ROMA Personale di volo, piloti e assistenti, massicciamente schierati per il no, fino a raggiungere il 67%, a conclusione dello spoglio, nella tarda serata di ieri. A esprimersi per il sì soprattutto il personale di terra. I contrari sono stati 6.816, i favorevoli 3.206. Schede bianche 17, nulle 134. È l'esito della consultazione tra i lavoratori sull'ipotesi di accordo per il rilancio di Alitalia, sottoscritta dai sindacati confederali, Ugl e Anpac. Dunque una risposta negativa. Così, dopo 70 anni di attività, caratterizzati negli ultimi due decenni da una serie di salvataggi tentati e non riusciti, la compagnia di bandiera pare arrivata a fine corsa, a meno di clamorosi ripensamenti da parte del governo che alla vigilia aveva escluso soluzioni alternative al piano da due miliardi faticosamente messo a punto.
GLI ASSET Dopo che i risultati saranno stati ufficializzati arriverà quindi un commissario straordinario con il compito di proseguire per il momento l'attività ma anche di vendere al miglior offerente i vari asset aziendali, dalle rotte agli aerei. Così in assenza di un acquirente interessato a rilevare l'intera società la prospettiva è quella di uno spezzatino a cui seguirebbero la liquidazione e gli ammortizzatori sociali per il personale non riassorbito.
Lo scrutinio si è svolto nel pomeriggio di ieri in un clima di tensione negli scali milanesi di Linate e Malpensa (c'era un piccolo seggio anche a Torino Caselle) e poi soprattutto a Roma Fiumicino, dove si concentra la maggior parte dei lavoratori. I no hanno stravinto tra il personale di volo, con 3.166 voti contrari e 304 favorevoli, ma hanno prevalso anche tra il personale di terra proprio a Fiumicino, con 648 contro 407 e in quello della cosiddetta pista, con 957 contro 577. A Malpensa 278 no e 39 sì, bocciatura a Linate (698 a 153) e dagli uffici della Magliana (amministrativi, call center, informatici, con 193 contrari e 39 favorevoli). I «sì» hanno prevalso tra amministrativi e personale non operativo (777 voti contro 443 no), nel reparto manutenzione (749 a 373) e nelle periferie (161 a 60).
LA PROPORZIONE Era nota la posizione contraria degli addetti al volo. Quando sono iniziati ad arrivare anche i dati relativi ai dipendenti di terra, che pure pesano un po' di più sul totale del personale, è apparso abbastanza chiaro che tra loro il sì prevaleva, ma con una proporzione non sufficiente a ribaltare l'esito del referendum. Gli stessi sindacati firmatari dell'accordo, sconfessati dalla base, lasciavano intendere che l'esito sarebbe stato negativo rivolgendo una sorta di appello al governo a cercare «ogni soluzione possibile per evitare decisioni che sarebbero traumatiche e non più modificabili». Alla fine è stata superata la quota decisiva del 50 per cento, su 10.101 votanti (gli aventi diritto erano 11.600).
LE REAZIONI Il conteggio delle schede è stato accompagnato da una certa prudenza nei commenti politici; con la vistosa eccezione del Movimento Cinque Stelle che con largo anticipo si è rallegrato della vittoria del no. «Il governo ha perso un altro referendum - hanno dichiarato i rappresentanti del movimento nelle commissioni parlamentari Trasporti e Attività produttive -, chiedendo l'individuazione di «un valido commissario che conosca a fondo l'azienda e che sappia ridarle lo slancio che merita costruendo sinergie con partner industriali competenti e affidabili». Per l'ingresso dello Stato nel capitale si è pronunciato Stefano Fassina di Sinistra italiana. Daniele Capezzone, deputato di Direzione Italia, si è espresso invece con chiarezza in senso opposto: «Basta soldi dei contribuenti italiani per Alitalia, basta salvataggi, basta sprechi, I contribuenti hanno già dato a sufficienza, ora la parola al mercato».
