Iscriviti OnLine
 

Pescara, 24/11/2024
Visitatore n. 740.948



Data: 18/05/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Ecco la nuova Italia: addio borghesia e classe operaia

ROMA La classe operaia non esiste più. È sparito - o quasi - anche il ceto medio. Le classi storicamente «più radicate nella struttura produttiva del nostro Paese» hanno perso la loro forza e, di conseguenza, la collettività ha perduto gli effetti delle loro spinte, da un lato quella verso l'equità sociale, dall'altro quella al cambiamento e all'evoluzione.
È il ritratto di un Paese divenuto pressoché immobile, orfano dei pilastri del suo dinamismo, quello che emerge dal Rapporto Annuale 2017 dell'Istat. E di una società dove le diseguaglianze si fanno sempre più forti ed evidenti. Tra classi. E perfino all'interno dello stesso ceto. «La crescente complessità del mondo del lavoro attuale - spiega l'Istituto - ha fatto aumentare le diversità non solo tra le professioni ma anche all'interno degli stessi ruoli professionali, acuendo le diseguaglianze tra classi sociali e all'interno di esse». Il precariato e la frammentazione dei percorsi lavorativi hanno portato alla «perdita dell'identità di classe».

LE CATEGORIE SOCIALI La nuova Italia si fonda su diverse categorie sociali. A dettare le differenze - e le diseguaglianze - è il reddito. La classe operaia è confluita in larga parte nel gruppo dei giovani blue-collar, ritenuto a reddito medio, che rappresenta l'11,3% delle famiglie residenti in Italia e nel 35,6% dei casi è composto da coppie senza figli. Ma il passaggio c'è stato anche nelle categorie delle famiglie a basso reddito di soli italiani - 13,6% delle persone - o con stranieri, che rappresentano il 7,8%. La piccola borghesia si è frammentata ancora di più, tra nuclei familiari di impiegati, categoria valutata benestante, pari al 22,7% delle famiglie, operai in pensione, altro gruppo a reddito medio, pari al 22,7%, e nuclei familiari tradizionali della provincia, 3,3%, che invece sono a basso reddito. A questi vanno aggiunti anziane sole e giovani disoccupati: il 13,8% delle realtà italiane. Un gruppo che al suo interno vede molte diseguaglianze e un rischio povertà per quattro famiglie su dieci. Il capitolo benestanti vede oltre a famiglie di impiegati, che rappresentano un quinto della popolazione, pensioni d'argento, con livello di istruzione ed età media alti, 9,3%, e la classe dirigente, 7,2% di famiglie, composte nel 40% dei casi da coppie con figli conviventi.
Quasi sette under 35 su dieci vivono nella casa d'origine. E crescono le famiglie senza lavoro, pari al 13,9% del totale, che vanno avanti grazie a rendite diverse, affitti, aiuti sociali. Il sistema, basato sul reddito, in una realtà ad alto tasso di precarizzazione, arresta i possibili sviluppi. Ogni classe rimane cristallizzata nelle sue possibilità e nei suoi limiti, spesso pure nel passaggio tra generazioni. Più banalmente, le opportunità arrivano a chi già le ha. Le difficoltà economiche e la mancanza di un ascensore sociale hanno ovviamente ricadute anche a livello anagrafico. L'Italia è tra i Paesi «a più elevato invecchiamento al mondo».
«Il ceto medio - commenta il sociologo Giuseppe De Rita, presidente Censis negli anni Settanta - ha avuto il suo boom e si è attestato negli Ottanta e Novanta come centro della realtà sociale italiana. Dal 2007, però, con la crisi, il processo di imborghesimento ha iniziato a perdere colpi. Le persone hanno sentito che non stavano più andando avanti. Ciò ha portato all'attuale fenomeno del rancore sociale. La nostra società sta vivendo una sorta di lutto per ciò che non c'è stato. È mancata l'evoluzione da ceto medio a grande borghesia. Una piccola parte di grande borghesia, in realtà, il Paese l'ha conosciuta, ma si è fatta subito casta. Siamo orfani della mobilità sociale e ciò ha portato a un degrado antropologico».
Un circolo vizioso dal quale oggi è difficile uscire. «Non siamo una società borghese, né operaia - conclude - è questa la tragedia che stiamo vivendo. Stiamo attraversando una fase di immobilismo perché manca la radice che porta al desiderio intimo di crescere. E manca a livello diffuso».

www.filtabruzzo.it ~ cgil@filtabruzzo.it