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Data: 30/04/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Sindacato e rappresentanza la lezione del caso Alitalia

Chi di disintermediazione ferisce, di disintermediazione perisce. Si potrebbe commentare così il referendum con cui i lavoratori di Alitalia hanno scelto di suicidarsi (o, sperano loro, di farsi salvare con i soldi pubblici), visto dal lato del sindacato, del governo e più in generale della politica. È cioè emblematico di quanto il cittadino totale che partecipa ad ogni decisione non sia meno minaccioso dello Stato totale, come diceva Norberto Bobbio. Senza corpi intermedi e in preda al populismo sindacale, infatti, anche le relazioni industriali si trasformano in una roulette russa. Se di fronte al precipizio, ben il 67% dei dipendenti della compagnia ha bocciato l'accordo che il sindacato aveva trovato con l'azienda, con l'aiuto del Governo, questo vuol dire due cose. La prima è che, a differenza di quanto è per esempio avvenuto nello stabilimento Fiat di Pomigliano, ha prevalso l'idea che l'azienda non avrebbe mai potuto fallire perché sarebbero comunque arrivati i soldi pubblici. La seconda è che del sindacato non c'è da fidarsi, e che ciascuno può e deve essere artefice del proprio destino. Eppure, tutti avevano sotto gli occhi l'esempio della vertenza di Almaviva: a Roma, dove è stato bocciato l'accordo, sono arrivati 1600 licenziamenti, mentre a Napoli, grazie alla vittoria del referendum, sono stati salvati 820 posti. Ma sarebbe troppo facile dire che la colpa è dei lavoratori. È evidente, invece, che una quota di responsabilità per questo salto nel buio ricade su chi ha promosso la consultazione. Sono i danni del populismo sindacale, come ha ammesso con saggia autocritica la segretaria Cisl, Anna Maria Furlan. I sindacati di base Cub e Cobas non hanno nemmeno sottoscritto l'accordo, mentre almeno i confederali sì, salvo poi rifugiarsi nel referendum. Invece, sarebbe stato più proficuo, anche se più difficile, spiegare che Alitalia se vuole sopravvivere deve sfidare la concorrenza: quella dei treni ad alta velocità, le partnership tra vettori di livello mondiale, l'aggressività delle low cost. Per lungo tempo sono state tessute le lodi della disintermediazione, del rapporto diretto tra la massa e il leader, dei tweet e dei referendum. Ma nelle società complesse servono scelte complesse, ed è difficile immaginare che tutti possano sempre decidere su tutto con raziocinio ed equilibrio. Anche nel mondo del lavoro. Dove la rappresentanza è indispensabile perché più attrezzata a trovare le compatibilità, i necessari compromessi, senza dover essere sempre condannata allo scontro frontale finalizzato alla conquista del consenso. Non è possibile fare a meno dei corpi intermedi, che devono essere ripensati e rinnovati, ma non rottamati. Perché la somma algebrica dei singoli è cosa assai diversa da un'organizzazione di persone che moltiplica consapevolezze e competenze. Invece, abbiamo predicato semplificazione e disintermediazione, un'ubriacatura di cui ora paghiamo gli effetti perversi. Come dice la saggezza popolare, chi va per certi mari, certi pesci trova.

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