spa, stazione appaltante di una maxi-commessa per 80 milioni da impiegare nella realizzazione dei sottoservizi. E ora candidato a salire su un’altra poltrona. Tutti e tre, quelli della triade, fanno festa a Di Benedetto e consolano lo sconfitto. Ma certamente, dietro ai sorrisi e alle frasi rituali, la spaccatura evidenziata dalle primarie è destinata a lasciare sul campo vari feriti. RIFONDAZIONE DC. In tema di benedizioni, la prima l’amministra solennemente, sulla folla plaudente dell’hotel Castello, il presidente del consiglio comunale Carlo Benedetti, che viene dai Comunisti italiani di Cossutta e le primarie non le voleva fare. Benedetti parla di «Rifondazione Dc» e ora chiede al Pd, e soprattutto a Di Benedetto, di spiegare da che parte vuole stare. Cioè di circoscrivere il perimetro entro il quale saranno ricomprese le liste della coalizione civico-progressista, che oggi va dai Cattolici democratici a Rifondazione e domani chissà. DOMANDE SCIOCCHE. Così la senatrice Pezzopane, capolista in assemblea nazionale per la mozione Renzi (con lei Antonio De Crescentiis, Lorenza Panei e Mario Mazzetti) liquida i commenti sulle truppe cammellate del centrodestra avvistate ai seggi, con tanto di padri nobili del conservatorismo ante litteram. E di imminenti candidati a destra come Luigi Di Luzio. E ancora, altri storici fan di De Matteis (tutti in lista Mpa nel 2012) come Antonello Passacantando, Corrado Ruggeri, Elia Serpetti arrivato da Arischia con un folto gruppo di supporter. Insomma, il Pd si allarga al centro. C’è chi rispolvera l’asse Lombardi-Ferrauto per puntare il dito contro l’esito dell’urna che ha sverniciato la sinistra. I COSTRUTTORI. Ci sono elettori. E grandi elettori. I primi hanno premiato Pietrucci nelle roccaforti rosse di Collebrincioni (62 a 35), Coppito (410 a 224), Sassa (267 a 194), Roio (173 a 131). Più in equilibrio Paganica (445 a 402). Nove i seggi a favore di Di Benedetto, ma il sostanziale testa a testa delle frazioni (bene a Preturo, effetto Tonino Nardantonio, benino a Bagno, effetto Tonino De Paolis), la differenza vera l’hanno fatta i voti del seggio Ance. E non solo come luogo fisico. Pietrucci, già genero del precedente capo dei costruttori Gianni Frattale, che ha cordiali rapporti con Di Benedetto anche per via dei sottoservizi, è andato male, malissimo, al Torrione: ha perso 1226 a 787. Pezzi importanti di Ance, pezzi di Confindustria e piccole imprese, hanno fatto una scelta di campo. Si narra di operai edili portati al voto col pulmino a fine turno. La triade è finita, viva la triade. C’è chi giura, tuttavia, che rinascerà dalle sue stesse ceneri.


«Ha vinto la città, ma ora tutti al lavoro sulle liste». Di Benedetto: qui è accaduto qualcosa di straordinariamente bello e importante. Adesso però la campagna elettorale vera passa per i candidati forti e credibili

L’AQUILA Una città sicura, accessibile e priva di barriere architettoniche, smart e con un’alta qualità della vita. E soprattutto, una città serena. Adulti e bambini, disabili ed emarginati, studenti e disoccupati: tutti, per Americo Di Benedetto, il vincitore delle primarie del centrosinistra, dovranno avere «voce in capitolo» nell’Aquila del futuro. All’indomani della competizione per la scelta del candidato sindaco, ancora frastornato per la nottata trascorsa a festeggiare e a rilasciare interviste nella hall dell’hotel Castello, diventato il quartier generale del centrosinistra, Di Benedetto ha chiaro in mente che il lavoro da fare non è finito, perché le elezioni devono ancora essere vinte. Con gli oltre 10.500 votanti alle primarie quella del 9 e 10 aprile è stata «una vittoria della città», spiega Di Benedetto, commercialista, presidente della Gran Sasso Acqua ed ex sindaco di Acciano, dove tutti lo conoscono benissimo e gli anziani lo hanno visto crescere. Di Benedetto, chi è il vincitore di queste primarie? «Ha vinto la città. Con una partecipazione così grande e con questo enorme entusiasmo si sono raggiunti dei numeri veramente importanti che certificano un percorso che va avanti ormai da tempo. Non credo si siano mai verificate primarie così partecipate in Italia. È stato come se a Roma avesse votato un milione di elettori». Come capitalizzare questo risultato? «Bisogna continuare con la linea dell’ascolto, della dedizione e del rispetto delle persone che lo hanno permesso. Si deve continuare lungo un percorso di programma condiviso con il mondo cittadino». Si aspettava un abbraccio collettivo così affettuoso lunedì sera? «Io credo che questa volta è davvero successo qualcosa di straordinariamente bello. C’è stata una scelta importante da parte dei cittadini; non c’è stato un allineamento alla prospettiva politica del soggetto che dà il consenso, ma una volontà di spendersi per scegliere il profilo del candidato sindaco che possa accontentare tutti. Una presenza libera, disinteressata, rivolta a cercare le condizioni per un governo cittadino adeguato ad affrontare le criticità, ma anche a immettere entusiasmo». Rispetto ad alcune figure in giunta, chi escluderebbe e cosa salverebbe? «Tutti dobbiamo essere salvati e metterci a disposizione per lavorare insieme. La competizione verrà in funzione della costruzione delle liste, che devono essere forti, credibili, in grado di entrare nel cuore della città, perché la campagna elettorale vera passa per i candidati. Una giunta è la sintesi delle istanze della città». Ritiene di dover lasciare la carica di presidente della Gsa? «Con i sottoservizi stiamo uscendo definitivamente dalla parte più critica del centro storico, abbiamo fatto un ottimo lavoro. Nonostante siano sorte delle inevitabili difficoltà, la mia figura ha trovato un riscontro positivo in questa campagna elettorale e questo mi dà la forza per andare avanti. Perché anche se crei dei disagi, ma lavori bene e ti relazioni e rispetti e ascolti le persone, cercando insieme a loro le soluzioni ai problemi, restano al tuo fianco. Quanto al mio ruolo alla Gsa, non ci sono criticità o incompatibilità. Dobbiamo, però, ponderare la strada da prendere per tutelare sia l’azienda, sia la prospettiva futura che mi vede coinvolto in questa competizione». Che cosa vi siete detti lunedì con il sindaco Cialente? «Massimo ha fatto una battuta, mi ha detto che avrebbe cominciato a pulire la sua stanza. Io gli ho risposto che non è così, perché c’è ancora tanto da lavorare. Quindi, direi di aspettare un po».

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