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Pescara, 24/11/2024
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25/04/2017
Il Centro
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Alitalia, i lavoratori bocciano l’accordo. Non c’è paracadute. Alta l’affluenza alla consultazione, prevalenza di contrari. Vertice tra Gentiloni e i ministri. In arrivo un commissario. Vent’anni di tentativi per salvare la compagnia |
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ROMA La protesta si riversa nelle urne. I lavoratori di Alitalia hanno bocciato il pre accordo stipulato il 14 aprile tra azienda e sindacati. Ieri pomeriggio, già dalle prime schede scrutinate, era emerso l’andamento verso il “no” al referendum tanto che il premier Paolo Gentiloni ha incontrato, a Palazzo Chigi, il ministro per le Infrastrutture Graziano Delrio, il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda e il ministro del Lavoro Giuliano Poletti per fare il punto. Quando tra il personale di volo era emersa la vittoria schiacciante del “no”, nella sede del governo si è iniziata a respirare una «certa preoccupazione», viene riferito, ma nello stesso tempo la volontà di mantenere una linea dura. Infatti, si apprende da fonti governative, con la vittoria del “no” la linea resta quella annunciata, ovvero l’arrivo del commissario liquidatore. Il governo esclude quindi di mettere soldi pubblici, anche perché Alitalia - viene spiegato - è una compagnia privata e convincere i proprietari a riaprire la trattativa è impossibile. Nel piazzale davanti il Training academy Alitalia a Fiumicino, dove si è svolto lo scrutinio delle schede del referendum, si sono radunati tanti lavoratori in attesa del responso. Molti a favore del “no” per paura di finire tra il personale in esubero o di subire un taglio dello stipendio. Già i primi risultati non hanno lasciato spazio a dubbi. Per esempio nel seggio di Milano Linate sono stati 698 i no contro i 153 sì, e anche a Malpensa ha vinto il no con 278 voti rispetto a 39 sì. Stesso trend anche su Roma per quanto riguarda il personale di volo. Tra il personale di terra ha invece prevalso il sì ma non in modo schiacciante e così ha avuto la meglio la bocciatura del referendum, che comunque è stato molto partecipato con un’affluenza dell’87% degli aventi diritto, circa 10mila votanti su 12mila. L’intesa prevedeva sì un ulteriore impegno finanziario da parte dei soci (quasi 2 miliardi di euro) ma chiedeva anche sacrifici ai lavoratori: 980 esuberi a tempo indeterminato tra il personale di terra, mentre quello navigante avrebbe visto la riduzione della retribuzione dell’8% e i riposi annuali da 120 a 108. Ai nuovi assunti inoltre sarebbe stato applicato il meno oneroso contratto “cityliner”, il vettore a breve raggio. Inoltre con il sì all’accordo sarebbe andato avanti il piano quinquennale, in realtà un progetto che puntava a mettere in sicurezza i conti nei prossimi tre anni prima della cessione della compagnia ristrutturata a Lufthansa. Con la vittoria del “no”, il futuro della linea aerea sarebbe segnato o quasi. L’unica soluzione, secondo il governo, gli azionisti e anche secondo i sindacati che sull’accordo ci mettono la firma e la faccia, è il commissariamento e la successiva liquidazione nel giro di sei mesi. Già oggi si dovrebbe riunire il consiglio di amministrazione per deliberare la richiesta di amministrazione straordinaria speciale. Probabile la contestuale uscita dei soci per consegnare di fatto “le chiavi” dell’azienda al governo. Una volta formalizzata la richiesta, il ministero dello Sviluppo Economico procederebbe con la nomina di uno o più commissari (fino a 3). Senza acquirenti o nuovi finanziatori al commissario non resterebbe infine che chiedere il fallimento della compagnia, con la conseguente dichiarazione di insolvenza da parte del Tribunale. Il curatore fallimentare inizierebbe la procedura liquidatoria, con 2 anni di cassa integrazione, Naspi e quindi disoccupazione per i lavoratori, contestualmente la cessione “spezzatino” degli asset della compagnia. I costi della liquidazione di Alitalia ammonterebbero secondo alcuni calcoli, a un miliardo.
