ROMA Come nel più rodato degli schemi delle trattative sindacali, l'accordo è arrivato alle tre della mattina del 14 aprile, qualche ora dopo la dead line fissata dalle banche e dalla società per ottenere il via libera dei lavoratori al piano di salvataggio della compagnia. Per adesso, in realtà, si tratta di un «pre-accordo», perché l'intesa raggiunta alle prime luci dell'alba dovrà essere ratificata dai dipendenti di Alitalia attraverso un referendum. Così, se da un lato è vero che il giorno dopo l'estenuante trattativa tutti, dal governo, alle banche, dai sindacati ai soci, tirano un mezzo sospiro di sollievo, dall'altro è vero anche che qualche apprensione sull'esito del voto dei lavoratori inizia a emergere.
LA POSIZIONE
Il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, ha subito avvertito che se si dovesse verificare lo scenario peggiore, ossia la vittoria del «no», il commissariamento della compagnia sarebbe inevitabile. In questo caso tutti i costi finirebbero sulle spalle dello Stato e il conto sarebbe superiore «a un miliardo di euro». Sindacati e azienda preferiscono vedere il bicchiere mezzo pieno. C'è fiducia che il «si» possa prevalere agevolmente. Tutti hanno ottenuto qualcosa. E tutti hanno dovuto rinunciare a qualche altra cosa. Il presidente designato di Alitalia, Luigi Gubitosi, ha spiegato di non aver ottenuto «tutto quello che volevamo». Ma è bene che la dead line sia stata rispettata, un passo oltre ci sarebbe stato il baratro con le casse vuote. La leader della Cgil, Susanna Camusso ha sottolineato come il sindacato sia riuscito a ridurre le pretese dell'azienda. I segretari di Cisl e Uil, Anna Maria Furlan e Carmelo Barbagallo, si sono detti convinti che «i lavoratori non faranno mancare il loro senso di responsabilità». A chiedere la condivisione da parte dei lavoratori è stato ieri lo stesso Premier, Paolo Gentiloni. «L'impegno del governo è stato incessante in questi mesi», ha detto il premier. «Alitalia», ha aggiunto, «è una azienda privata ma il governo non ha risparmiato sforzi per cercare di ottenere un piano industriale condiviso che mi auguro venga confermato nel referendum». La data del voto sarà decisa la prossima settimana, ma è probabile che il referendum si svolga dal 19 al 24 aprile. Due giorni dopo, il 26 aprile, ci sarà una verifica al ministero dello Sviluppo economico, e se le cose saranno andate per il verso giusto si potrà procedere alla firma dell'accordo.
LO SBLOCCO
Il passo immediatamente successivo sarà lo sblocco della ricapitalizzazione: 2 miliardi di euro di cui 900 milioni di nuova cassa. In più l'impegno del governo a coprire con una garanzia pubblica fornita da Invitalia, 200 dei 400 milioni del fondo di emergenza, un tesoretto al quale attingere nel caso in cui il piano industriale non dovesse restituire i risultati preventivati. Gli altri due miliardi, invece, li metterà Etihad. Il punto centrale, dunque, è se i conti torneranno anche con le concessioni strappate dai sindacati. Il numero degli esuberi del personale a tempo indeterminato si è ridotto dagli originali 1.338 a 980. Il taglio degli stipendi è stato ridotto all'8%. Le attività che dovevano essere esternalizzate non lo saranno più. Ci saranno incentivi all'esodo. Per il personale navigante gli scatti passano da annuali a triennali, con il primo aumento spostato al 2020. Ci sarà un tetto agli aumenti retributivi e i neo assunti avranno la paga più bassa dei «city liner» a prescindere su quale aeromobile saranno imbarcati. Sul lungo viaggio ci sarà un assistente di volo in meno. Basterà a far tornare i conti del piano? Sì, secondo autorevoli fonti aziendali, anche se, aggiungono le stesse fonti, la coperta è stata tirata fino ad un limite massimo. Oltre il quale resta solo il commissariamento.
Tra paura, scetticismo e fiducia. L’intesa divide piloti e hostess
ROMA Al terminal 1 delle partenze internazionali del Leonardo da Vinci si respira aria di preoccupazione. Il pre-accordo tra Alitalia e i sindacati convince a metà piloti, hostess, steward che lavorano allo scalo romano di Fiumicino, dove ieri il personale in servizio si è diviso tra scettici e pessimisti. Ai check-in dove, complice anche il venerdì che segna l'inizio del week-end di Pasqua, si sono registrate code e file record sono in pochi a voler parlare. Il timore è quello di finire nelle liste di proscrizione che l'azienda potrebbe stilare in questo momento così delicato per chi rilascia dichiarazioni non autorizzate. «Ho paura per il mio lavoro- rivela Laura, da oltre venti anni in Alitalia - il nostro incubo è ciclico e si ripropone a ogni fase difficile che vive la società».
Saranno i dodicimila lavoratori a dover scegliere il loro futuro con il referendum che i sindacati hanno indetto per i prossimi giorni. E Fiumicino resta un baluardo importante, dove si concentra l'impegno più alto di Alitalia in termini di risorse umane e velivoli operativi. «Non vogliamo che la nostra compagnia assomigli sempre più a una low-cost- si lascia andare L.D.C., capo cabina dal 2008 - purtroppo i tagli ai salari, la riduzione dei giorni di riposo e le ore di volo ci costringeranno a ritmi massacranti». Ma c'è anche chi ha fiducia in questo nuovo accordo che si sta aprendo all'orizzonte. «C'è stato comunque un abbattimento degli esuberi racconta Federico, che si occupa di manutenzione negli hangar - bisogna essere ottimisti anche se la situazione è particolare e di certo non è facile». «Ci risiamo per la terza volta in otto anni rientro in questo tunnel - fa sapere Francesca, assistente di volo e di nuovo il mio futuro e quello della mia famiglia sono a repentaglio. Voglio vederci positivo, però questa volta».
Più duri i sindacati. «È una tragedia per la categoria con 1700 esuberi, di cui 980 gestiti con la cassa-integrazione - tuona Antonio Amoroso della cub Trasporti- un piano di lacrime e sangue senza alcun progetto di rilancio». «La parola passa ai lavoratori adesso- aggiunge Fabrizio Cuscito, del trasporto aereo Filt- Cgil- il nostro per ora rimane un verbale di confronto e non è un accordo».