FRANCAVILLA AL MARE Apparentemente era una giornata come le altre. Nulla faceva presagire la tragedia. Giuseppe Ciccantelli, 70 anni, che è stato sindaco di Pescara quando aveva 44 anni, ha raggiunto il suo ufficio, una società di recupero crediti in via Milano, attorno alle 10.10. Poi, però, è andato via, ha raggiunto la stazione ferroviaria di Francavilla al mare e si è lanciato sotto un treno in corsa, dopo aver passato del tempo seduto su una panchina, dove ha lasciato il suo giubbino e il borsello. Impossibile, per chi conosceva l'ex sindaco, immaginare un gesto del genere. Che rimarrà avvolto nel mistero, se non fosse per un suo appunto trovato ieri, dopo la tragedia, contenente una citazione di Leonardo Sciascia sulla morte. Non un messaggio, ma un segnale del tormento che stava vivendo.Drammatica la cronaca dell'accaduto. Sono da poco passate le 11 quando Ciccantelli, per tutti Pino, arriva alla stazione di Francavilla. Si siede su una panchina, al primo binario, come racconterà poi una donna seduta vicino a lui ma su un'altra panchina. Quando la voce metallica delle Ferrovie annuncia che un treno è in transito e bisogna stare lontano dal binario 2 lui si alza, lasciando giubbino e borsello, secondo la ricostruzione della polizia ferroviaria coordinata da Davide Zaccone. Supera il sottopasso e arriva al secondo binario, dove sta per sfrecciare il treno in transito, un Frecciabianca diretto a Lecce partito da Venezia sul quale viaggiano circa 200 passeggeri. Sono le 11.50. Ciccantelli si lancia mentre il treno corre a 150 chilometri all'ora. Inutile la frenata, che prosegue per un chilometro prima che il convoglio si fermi, come riferito dal personale in servizio e da alcuni testimoni, increduli. In stazione arrivano, oltre alla polizia ferroviaria, la polizia scientifica, i carabinieri di Francavilla e gli agenti della polizia municipale mentre la circolazione ferroviaria si blocca. L'identificazione è difficilissima. L'unico elemento che possa aiutare gli investigatori, nei momenti successivi all'incidente ferroviario, è la carta di identità, trovata sul posto dell'investimento. È di Ciccantelli. Non essendo possibile il riconoscimento del corpo vengono avviati gli accertamenti e altre risposte arrivano dal borsello: dentro ci sono portafogli, chiavi di casa, carte di credito, ricette mediche, che riconducono all'ex sindaco e successivamente vengono riconosciute dai familiari, insieme alla fede nunziale e alle calzature. Ci sono anche le chiavi di una macchina, una Honda, la stessa con la quale Ciccantelli è arrivato a Francavilla, parcheggiata a poca distanza dalla stazione. Mentre il lavoro degli investigatori prosegue, il traffico dei treni viene sospeso tra Pescara e Ortona: i passeggeri del Frecciabianca non possono scendere e i collegamenti riprendono solo un'ora dopo, a circolazione alternata, con ritardi fino a ottanta minuti. Solo alle 15.10 la circolazione torna regolare, quando l'intervento sulla linea ferroviaria è finito, ma alla balaustra del binario continuano ad affacciarsi i curiosi. Il Frecciabianca, che porta ancora i segni del tragico impatto nella parte anteriore, prosegue il suo viaggio con due ore e mezzo di ritardo, mentre altre quattro Frecce, un Intercity e cinque regionali accumulano ritardi consistenti e tre regionali vengono cancellati. L'incidente ferroviario di ieri arriva due mesi e mezzo dopo un episodio simile, avvenuto sempre a Francavilla, poco più a sud della stazione centrale. Allora fu un giovane di Ortona a decidere di togliersi la vita. E con Ciccantelli, Pescara ha perso tre sindaci nel giro di pochissimo, dopo la morte di Nevio Piscione e Carlo Pace.