Perché no. Il pilota
«Basta sacrifici, qualcuno ora affronterà il problema»
ROMA Votare no ha significato dare un voto di protesta?
«È un voto deciso e non di protesta. È un voto anche di rabbia. Dopo tre fallimenti consecutivi, mi sono stancato di fare sacrifici che hanno portato a poco o a nulla». Risponde così A.D. 45 anni pilota Alitalia.
Adesso come vede il suo futuro?
«Quando ho messo la croce sul no ho fatto una scelta ben precisa: quella di fidarmi. E vorrei fidarmi del mio Paese e non temerlo. Non ho paura del piano straordinario del governo e non ho paura del commissario liquidatore. Dovranno comunque prendere degli impegni nei nostri confronti».
Perdere parte dello stipendio vi ha portati in massa a votare?
«Non è solo una questione di soldi. Gli equipaggi e il personale navigante sono chiamati a grandi sacrifici dal 2008 sia in termini di esuberi di posti di lavoro che di tagli continui ai nostri salari».
Non si rischia di passare per mercenari in questo modo?
«Dire sì significava sottostare a sacrifici al limite dell'accettabilità, compresa quella dell'abbassamento dei compensi. Ma rifiutare questo non credo significhi essere mercenari».
Ma non era meglio un accordo firmato e un'azienda viva, piuttosto che una grande incognita come quella del commissariamento?
«La verità in realtà è quella che ci siamo stancati di dover affrontare di volta in volta crisi e momenti di difficoltà. A mio avviso è arrivata l'ora che qualcuno debba prendersi carico del caso Alitalia. E preferisco un futuro con un punto interrogativo che iniziare di nuovo tutto da capo».
Ma è vero che i piloti hanno votato no anche perché possono facilmente trovare un nuovo lavoro anche in altre compagnie all'estero?
«È vero i piloti italiani sono molto richiesti, ma questo non credo possa essere sufficiente a giustificare così tanti no».
Perché sì L'hostess
ROMA Perché ha votato sì?
«Perché ci ho creduto fino alla fine. Perché sono una precaria e ho voluto difendere il mio posto di lavoro con tutte le mie possibilità». Ha ancora il viso preoccupato N.G., 38 anni e da 15 hostess Alitalia di medio e lungo raggio.
Come si sente?
«Scossa. In un frullatore. Perché non so ora quello che potrà succedere. Perché non vorrei vedere annullati tutti i sacrifici fatti finora».
Come vede il suo futuro adesso?
«Sinceramente? Non so come vederlo e come dovrei vederlo. Ma il problema è che nessuno lo sa, neanche chi ha votato no. Il sì ha rappresentato una speranza per molti, il no un'incognita per tutti. E tra i due ho preferito avere la speranza».
Ma sono tanti quelli che hanno votato no, cosa si sente di dire a loro?
«Non vorrei che chi ha votato no si sia fatto pilotare, che non sappia nemmeno a cosa potremmo andare incontro».
Pilotati da chi, dai sindacati?
«Soprattutto da loro. In realtà i sindacati hanno fatto come Ponzio Pilato, se ne sono lavati le mani e hanno lasciato la responsabilità a noi lavoratori. A questo punto mi chiedo a cosa possano servire».
È delusa?
«Da questa situazione che si è creata molto. Ho votato a favore perché era l'unica strada per difendere il mio posto di lavoro. Per poter credere nella possibilità di crearmi una famiglia tutta mia».
È la fotografia di tutti quelli che hanno votato sì ma è vero che qualcuno ha subito minacce?
«Le pressioni in questi giorni sono state tante e da più parti. Non le chiamerei minacce. Ognuno ha cercato di difendere il suo orticello».
È per questo che ha votato sì?
«Ho votato sì perché sono stanca di queste reazioni di pancia, istantanee. Di questo populismo e di questa sorta di continui vaffa-day. Avevo voglia di concretezza, rispetto all'incognita oscura del commissariamento».