L'AQUILA «Scusate, anche se ci siamo sbagliati, anche se non abbiamo dato l'allarme, anche se i vostri figli sono stati uccisi dal terremoto, rivogliamo indietro i soldi dei risarcimenti». Parola dello Stato a mamme, papà, fratelli che ancora non hanno finito di piangere i loro morti. Vittime raccolte sotto le macerie, accompagnate uscendo dalle tende verso cimiteri provvisori, descritte nei volti devastati durante le udienze nei tribunali. Disperandosi nel rivivere quei giorni in cui la voglia di abbandonare la terra che tremava, e la salvezza, venne scoraggiata dagli annunci tranquillizzanti della Commissione Grandi rischi. E' a questa gente che lo Stato rivuole il prezzo al ribasso di tante lacrime. Provvisionali da 60 a 200mila euro per ogni morto.
Sull'ennesimo schiaffo all'Aquila scendono in campo anche i familiari delle vittime di Rigopiano, sepolte a gennaio dalla valanga: «Loro come noi, beffati, abbandonati. Povero Abruzzo». Perché è impossibile accettare che il Governo faccia sanguinare ancora la ferita del sisma del 2009, che ha stroncato 309 vite. La Presidenza del Consiglio, a 55 familiari, ha chiesto indietro i soldi dei risarcimenti al termine dell'iter processuale che ha portato alla condanna di uno solo degli esperti della commissione Grandi rischi che si riunì in città sei giorni prima della scossa fatale. Si tratta di Bernardo De Bernardinis, ex braccio destro di Guido Bertolaso alla Protezione civile, che ha risposto della morte di 13 persone per le quali anche la Cassazione ha ritenuto sussistente il nesso di causalità tra le rassicurazioni fornite nell'ambito di quell'incontro e il cambiamento di comportamento che ne ha provocato poi la morte. Proprio questo nesso causale è la chiave di volta della volontà dei familiari di non restituire le provvisionali. Perché per 20 vittime De Bernardinis è stato giudicato non colpevole con la formula prevista dal secondo comma dell'articolo 530, quello che disciplina l'assoluzione anche «quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste». Ed è su questo che si innesterà, ora, l'ulteriore richiesta di danni.
L'ITER
La sentenza di primo grado di quello che fu definito il processo alla scienza condannò il 22 ottobre 2012 i componenti della Commissione a sei anni di reclusione per omicidio colposo e lesioni colpose plurime, «per aver fornito alle vittime informazioni erroneamente rassicuranti, così inducendole a rimanere in casa la notte tra il 5 e il 6 aprile 2009». Fu in quella sede che il giudice stabilì provvisionali immediatamente esecutive a favore di 93 parti civili: somme da 80 a 200 mila euro in base al grado di parentela, per un totale di circa otto milioni. La sentenza della Corte d'Appello ribaltò quell'impostazione il 10 novembre del 2014, assolvendo sei dei sette imputati e rideterminando la pena di De Bernardinis in due anni di reclusione, colpevole solo della morte di una parte di vittime. Già in quella fase, prima ancora della conferma totale del verdetto di secondo grado da parte della Cassazione, lo Stato chiese indietro le cifre erogate come provvisionali. «Lo fece per evitare anche i termini di prescrizione spiega l'avvocato Wania Della Vigna, rappresentante di alcune parti civili . A quelle citazioni abbiamo risposto facendo a nostra volta una lettera di messa in mora dicendo che avremmo trattenuto quelle somme non indebitamente, ma ritenendo la sussistenza di prove utilizzabili nel processo civile in grado di dimostrare il nesso causale tra le rassicurazioni e le morti». Soldi, insomma, che resteranno al momento nelle tasche dei familiari «a titolo di acconto sulla maggior somma ancora dovuta a soddisfacimento del diritto risarcitorio», come si legge nella risposta inviata a Presidenza del Consiglio e Protezione civile lo scorso 5 settembre.
Si profila una nuova ulteriore battaglia legale: lo Stato tira dritto, citando a giudizio il 24 luglio prossimo le parti civili e chiedendo di «accertare, riconoscere e dichiarare quelle somme prive di giustificazione causale».
«Non pensavamo che si arrivasse a tanto la sentenza non ha revocato i risarcimenti»
L'AQUILA «Non c'è soldo che tenga: la perdita di una moglie, di un figlio, non ha prezzo Noi siamo condannati a vivere con un dolore lancinante. Lo Stato non avrebbe dovuto richiedere quelle somme anche perché è evidente che in questa storia ci sono state mancanze e responsabilità». Massimo Cinque è un pediatra che ha perso nel sisma del 2009 tutta la sua famiglia, moglie e due figli piccoli, Davide e Matteo. La sua indignazione è palpabile: «Non ci sono distinzioni di sorta che si possono fare. E' assurdo un simile comportamento. Stiamo parlando di una questione che non avrebbe dovuto neanche aprirsi: neanche il risarcimento più grande potrà mai compensare un dolore simile. Purtroppo in Italia, ormai, non paga mai nessuno».
Maria Grazia Piccinini è la mamma di Ilaria Rambaldi, la studentessa 25enne morta sotto le macerie della Casa dello Studente. E' una delle parti civili che lo Stato citerà in giudizio a luglio. «Sapevamo che prima o poi questa cosa sarebbe arrivata, avevamo già ricevuto lettere di diffida, la prima da Gabrielli nell'ultimo giorno da capo della Protezione civile. In quel momento dovevamo ancora andare in Cassazione, ricordo che arrivò quasi in corrispondenza dell'anniversario del sisma, ai primi di aprile. Lascio immaginare la delicatezza. Insomma lo schiaffo noi lo avevamo già ricevuto in precedenza, poi si è ripetuto. Abbiamo pensato che mai sarebbero arrivati a tanto, anche perché sulle sentenze ci sarebbe molto da dire. Possibile che nessuno ha fatto nulla in presenza di uno sciame sismico così violento? Ricordo che feci questo discorso anche con mia figlia».
PUGNALATA
E' come se i familiari avessero ricevuto un'ulteriore enorme beffa, una nuova pugnalata: «La prima cosa che si prova è la delusione - prosegue Piccinini - pensavamo che non avrebbero osato fino in fondo. Per noi è un oltraggio. Chi parla di atto dovuto sbaglia: la sentenza d'Appello non ha revocato le provvisionali, dunque è una facoltà procedere a una simile forma di recupero. Si sono permessi di andare avanti così. Lo Stato, indipendentemente da questo processo, si è mostrato inadempiente in più occasioni. Anche in questo caso cosa ha fatto? Ha predisposto vie di fuga, posti di ritrovo, piani? Nessuno si vuole assumere la responsabilità di ciò che è accaduto».
La Piccinini sottolinea quello che considera un paradosso: «All'Aquila è stato risarcito tutto: le case, le auto, i mobili, gli affitti, gli animali. Gli unici a non avere una lira e che non hanno chiesto nulla, se non le bare per i funerali, siamo stati noi. La vita di mia figlia, una ragazza di 25 anni che si stava laureando brillantemente in Ingegneria, vale meno di un'auto, di una casa, di un animale. Non posso accettarlo: ho tutti i diritti per andare avanti e andrò avanti. Non dimentichiamoci che una condanna c'è stata. Ci siamo comportati sempre con dignità, ma ora ci costringono a difenderci aggredendo».