La morte di Ciccantelli. «Con me gli anni più belli della città». L'ultima intervista al Centro 23 anni dopo Tangentopoli
PESCARA«Ho fatto uno sforzo tremendo oggi, perché in questi 23 anni non ho mai voluto parlare». Pino Ciccantelli è sollevato alla fine dell'intervista in cui l'ex sindaco di Pescara, falciato anche lui dalla scure di tangentopoli nel 1993 (fu accusato di concussione), non si è sottratto a ripercorrere «un periodo della mia vita che ho cancellato». Con la grinta di sempre, lucido e senza rancori, parla di sé e inevitabilmente di Pescara, la città dove, come gli ha insegnato il papà Francesco, è rinato mille volte. Compresa quella in cui è stato giornalista sportivo, quando lavorava a Telemare e faceva le radiocronache del Pescara per Radio Pescara nei primi anni Ottanta. È diventato sindaco a 44 anni, è entrato presto in politica?Diciamo che la prima parte della mia vita è stata dedicata a sport e al divertimento. Quali sport? Ho giocato nella gloriosa Ursus del presidente Marino quando nella squadra c'erano Mansueti, Vittorio Orlando, Paolo Tarquini e tanti altri. E poi ho fatto atletica ai tempi di Vittorio Maturo, uno dei più grandi personaggi di Pescara, una vita dedicata ai giovani e ai suoi adorati cani. È stato uno dei primi incontri importanti della mia vita.E quali sono stati gli altri? Prima di tutto mio padre Francesco. Che cosa faceva? Dal dopoguerra al 1973 ha gestito la spiaggia del tratto che ancora adesso si chiama Aurora, dalla Rotonda a Guerino quando lo stabilimento non c'era ancora. Poi arrivarono degli imprenditori bolognesi e costruirono il Gabbiano, il locale più in della costa abruzzese dove al secondo piano si esibivano i Nassa. L'acquistarono i fratelli Camplone e diventò Guerino. In quegli anni aiutavo mio padre sulla spiaggia dell'Aurora quando il gestore veniva chiamato bagnino e gli ombrelloni si toglievano la sera e si rimettevano la mattina. Erano i tempi delle sabbiature e io a 15,16 anni avevo imparato a farle alle signore. Chi veniva all'Aurora?La nostra spiaggia era in centro, la frequentavano tutte le famiglie della zona: Sideri, Colacito, l'onorevole Mancini, Lagalla, il notaio Mastroberardino e le comitive dei giovani di allora con Armando Mancini, Paola Marchegiani, Lello Grilli. Ma poi nel '73 papà si stancò di quel lavoro e riuscì ad avere la licenza di taxi.E lei?Io con mio cognato Guido Mazza, perché nel frattempo a 23 anni mi ero sposato con Carla (Petrongolo ndr) conosciuta tra i banchi del glorioso Tito Acerbo, prendemmo in gestione Istria. Che tempi erano?I tempi in cui la vita sulla riviera, quella serale, finiva ad Eriberto. All'epoca Istria lo chiamavano lo stabilimento Arlecchino perché era tutto a chiazze colorate, fummo io e mio cognato a fare la ristrutturazione esterna scegliendo i colori che ci sono ancora. E lì mi seguirono tutti i giovani dell'Aurora, gente della generazione del '50, '54 tra cui ricordo De Camillis, Giancarlo Iezzi, grande giocatore di tennis, Gaspare Masciarelli e Cristina Diamanti, una delle ragazze più belle di quegli anni. Istria durò due anni.Perché finì?Ancora per il grande rapporto che avevo con mio padre, che nel 1974 ebbe un incidente e scoprimmo una malattia molto rara che due anni dopo lo portò all'amputazione di una gamba. Avevamo un rapporto strettissimo, e in quegli anni mi dedicai a lui, proseguendo la mia vita in politica.Com'era iniziata?Subito dopo il militare. Avevo 21 anni e non volevo fare l'università. Mio padre in quel periodo era vicino al sindaco Casalini, a febbraio del '68 si avvicinavano le elezioni politiche ed ebbi la fortuna di entrare nella segreteria dell'onorevole Antonio Mancini, anche lui un maestro di vita prima che di politica. Chi c'era ai suoi inizi, in Comune?Il Consiglio comunale era formato da personaggi come D'Angelosante, Viserta, Ciafardini, Quieti, assessore giovanissimo, Tino Di Sipio, Fernando Di Benedetto, Raffaele Delfino. Allora i partiti avevano i movimenti giovanili, periodicamente ti mandavano a Roma e ti insegnavano ad affrontare i problemi, il dibattito, la discussione, che cos'era una commissione, come si faceva una delibera, come si impostava un comizio. Oggi è una democrazia senza partiti, una rovina: è un'Italia colma di partiti ad personam con il qualunquismo