ROMA Roberto Romeo racconta che le sue telefonate di lavoro duravano anche venti minuti, o mezz’ora, una serie di contatti che alla fine della giornata portavano il totale delle sue chiamate a tre o quattro ore. E sempre senza auricolare. «Telefonavo in continuazione: a casa, in macchina, per parlare con i collaboratori, per organizzare e coordinare le operazioni. E così mi sono ammalato». All’inizio solo la sensazione fastidiosa di orecchio chiuso. Fino alla scoperta di un tumore, per fortuna benigno, un neurinoma dell’acustico, nel 2010, seguita dall’asportazione del nervo e dalla perdita dell’udito all’orecchio destro. La storia di Romeo, 57 anni, per 15 dipendente di una grande azienda telefonica, sul piano giuridico è un caso destinato a fare scuola e sul piano scientifico ad alimentare il dibattito su una materia che offre oggi poche certezze. «Per la prima volta una sentenza riconosce il nesso di causa tra l’uso improprio del cellulare e un tumore al cervello. È necessario riflettere su questo problema e adottare le giuste contromisure» dicono gli avvocati Renato Ambrosio e Stefano Bertone commentando la sentenza di primo grado con cui, il 30 marzo scorso, il tribunale di Ivrea ha riconosciuto una correlazione tra il prolungato uso del telefonino e la comparsa del neurinoma, patologia benigna ma invalidante. E poiché la malattia, affermano i giudici, è stata determinata dall’impegno professionale, l’Inail (l’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro) viene condannato a corrispondere a Romeo una rendita di circa 500 euro al mese. Il consulente tecnico d’ufficio ha riconosciuto infatti un danno biologico permanente del 23%. «Speriamo - dicono i legali - che la sentenza spinga a una campagna di sensibilizzazione. Per questo abbiamo aperto il sito www.neurinomi.it, dove si possono trovare consigli utili per l’uso del telefonino». «Non voglio demonizzare l’utilizzo del telefonino - sottolinea Romeo - ma credo sia necessario farne un uso consapevole». «Sulla base dei criteri elencati nel preambolo delle monografie della Iarc, le emissioni a Rf/Mo dei telefoni mobili (cellulari e cordless) dovrebbero essere classificate nel gruppo 1 dei sicuri cancerogeni per l’uomo» scrive il professor Angelo Levis, sottolineando che l’Italia «a differenza di tanti Paesi in Europa e nel mondo, non prende misure per contenere la nocività dei cellulari perché i suoi specialisti continuano a sostenere l’innocuità delle radiazioni». I risultati delle indagini - continua Levis - non lasciano dubbi circa l’esistenza di un rapporto causa effetto tra l’esposizione abituale per lungo tempo ai cellulari e il rischio, almeno raddoppiato e statisticamente significativo al 95% di probabilità, di tumori alla testa». “Safer phone zone” si trovano tra l’altro negli Usa, in Canada, Austrialia, Israele, Francia, Russia, Belgio, Irlanda, Regno Unito, India, Svizzera, Corea, Giappone. Su un caso simile si era pronunciata, nel 2009, la Corte d’Appello di Brescia, accogliendo il ricorso dell’impiegato di una ditta colpito da un tumore per le quindicimila ore passate al telefonino sul lavoro. L’Inail fu condannata a corrispondere una rendita per malattia professionale, decisione confermata dalla Cassazione