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Data: 11/05/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Divorzi, una rivoluzione. La donna autosuffuciente non ha diritto all’assegno. «Finiranno le rendite parassitarie l'era del posto fisso è alle spalle»

ROMA Una famosa imprenditrice e un ex ministro, un divorzio senza esclusione di colpi. Ma alla fine entra in scena la Cassazione ed emette un verdetto che rivoluziona il diritto di famiglia. «Un matrimonio non si può intendere come sistemazione definitiva - scrivono i Supremi giudici - Sposarsi è un atto di libertà e di autoresponsabilità». E per questo d'ora in poi l'assegno di divorzio sarà calcolato sulla base del criterio di autosufficienza e non sul «tenore di vita matrimoniale». Sarà valutato sull'indipendenza o autosufficienza economica dell'ex coniuge che lo richiede.
Niente più posto fisso, dunque, per dirla con Checco Zalone, ci si unisce per amore e senso di condivisione, non per interesse.
Piazza Cavour sembra non poterne più delle guerre all'ultimo centesimo. E, prendendo spunto da un caso eclatante, con un occhio ai dati Istat e alla realtà italiana, rilegge il meccanismo dell'assegno di mantenimento e archivia il «tenore di vita» goduto durante il matrimonio come parametro perenne che l'ex coniuge era (fino a ieri) tenuto ad assicurare con assegno alla moglie divorziata.

DUE MILIONI La storia per cui gli ermellini sono stati chiamati a esprimersi riguarda la fine del matrimonio tra due nomi di un certo rilievo: l'imprenditrice Lisa Lowenstein e l'ex ministro dell'Economia Vittorio Grilli, l'uno contro l'altro armati per tentare di far valere le proprie ragioni (economiche) dopo che il matrimonio è andato a rotoli. La coppia si è sposata nel 93, ma l'amore è finito nel 2013 con un divorzio particolarmente vivace, tra rivelazioni, soffiate, accuse pesanti. Lui le versa due milioni di euro durante la separazione - tra i motivi di dissidio ci sono anche i debiti accumulati dalla signora - sperando che non ci siano altre richieste. Ma si sbaglia. Perché l'ex moglie ricorre in Cassazione per avere anche un vitalizio dopo che la Corte di appello di Milano nel 2014 glielo aveva negato ritenendo incompleta la sua documentazione dei redditi, e considerando anche che l'ex marito aveva subito una «contrazione» delle entrate.
BENI E CASEAd avviso degli ermellini, la decisione milanese deve essere «corretta», perché a far perdere il diritto all'assegno alla ex non è il fatto che si suppone abbia redditi adeguati, ma la circostanza che i tempi ormai sono cambiati e occorre «superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come sistemazione definitiva». «Si deve quindi ritenere - afferma il verdetto numero 11504 - che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell'ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale». Questo vuol dire che saranno d'ora in poi passati ai raggi x i beni, la disponibilità di una casa, e la capacità lavorativa, attuale o potenziale, di chi chiede l'assegno, e «se è accertato che è economicamente indipendente o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto». Se le cose vanno male, quindi, si torna a essere «persone singole», ma senza rendite di posizione. Anche perché dover versare un assegno «può tradursi in un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia» e questo in violazione del diritto a rifarsi una vita riconosciuto dalla Corte di Strasburgo e dalla Carta fondante dell'Unione Europea.
L'ex ministro - difeso da Ida Favero e Daniele Mariotti - è soddisfatto del verdetto. Ad alcuni amici ha confessato: «E' la fine di un incubo». Chiede ora di far calare il sipario sulla vicenda, così come fa l'avvocato Salvatore Santagata che ha assistito la signora.

«Finiranno le rendite parassitarie l'era del posto fisso è alle spalle»

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ROMA Assegni di mantenimento a troppi zeri. L'avvocato Marco Meliti, matrimonialista e presidente dell'Associazione italiana di diritto e psicologia della famiglia, conosce molto bene la realtà.
Avvocato, come considera la sentenza?
«Gli ermellini sembrano voler definitivamente scongiurare la possibilità che, una volta sciolto il vincolo matrimoniale, possano persistere rendite parassitarie in favore dell'ex coniuge che, invece, avrebbe la possibilità oggettiva di procurarsi redditi sufficienti al proprio mantenimento attraverso un'attività lavorativa o mediante rendite di qualsiasi altra specie, tenendo conto anche dei beni patrimoniali mobiliari e immobiliari posseduti, nonché della eventuale stabile disponibilità di un'abitazione».
Non c'è il rischio che il verdetto venga letto come una decisione contro le donne?
«Non è così, perché pur dovendo tenere conto delle giuste rivendicazioni di quelle donne che hanno sacrificato le proprie ambizioni lavorative per favorire la carriera del marito, la Cassazione sembra volere riequilibrare e costituire un fermo correttivo alle troppe decisioni in cui gli uomini sono stati eccessivamente penalizzati da assegni di mantenimento di importo davvero spropositato».
La moglie non è più il coniuge debole?
«Lo era considerato un tempo e per questo l'iniziale volontà dei giudici era di assicurare una maggiore tutela economica proprio a loro. Ma questo, nel tempo, ha finito per tradursi in forme di mantenimento fuori misura che hanno favorito quella visione del matrimonio come un possibile ottimo affare dal punto di vista economico, capace di assicurare una sorta di rendita vitalizia».
Anche il matrimonio deve fare i conti con la crisi economica?
«La sentenza recepisce un comune sentire che si stava facendo strada nei Tribunale. E' una rivoluzione. Ma nell'era del precariato anche sposarsi non garantisce più la certezza economica del posto fisso».

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