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Data: 12/05/2017
Testata giornalistica: Il Centro
La Cassazione taglia gli assegni di mantenimento. Divorziare conviene meno. Per i supremi giudici non si dovrà più tenere conto del tenore di vita precedente. Chi ha un lavoro, una casa o altri redditi dovrà accontentarsi di cifre minime «Non ci sono più diritti acquisiti né coniugi da spolpare».

PESCARA Un giorno dopo la sentenza della cassazione che ha tagliato di netto gli assegni di mantenimento delle coppie separate e divorziate, nelle famiglie in via di separazione o già separate, e negli studi degli avvocati (in Abruzzo ogni anno sono quasi 2mila le separazioni) si fanno i conti sugli effetti pratici. Quello che si può dire subito è che divorziare non è più conveniente. Perché la Cassazione ha detto che il «tenore di vita» goduto durante il matrimonio non può essere un parametro perenne e l'ex coniuge non è più tenuto ad assicurarlo all'ex moglie o marito. Il nuovo paramento deve essere quello della "spettanza", basato sulla valutazione dell'indipendenza o dell'autosufficienza economica dell'ex coniuge che chiede l'aiuto del partner. Dunque il matrimonio non è più la «sistemazione definitiva» per la vita: sposarsi, hanno scritto i supremi giudici nella sentenza 11504, è un «atto di libertà e autoresponsabilità» e se le cose vanno male si torna ad essere «persone singole», senza rendite di posizione. Anche perché dover versare un assegno «può tradursi in un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia». E questo in violazione del diritto a rifarsi una vita riconosciuto dalla Corte di Strasburgo e dalla Carta fondante dell'Unione Europea. Il caso che ha generato questo sommovimento del diritto di famiglia, è quello del divorzio nel 2013 tra un brillante ex ministro e una affascinante imprenditrice sposati dal 1993 (vedi articolo in basso). Per Gian Ettore Gassani, avvocato matrimonialista, «si tratta di un terremoto giurisprudenziale in linea con gli orientamenti degli altri Paesi europei». E l'avvocato Silvia Veronesi ha commentato: «Finalmente si compie quel processo, che era già in atto, di adeguamento della legge a una concezione paritaria tra marito e moglie e che in Italia è sempre un po' stato frenato da una corrente più conservatrice che preservava i ruoli tradizionali di uomo e donna anche per via di una ben radicata cultura cattolica». Ma che succede a chi ha in corso una causa? «Chi ha pendente un procedimento di divorzio può chiedere al giudice di tener presenti questi nuovi criteri, ma nel nostro ordinamento il giudice non è vincolato da una precedente decisione. Quindi bisogna vedere i nostri giudici di merito come interpreteranno questa sentenza e come l'applicheranno concretamente per il caso specifico», ha spiegato l'avvocato matrimonialista Pompilia Rossi commentando al Tg5 la sentenza della Cassazione. E comunque, ha aggiunto, «bisognerà d'ora in poi considerare la sentenza di divorzio come la sentenza che interrompe qualunque tipo di rapporto tra i coniugi, anche di ordine patrimoniale. Questo la Cassazione lo dice chiaramente». L'assegno comunque non sparisce, ma la Cassazione precisa alcuni indici «per accertare» la sussistenza, o meno, «dell'indipendenza economica» dell'ex coniuge richiedente l'assegno e quindi l'adeguatezza, o meno, dei «mezzi», nonché la possibilità, o meno, «per ragioni oggettive, di procurarseli. Gli indici sono quattro: 1) il possesso di redditi di qualsiasi specie; 2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari; 3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all'età, al sesso ed al mercato del lavoro indipendente o autonomo; 4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione. È su questi indici che il giudice si baserà per calcolare l'assegno. Forse per le persone normali e di poche risorse cambierà poco. Ma è certo che d'ora in poi il "matrimonio all'italiana" non sarà più quello di una volta.


«Non ci sono più diritti acquisiti né coniugi da spolpare». Vittoria Colangelo: ogni caso è diverso, ma a volte gli assegni diventavano stipendi a tempo indeterminato

PESCARAL'indipendenza o autosufficienza del coniuge è un criterio che da solo basta per determinare l'assegno divorzile al coniuge che lo richiede. Si tratta di un pronunciamento rivoluzionario della Corte di Cassazione, che chiede di rivedere il concetto stesso del matrimonio e le implicazioni che l'unione, dal punto di vista legale, comporta. Il tenore di vita di chi della coppia ha diritto all'assegno non viene più preso in considerazione, superando così una regola in vigore da trent'anni. Decisione equilibrata ed adeguata ai tempi o scelta che danneggia le donne? Lo abbiamo chiesto a Vittoria Colangelo, avvocato matrimonialista di Pescara. Avvocato Colangelo, come valuta il pronunciamento della Cassazione sui parametri che servono a determinare il quantum del contributo del coniuge in una causa di divorzio? «La recente sentenza della Cassazione è rivoluzionaria perché nel calcolo dell'assegno di mantenimento non si fa più riferimento al "tenore di vita" goduto in costanza di matrimonio bensì alla valutazione dell'indipendenza e dell'autosufficienza del coniuge che lo richiede. Il matrimonio, quindi, non è più la "sistemazione definitiva" ma un "atto di libertà e autoresponsabilità". Finalmente la Cassazione ha fatto chiarezza nella determinazione del quantum relativo al mantenimento che troppo spesso costituiva un vero e proprio stipendio a tempo indeterminato. D'altra parte il principio della dissolubilità del matrimonio civile, e non sacramentale, avrebbe dovuto già comportare il superamento della concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come sistemazione definitiva; il matrimonio si estingue, quindi, sia sul piano personale che economico». Secondo quella che è la sua esperienza di avvocato, la sentenza è a favore o contro la posizione della donna? «In linea di principio non ho mai pensato che la donna fosse un soggetto debole da tutelare e l'uomo la parte forte da spolpare, quindi trovo giustissimo far riferimento nel calcolo del mantenimento alla valutazione dell'autosufficienza ed indipendenza reali e non sul tenore di vita che non può costituire un diritto acquisito; certo ogni caso è diverso e deve essere valutato con puntualità ed attenzione: diverso è il caso della donna che lavora a tempo pieno, per scelta, da quello in cui la donna, magari non per scelta, abbia dedicato tutto il suo tempo e le sue risorse alla famiglia, rappresentando un'opportunità per il marito». Quale effetto ha la decisione sui processi in corso, e quali sulle cause già concluse, arrivate a sentenza? «Sui processi in corso la sentenza può avere effetti importanti, mentre su quelli conclusi potrebbe ipotizzarsi una revisione dell'assegno di mantenimento alla luce del nuovo orientamento giurisprudenziale». Quali sono i costi di una causa di divorzio? «Non è possibile stabilire una cifra a priori. Ogni caso è diverso, così come ogni professionista ha le proprie tariffe. Però quello che io consiglio è di rivolgersi a chi si occupa prevalentemente di diritto di famiglia, che ha competenza in diritto minorile, che è un campo minato e delicatissimo, nel quale gli errori vengono pagati da soggetti deboli e fragili, soprattutto se minori».

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