ROMA Natale, Santo Stefano, Pasqua, 25 aprile, primo maggio e ferragosto. La polemica è ormai un appuntamento puntuale da sei anni a questa parte: sindacati da una parte e amanti dello shopping dall'altro. È giusto o no tenere i grandi centri commerciali aperti nei giorni delle festività nazionali, costringendo migliaia di lavoratori a fare i turni nei negozi anziché riposarsi? Diritto alla sciopero, diritto all'impresa, diritto ad andarsene in giro per negozi nel tempo libero: la querelle va avanti da quando il governo Monti, nel pieno della crisi finanziaria e degli attacchi ai paesi deboli di Eurolandia, varò il decreto Salva-Italia nel quale inserì anche la totale liberalizzazione delle aperture domenicali e festive nel commercio. Anzi le prime avvisaglie ci furono prima: quando l'allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi, emanò un'ordinanza per consentire ai commercianti del centro storico di tenere aperte le saracinesche il primo maggio, e la leader Cgil Susanna Camusso gliene disse di tutti i colori.
E anche stavolta l'appuntamento è stato rispettato: i gestori del più grande outlet d'Europa, quello di Serravalle in provincia di Alessandria, hanno deciso di tenere il magastore aperto a Pasqua, ma molti dei lavoratori hanno detto no e, appoggiati dai sindacati, ieri hanno scioperato con tanto di corteo che ha reso per buona parte della mattinata particolarmente complicato arrivare al centro commerciale.
Complicato, ma non impossibile. Chi aveva deciso di passare qualche ora nella cittadella dello shopping, lo ha comunque raggiunto, pur dovendo parcheggiare un po' più lontano. E la giornata ha mostrato anche gli immancabili cinesini che hanno deciso - prima di abbuffarsi di abbigliamento made in Italy a prezzi Iiperscontati - di scattarsi un po' di selfie in mezzo alle bandiere e ai lavoratori che protestavano. Una volta dentro poi tutto sembrava regolare. Solo uno dei 250 negozi presenti era chiuso: il titolare ha manifestato insieme con i lavoratori.
DIRITTI CONTRAPPOSTI
L'impatto mediatico è stato comunque forte. Molti politici di sinistra (del Pd ma anche gli scissionisti) hanno cavalcato la protesta diffondendo comunicati contro «la politica sorda di fronte alla progressiva compressione dei diritti dei lavoratori». I sindacati hanno rincarato: «Il lavoro non è una merce. Si può fare a meno dello shopping nei giorni di festa». L'azienda ha ricevuto una delegazione dei lavoratori in protesta, ma la situazione non si è sbloccata. E per oggi è stata annunciata una replica. Altri scioperi poi sono stati proclamati in Puglia, Toscana e Veneto.
Il lavoro nei giorni festivi e domenicali non è una prerogativa dell'outlet di Serravalle. Secondo un'analisi della Cgia di Mestre sono 4,7 milioni gli italiani che lavorano la domenica. Una quota significativa sarà in negozio, alla guida di un autobus o di un'ambulanza, in corsia di ospedale, nelle cucine dei ristoranti o ai piani degli hotel, anche il giorno di Pasqua. E non sono pochi quelli che pur di portare uno stipendio a casa, rinunciano senza troppi drammi al giorno festivo. «Meglio crumiro che disoccupato» ha replicato ieri una lavoratrice del megastore di Serravalle ai colleghi che l'additavano perché aveva deciso di non aderire alla protesta.
Intanto in Parlamento hanno già provato a ridimensionare la completa liberalizzazione: a settembre 2015 la Camera ha approvato un disegno di legge che mette dei limiti alle aperture festive, non oltre sei nell'anno, mentre quelle domenicali restano completamente libere così come la possibilità dell'orario h24. Ma il ddl si è impantanato al Senato.