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Data: 15/04/2017
Testata giornalistica: Il Centro
Il reddito di inclusione per due milioni di poveri. Via libera da Gentiloni: 485 euro al mese alle famiglie sotto la soglia di indigenza.Il governo stanzia 1,8 miliardi. Mdp: «Ne servono sette». Camusso: «Primo passo»

ROMA Un fondo complessivo da 1,8 miliardi per contrastare la povertà e aiutare le famiglie sotto la soglia di indigenza, partendo da quelle con bambini. Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha firmato ieri il memorandum che istituisce il reddito di inclusione (Rei) ed ha assicurato che i decreti attuativi saranno pronti entro fine mese. «È un primo risultato- ha detto il premier - ma è anche la prima volta che l’Italia si dota di uno strumento universale. La crisi che abbiamo attraversato, la più grave dal dopo-guerra, ci ha lasciato un incremento della povertà, ci sono 1,5 milioni di famiglie povere. Chi governa deve riconoscere il problema» ha detto Gentiloni. Scondo i dati Istat pubblicati ieri la povertà “assoluta” in Italia nel 2015 coinvolgeva il 6,1% delle famiglie residenti (pari a 4,6 milioni di individui). Rispetto al 2014 sono peggiorate soprattutto le condizioni delle famiglie con quattro componenti (dal 6,7% al 9,5%). Sempre nel 2015 il Pil pro capite dell’Italia, misurato in standard di potere d’acquisto risultava inferiore del 4,5% rispetto a quello medio dell’Ue e più basso del 23,6 di quello della Germania. La povertà è poi sicuramente anche legata alla carenza di lavoro: nel nostro Paese nel 2015 si registrava il tasso di occupazione più basso in Ue a eccezione della Grecia. «Il reddito di inclusione per due milioni di persone» ha sottolineato Gentiloni «è un impegno per la dignità e la libertà dal bisogno». L’assegno potrà arrivare fino a 485 euro al mese a nucleo ma sarà legato al «reddito disponibile» del nucleo familiare e quindi al netto dell’eventuale affitto pagato. L’assegno terrà conto anche del numero dei componenti e della composizione della famiglia. La soglia per ottenere il beneficio sarà indicata nei decreti attuativi ma non dovrebbe essere inferiore a 6.000 euro, quindi superiore a quella usata per il Sostegno per l’inclusione attiva (Sia) in vigore ora. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha spiegato che con il reddito di inclusione che partirà a breve, non ci si limiterà a dare sostegno economico alle famiglie in condizioni di povertà ma si prenderanno «in carico» questi nuclei con l’obiettivo dell’uscita da questa condizione guardando anche al lavoro e all’insieme dei servizi sociali. «Il trasferimento monetario è semplice ma è più complesso costruire un percorso per queste famiglie che faticano a uscire da questa condizione» ha detto Poletti. La misura adottata dal governo trova il favore della Cgil che, con Susanna Camusso, parla di un primo passo in avanti. «Le risorse sono ancora insufficienti a determinare che sia un processo universale ma intanto pensiamo di aver messo la prima pietra» dice la numero uno del più grande sindacato italiano che aggiunge: «è un passo importante anche sul piano del metodo: quello di riconoscere l’Alleanza contro la povertà che da anni sta proponendo una scelta sul tema inclusione e non solo sussidi, per uscire davvero dalla trappola della povertà, per costruire processi di inclusione e di lavoro che sono poi quelli fondamentali per avere una prospettiva di vita». Anche il leader della Uil, Carmelo Barbagallo, plaude all’iniziativa mentre dalle opposizioni arrivano stroncature. Renato Brunetta parla di un provvedimento «vuoto» mentre Mara Carfagna si chiede cosa fa il governo per gli altri 2,5 milioni di persone che sono fuori dal reddito di inclusione. Sulla questione interviene anche il capogruppo di Articolo 1-Mdp alla Camera, Francesco Laforgia: «Il reddito di cittadinanza è un primo passo ma inadeguato se su quel piatto non si mettono, a regime, almeno 7 miliardi».

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