le tappe. Vent’anni di tentativi per salvare la compagnia
ROMA C’era un tempo Alitalia, la compagnia di bandiera di proprietà dallo Stato, vettore ufficiale delle Olimpiadi di Roma nel 1960, prima in Europa a volare con aerei a reazione nel 1969, terza compagnia del vecchio continente dopo Lufthansa e British Airways. Poi arrivarono le compagnie low cost, due privatizzazioni, l’attentato alle Torri Gemelle, la concorrenza dell’Alta Velocità, e nulla fu più come prima. Privatizzazione numero 1. Nel 1996 dopo mezzo secolo di controllo statale il governo Prodi decide di quotare in borsa il 37% di Alitalia. Ad acquistare i titoli ci sono anche tanti piccoli risparmiatori. La privatizzazione non ha gli effetti sperati. Si cerca un partner industriale, l’olandese Klm sembra quello giusto, ma vuole potenziare Malpensa trasferendogli tutti i voli di Linate. Il matrimonio non si fa. Segue contenzioso vinto da Alitalia nel 2002. Con l’attentato alle Torri gemelle del 2011 tutte le grandi compagnie aeree vanno in crisi. Lo stesso anno Air France entra in Alitalia con uno scambio azionario del 2%. Privatizzazione 2. Nel 2006 Prodi tenta una seconda privatizzazione. Punta a cedere un altro 39% della compagnia, lo Stato è pronto a rinunciare al controllo. Invece della Borsa, per cedere la seconda tranche il governo sceglie la procedura di gara: fallita per il ritiro dei contendenti che rinunciano dopo aver visto i conti. Arriva Air France. Mentre i conti di Alitalia e il titolo in borsa, scivolano verso il baratro, il governo passa a trattativa privata. Interlocutore unico diventa Air-France che da qualche anno si è sposata con gli olandesi di Klm ed è disposta a rilevare il 49,9% di Alitalia. La trattativa partita a fine 2007 va avanti, benedetta da Prodi e Padoa-Schioppa. I primi mesi del 2008 sono cruciali, i sindacati si oppongono ai tagli. Si avvicinano le nuove elezioni e i francesi temono di trovarsi di fronte un governo avverso, con Berlusconi che impostala sua campagna elettorale sulla «italianità della compagnia». Ad aprile, i sondaggi danno Berlusconi vincente, Air France abbandonare la partita. I capitani coraggiosi. Berlusconi vince le elezioni. Il Cda di Alitalia porta i libri in Tribunale, il governo modifica la legge Marzano per permettere un fallimento controllato. Il titolo Alitalia è cancellato dal listino di Borsa, ne faranno le spese tanti piccoli azionisti. Si fa avanti la Compagnia aerea italiana (Cai) una cordata guidata da Roberto Colaninno e di cui fanno parte investitori come Benetton, Riva, Ligresti, Marcegaglia e Caltagirone. Partecipa anche Intesa SanPaolo allora guidata dall’ad Corrado Passera. La parte sana della compagnia viene rilevata da Cai per 300 milioni mentre tutto il passivo scivola, attraverso una bad bank (2 miliardi di euro) nel debito dello Stato. Ethiad Airways. Con il 2009 il nuovo vettore riparte con 8.000 dipendenti in meno. Fra gli azionisti, accanto a Cai c’è anche Air France (25%). Ma Alitalia non decolla nonostante altri 2.400 esuberi e un taglio del 20% degli stipendi dei manager. Nel 2013 serve un aumento di capitale o gli aerei restano a terra. Colaninno abbandona. Con l’aumento di capitale arriva l’aiutino pubblico attraverso Poste Italiane che entra nella compagine azionaria, mentre Air France diluire la propria quota. Il nuovo cavaliere bianco è compagnia emiratina Etihad che acquisisce il 49%. Il closing dell’operazione è a fine 2014. Il nuovo Piano industriale prevede il break even nel 2017. Ma un anno dopo, a fine 2015, l’ad Silvano Cassano si dimette. L’agonia continua.
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