E poi c’è l’intercettazione che svela i rapporti del presidente Luciano D’Alfonso e la Dompè, un’intercettazione in cui viene raccomandato di fare presto, prestissimo, perchè quella situazione sta a cuore a Palazzo Chigi. E non si sa se il nome di Palazzo Chigi viene pronunciato invano. D’Alfonso chiede di sbloccare una pratica, l’ampliamento dello stabilimento della casa farmaceutica all’Aquila, e che quella pratica gli è stata raccomandata dal “capo di gabinetto del presidente Renzi”.
Lo racconta Il Messaggero nell’edizione di martedì scorso. Ecco cosa dice.
«Presidente buongiorno…». La mattina del primo settembre 2014 il numero uno dell’Autorità regionale di bacino Michele Colistro non sa di essere intercettato quando riceve la telefonata del governatore Luciano D’Alfonso. Che dopo rapidi convenevoli viene al punto:
«Bravo, senti… ho ricevuto una telefonata da Palazzo Chigi… dal capo di gabinetto del Presidente Renzi… il quale mi dice che sarebbe in trattazione una pratica, presso la Regione complessivamente intesa, riguardante la realizzazione del contratto di sviluppo denominato Dompè».
Il dossier riguarda il progetto di ampliamento dello stabilimento aquilano della casa farmaceutica e, Palazzo Chigi a parte, sta a cuore al presidente anche perché la giovane Nathalie Dompè all’epoca è in corsa per la guida del Teatro stabile d’Abruzzo. In ogni caso, D’Alfonso incalza:
«Ho chiamato Ruffini, m’ha detto che lui ha fatto una ricerca, non c’è nulla».
«No, no – rassicura Colistro – ce l’ho io, ce l’ho io… ho fatto un sopralluogo».
A questo punto il governatore taglia corto e dice:
«Allora risolvi tu questo problema perché devo dare una risposta entro due ore al capo di gabinetto di Renzi».
E le cose così andarono, risposta positiva. Anche se accompagnando i suoi tecnici per il sopralluogo del 12 agosto Colistro fu deciso nell’affermare:
«Mo gli facciamo una prescrizione, devono smantellare questa cosa che è fuori norma! Lì sotto ci lavora uno, se viene la piena muoiono, mo gli facciamo una lettera, devono chiudere questo stabilimento…».
Telefonate e intercettazioni ambientali sono raccolte nel fascicolo del processo Megalò 3, fermo davanti al Gup di Chieti. E anche se nessuno dei protagonisti dell’inchiesta Pescaraporto figura tra gli imputati, dal voluminoso rapporto della Squadra mobile di Pescara saltano fuori molti elementi ritenuti utili per inquadrare i rapporti tra il governatore e gli uomini del suo staff, a partire da Claudio Ruffini, all’epoca capo della segreteria, e soprattutto tra D’Alfonso e l’avvocato Giuliano Milia, suo difensore nei vari processi subiti, fin qui tutti viti, interessato in veste di imprenditore ad alcuni aspetti della vicenda Megalò 3 e soprattutto alla riqualificazione urbanistica dei terreni di Pescaraporto sulla riviera sud.
Il più loquace, al telefono, è Michele Perilli, imprenditore cinquantunenne e principale indagato, fortemente interessato a una variazione del Piano stralcio di difesa delle alluvioni, lo stesso che ostacola il cantiere Pescaraporto, per sbloccare il progetto Megalò 3. Nella sua visione, tutto passa per le mani dell’avvocato Milia, il tramite giusto per arrivare a D’Alfonso. Il perché è presto detto:
«Uno, che ci assiste – spiega il 14 settembre 2014 all’amico Ubaldo Di Vincenzo – due perché Luciano D’Alfonso lo difende lui, perciò ce l’ha per i co…. Cioè, meglio che lui sta con noi e sa tutte le cose quanto Giuliano, perché quello mo c’ha l’appello, se perde l’appello Luciano, cascato alla Regione, se ne torna a casa».
Nella misura dei rapporti personali, è una sorta di premessa di quanto accadrà poco più di un anno più tardi, quando sulla strada di Pescaraporto spunta l’ostacolo del Genio civile regionale, che ritiene incompatibile con le norme del Psda il cantiere, già impiantato e fermo in attesa della sentenza del Consiglio di Stato. Stavolta la tattica non prevede la revisione delle norme, ma la semplice marcia indietro del Genio civile, preparata con la famosa carta consegnata dall’avvocato Giuliano Milia agli ambasciatori di D’Alfonso Guido Dezio e Claudio Ruffini, per questa vicenda tutti indagati per concorso in abuso d’ufficio e falso insieme al numero uno del Genio Vittorio Di Biase. Anche in questo caso, tutto parte dalle intercettazioni telefoniche della Procura dell’Aquila nell’ambito dell’inchiesta su Palazzo Centi. Indagini alle battute iniziali e ancora lontane da un approdo processuale, anche se deposizioni e riscontri documentali sembrano incoraggiare gli inquirenti. Sul piano politico, invece, la sensazione che se ne ricava è di un confine sempre più labile tra interessi pubblici e interessi economici e privati. Come uno strappo su un velo, che sarà complicato ricucire.
ps: ciò che salta agli occhi è un metodo. Ciò che salta agli occhi è che il governatore è molto più impegnato a risolvere i problemi dei grandi imprenditori che della povera gente, lavoro sanità povertà. Dati di fatto.