più becero, dove è sparita qualsiasi forma di dibattito e c'è solo lo scontro per l'acquisizione del consenso.Com'è diventato sindaco?Giovanissimo sono entrato nella direzione provinciale come vice segretario, ho avuto l'incarico agli enti locali e nel 1985, a 38 anni mi convinsero a candidarmi alle amministrative. Arrivai quarto in una lista di 50 persone ed entrai in Consiglio comunale. Il sindaco era Nevio Piscione, e feci l'assessore allo Sport per tre anni, fino al 1988, negli anni d'oro dello sport pescarese Fu proprio la promozioneimprovvisa della Facar in A a farci ristrutturare a tempi di record il palazzetto di via Pepe. Ma in quegli anni ho finito anche il campo di Zanni e il PalaRigopiano. Un periodo unico. E poi?Dall'88, quando cambiò la giunta, con De Martis sindaco, passai ai Lavori pubblici. Poi l'elezione a sindaco. Sì, nel 1990 successe quello che nemmeno io mi aspettavo. E cioè che prendessi 8mila voti, fui il primo degli eletti. Ma in quel periodo la leadership della Dc era nelle mani di Quieti, noi eravamo e siamo ancora molto legati, un amico fraterno per me. Alla fine fu lui a convincere me. "Voglio che vai tu", mi disse. E andai. I primi due anni andarono avanti tranquillamente con una giunta di pentapartito. poi cominciaronole scaramucce. Per via di Tangentopoli?No, scaramucce nelle varie correnti della Dc e del partito socialista. Quali correnti? Tante. Nel partito socialista c'erano quella di Piero D'Andreamatteo e quella craxiana di Susi. Nella Dc c'era il gruppo di Novello, di Canosa, di Casalini e poi di Piscione, e di Quieti. Io stavo con Quieti e diciamo che nella Dc eravamo il gruppo progressista. Tanto che poi, nel momento in cui montò la crisi feci una cosa inusuale per quei tempi. All'opposizione c'era la lista civica del Pds con Torlontano, Antonello Ricci, Adriano Michetti, Armando Mancini. E con loro, con Ottavio Marchetti del partito repubblicano, dopo qualche riunione notturna, organizzammo la giunta di centrosinistra che sarebbe subentrata. Feci cadere la giunta del pentapartito.Su che cosa vi spaccaste? Sulle solite cose: poltrone e incarichi. Entrarono in giunta ArmandoMancini, Michetti del Pci divenne vice sindaco, coinvolgemmo anche Splendora Rapini, di Rifondazione mi sembra. E poi arrivò Tangentopoli che a Pescara aveva già buttato giù nomi importanti della vecchia guardia.E colpì anche lei, l'uomo nuovo, la faccia onesta della Dc. Fu l'agnello sacrificale, dicono.No, nessun agnello sacrificale. Non è vera la favoletta che va in giro in città che io sono stato la vittima di qualcuno. Io ero cosciente e consapevole di quello che facevo. Le colpe sono state mie per mia scelta. Si aspettava l'arresto?Successe in piena Tangentopoli, ma io non me l'aspettavo.Come la prese?Reagii con l'educazione che mi aveva dato mio padre e con la formazione che avevo avuto nel partito. Mio padre mi aveva sempre detto "se ti dovessi trovare nei guai di' quello che hai fatto e arvatt'n a la casa. Così ho fatto. Una persona normale di fronte alla giustizia non può ricorrere ai bizantinismi del tipo mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Grillo non si è inventato niente. Io la mattina in cui sonovenuti aprendermi i poliziotti della Digos e anche con disagio, uscendo di casa ho detto a mia moglie "Carla chiama Ugo Piscione", che era il mio segretario "e digli di preparare le mie dimissioni da sindaco". Dimissioni immediate che andai a firmare prima ancora di farmi interrogare. I capi di accusa erano molti, ammisi subito le mie colpe per ciò che mi riguardava e negai tanti addebiti non veri. Perché la persona normale, la prima cosa a cui pensa è alla famiglia. Mia moglie e i miei figli quella mattina subirono il più grande trauma della loro vita. Non potevo non pensare a loro. Che cosa si rimprovera di quella storia? Ho peccato di leggerezza. Esisteva il finanziamento ai partiti ed esisteva il reato di finanziamento illecito ai partiti. Ma dal giorno in cui sono andato a firmare le mie dimissioni da sindaco, prima ancora di farmi interrogare, non ho mai più salito le scale delComune. E le risalirebbe? No. La mia esperienza mi ha insegnato che la politica è l'elemento essenziale per la vita della democrazia,maanche, che tira fuori sempre l'aspetto deteriore dell'uomo.