ROMA L'anticipo pensionistico si avvia a diventare realtà: ieri il premier Paolo Gentiloni ha firmato il primo dei due decreti attuativi, quello sul cosiddetto Ape social. Il provvedimento dovrà ora passare il vaglio del Consiglio di Stato, ma è molto probabile che la deadline del primo maggio, più volte promessa dal governo, sarà rispettata. L'annuncio della firma è stato dato direttamente da Palazzo Chigi sia sul sito istituzionale, che attraverso un tweet.
Per ora ancora non è stato diffuso il testo, ma non ci dovrebbero essere sorprese rispetto a quanto concordato con i sindacati. L'Ape sociale o agevolata è lo strumento che consente a chi si trova in condizioni particolarmente svantaggiate o a chi svolge lavori gravosi, di andare in pensione fino a tre anni e sette mesi di anticipo rispetto agli attuali requisiti previsti per la pensione di vecchiaia. A differenza dell'Ape volontaria (il cui decreto attuativo non è stato ancora firmato), il costo sarà tutto a carico dello Stato. Che a questo fine ha stanziato per quest'anno 300 milioni di euro. La misura per ora è sperimentale e secondo le previsioni del governo dovrebbero essere circa 35.000 i lavoratori interessate.
LE DUE PLATEE La pensione, corrisposta per 12 mesi l'anno, sarà pari all'importo della rata mensile calcolata al momento dell'accesso alla prestazione ma non potrà comunque superare l'importo massimo mensile di 1.500 euro e non è soggetta a rivalutazione. Le domande per poter accedere all'Ape social dovranno essere presentate tra il primo maggio e il 30 giugno. Il pagamento della prestazione dovrebbe poi scattare tra settembre e dicembre. Per il 2018 la finestra per le domande sarà dal primo gennaio al 31 marzo. Fermo restando il requisito anagrafico di almeno 63 anni di età compiuti, il provvedimento prevede due platee di lavoratori: quelli che versano in condizione di particolare disagio; quelli che negli ultimi 6 anni sono stati occupati in mansioni particolarmente gravose e faticose. Nel primo caso si parla di lavoratori disoccupati (in seguito a licenziamento) che abbiano esaurito gli ammortizzatori sociali e i sostegni al reddito da almeno 3 mesi; di lavoratori che assistono da almeno 6 mesi parenti di primo grado in condizione di handicap grave; di invalidi civili non inferiori al 74%: per chi si trova in queste condizioni oltre ai 63 anni di età servono 30 anni di contributi.
Chi invece svolge attività gravose e pesanti (come gli operai dell'edilizia, conduttori di mezzi pesanti e convogli ferroviari, insegnanti dei nidi e della scuola dell'infanzia, infermieri organizzati in turni, addetti alla cura e assistenza di persone non autosufficienti, operatori ecologici), oltre ai 63 anni di età, è richiesto un minimo contributivo di 36 anni, con gli ultimi 6 in via continuativa in una di queste attività gravose. Un paletto quest'ultimo considerato troppo vincolante dai sindacati che hanno chiesto di conteggiare i sei anni al netto di sette anni (il che ad esempio farebbe rientrare anche coloro che hanno interrotto le mansioni fino a 12 mesi per una cassa integrazione). Durante l'ultimo confronto il governo ha promesso di valutare la possibilità. Non è detto però che questa versione faccia già parte del decreto firmato ieri da Gentiloni. Se così non fosse, la correzione potrebbe arrivare a breve con un altro provvedimento.