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Data: 21/04/2017
Testata giornalistica: Il Centro
Metà della vita in pensione. Il record di “baby” Franco. Crecchio, Di Ludovico ha 68 anni: a 34 il primo assegno previdenziale «Ho voluto cambiare professione avendo però le spalle coperte». Ma con la riforma Fornero addio anzianità

CRECCHIO In tempi in cui l’età della pensione si allunga sempre di più nel tempo, Franco Di Ludovico, 68 anni di Crecchio, si appresta a tagliare un traguardo da guinness dei primati: aver trascorso metà vita da pensionato. Accadrà domani. Di Ludovico, perché il 22 aprile sarà una giornata importante per lei? «Perché compirò 68 anni, sei mesi e sedici giorni, quindi metà vita in pensione. Quest'ultima l'ho acquisita dal 14 gennaio 1983. All'epoca avevo 34 anni, tre mesi e otto giorni». Come è riuscito ad ottenere la pensione così giovane? «L'ho avuta grazie ai contributi versati e alla legge 29/79, modificata tantissime volte e mai abrogata. Nel 1982, venendo a conoscenza di questa legge e immaginando che non mi sarebbe capitata un’altra occasione, ho preso la palla al volo. E così il 14 gennaio 1983 sono andato in pensione». Prima di allora come era stata la sua vita? «Io sono originario di Crecchio, dove ho iniziato a lavorare versando contributi da coltivatore diretto per undici anni. Poi ho mollato tutto e mi sono trasferito in Veneto dove ho lavorato come postino a Venezia. Un mestiere che ritengo bellissimo. Stavo sempre a contatto con la gente e questo particolare a me è sempre piaciuto. Ero davvero affezionato al mio lavoro». Allora perché l’ha lasciato? «Semplicemente, nel 1982 ho scoperto la legge 29/79 e ho presentato le mie dimissioni con diritto a pensione. Ho nove anni di contributi versati come postino: ma con quella scelta fatta, ho deciso di vivere una nuova vita professionale con passione e spalle coperte. Voglio precisare però che per dodici anni ho dovuto pagare una somma per la ricongiunzione dei contributi». A quanto ammontava la sua pensione? «A quei tempi era di circa 300mila lire. Secondo la legge mi spettava il 60% dello stipendio». E cosa ha fatto dopo quel fatidico 14 gennaio 1983? «Mi sono dedicato a un nuovo lavoro. Ho fatto il rappresentante editoriale nella provincia di Venezia. In sostanza vendevo libri. Un impiego che ho portato avanti con gioia fino al 2014. Ho quindi versato altri trentuno anni di contributi, nonostante la mia pensione, per un totale di 51 anni». Cosa le hanno detto familiari e amici quando ha annunciato che sarebbe andato in pensione? «C'era chi sosteneva che al mio posto avrebbe rinunciato a quella fortuna. A queste persone io rispondevo: “non sono scemo e non voglio essere chiamato scemo per tutta la vita”. Ho semplicemente approfittato di un'opportunità che mi veniva concessa. Purtroppo alcuni miei conoscenti abruzzesi, informati da me della legge, hanno pensato che io fossi veramente scemo, cioè che raccontavo balle». Oggi com’è la sua vita? «Da tre anni sono tornato a vivere in Abruzzo, a Crecchio. Mi sto godendo la mia terza vita, quella da vero pensionato. Ho ritrovato vecchi amici e compagni di scuola. Ora posso dire che mi sto godendo la vecchiaia. Non ho moglie nè figli, trascorro le mie giornate in giro, pranzo spesso fuori casa. Ho una bellissima vita». È consapevole dell'eccezionalità del suo caso e di quanto sia particolare la sua storia? «Sì certo. Non è da tutti trascorrere metà della propria esistenza in pensione. D'altronde ho sempre creduto di avere un vero e proprio primato, fino a quando sono venuto a conoscenza del fatto che in realtà esiste qualcuno che mi batte». Cioè? «Sul Gazzettino di Venezia un giorno lessi che c'è una donna fiulana che è andata in pensione, in quello stesso periodo, all'età di 29 anni e mezzo. Mi sono sempre proposto di conoscerla, purtroppo vivendo una vita intensissima non l'ho mai fatto. Lei è la campionessa mondiale in senso assoluto. Io però, andando in pensione a 34 anni tre mesi e otto giorni, sono il campione mondiale per la categoria maschile».

Ma con la riforma Fornero addio anzianità
Gli interventi legislativi dal 1995 al 2011 hanno alzato l’asticella dei requisiti fino ad abolire le quote

PESCARA Il sogno della baby pensione è finito da tempo. E anche quella della più normale pensione d’anzianità. Semmai oggi il rischio è l’opposto: cioè quello di un progressivo allontanamento nel tempo dell’età pensionabile soggetto all’adeguamento alla speranza di vita. La baby pensione è stata ridimensionata nel 1992 e poi abolita definitivamente dalla riforma Dini el 1995. Fino al 31 dicembre 2007 si accedeva alla pensione di anzianità (quindi anticipata rispeto ai limiti di età che garantiscono la pensione di vecchiaia), con 57 anni di età e 35 anni di contributi. Nel 2008, bocciato lo scalone che prevedeva l'età minima a 60 anni, furono introdotte le quote. Nel 2011 si accedeva alla pensione con quota 96: 60 anni di età e almeno 35 anni di contributi più il resto che serviva a raggiungere la quota. Nel 2010 è stata introdotta la finestra mobile: dalla data di raggiungimento dei requisiti si arrivava alla pensione dopo 12/18 mesi. Con la riforma Monti-Fornero la pensione di anzianità è stata accantonata e si parla ormai solo di pensione anticipata (anche se l’anzianità è stata mantenuta per chi ha raggiunto i requisiti al 31 dicembre 2011), che però è diventata un miraggio per chi ha cominciato a lavorare da poco. Indipendentemente dall'età anagrafica nel triennio 2016/2018 per anticipare l’età pensionabile sono richiesti 41 anni e 10 mesi di contributi per le lavoratrici e 42 anni e 10 mesi per i lavoratori. Ora, a decorrere dal 1° maggio 2017, il governo Renzi con la legge 232/2016 ha introdotto una riduzione del requisito contributivo a 41 anni (sempre a prescindere dall'età anagrafica del lavoratore) per i lavoratori precoci. Cioè sia per gli uomini che per le donne che abbiano svolto almeno 12 mesi di lavoro effettivo prima del 19° anno di età e che appartengano a determinate categorie (disoccupati a seguito di licenziamento, invalidi con una invalidità non inferiore al 74%, soggetti che assistono disabili, addetti a lavori usuranti, addetti a lavori gravosi). Il requisito contributivo agevolato di 41 anni di contributi è comunque soggetto ai futuri adeguamenti alla speranza di vita e l'agevolazione è fruibile entro un determinato vincolo di bilancio annuo. Dunque anche in questo caso la situazione è precaria e destinata a mutare.

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