Dalla Francia di Macron alla Germania che vede Merkel avvicinarsi a un nuovo mandato, un nuovo vento moderato si aggira per l'Europa presidente Berlusconi?
«Non paragonerei quello che è successo in Francia con quello che sta accadendo in Germania: Macron è un uomo di formazione tecnocratica e pragmatica, che ha vinto grazie alla crisi dei partiti tradizionali. Questa crisi è stata causata a sua volta da tre fattori: il bilancio non positivo della presidenza Hollande, che ha penalizzato il Partito Socialista, l'intervento della magistratura in campagna elettorale, che ha azzoppato il favoritissimo candidato dei repubblicani, e il peso anomalo della destra populista della signora Le Pen, che ha saputo intercettare molte delle ragioni di malcontento diffuse nella società francese, determinando una imponente flusso di voti a suo favore senza avere alcuna prospettiva di successo e di governo. La signora Merkel invece è espressione della più grande e consolidata tradizione politica tedesca ed europea, quella cristiana e liberale che si raccoglie nel Partito Popolare Europeo. La sua stessa presenza, la sua autorevolezza e credibilità stanno ridimensionando in Germania, in tutte le elezioni parziali, i partiti anti-sistema, di destra e di sinistra, ma - ciò che più conta - risultano vincenti nel confronti della sinistra guidata dal signor Schulz. Un elemento in comune fra i due paesi però certamente esiste: la sinistra vince dove l'alternativa è la destra populista e identitaria, perde dove esiste un'alternativa credibile moderata, cristiana e liberale. E' il ruolo che intendiamo svolgere in Italia, coerentemente con la nostra collocazione nel Ppe».
I candidati anti-sistema, dopo l'exploit di Trump, hanno già esaurito la loro spinta elettorale?
«Pensarlo sarebbe un'illusione pericolosa per le classi dirigenti europee: i motivi di malcontento verso la politica sono molti, diffusi e ben fondati in tutta l'Europa e in particolare in Italia. La risposta può essere un profondo e radicale rinnovamento della politica, nei volti e nei metodi, oppure l'illusione delle classi dirigenti di arroccarsi nella gestione del potere, come avviene in Italia e non solo. Se prevarrà questo secondo atteggiamento, allora la democrazia liberale sarà condannata ad una profonda crisi, dagli esiti imprevedibili».
Quale valutazione dà, venendo al nostro Paese, del fenomeno M5S?
«Un caso di scuola di risposta sbagliata a problemi giustissimi. Grillo e Casaleggio sono stati molto bravi, dei veri professionisti: hanno individuato correttamente un malessere diffusissimo, hanno inventato un linguaggio e soprattutto dei metodi nuovi per diffonderlo, sono abili nelle tattiche parlamentari e televisive. Però quando sono chiamati alla prova del governo, come a Roma, falliscono clamorosamente. Più in generale, non hanno una proposta di governo credibile per una società complessa come la nostra. Il loro pauperismo e il loro giustizialismo emergono chiaramente nelle loro proposte come ad esempio quella di una imposta di successione (che noi avevamo completamente abrogato) al 50%. I grillini fanno finta di avvicinare i cittadini alla politica, di coinvolgerli nei processi decisionali. Nella realtà accade esattamente il contrario, con Grillo, loro unico leader e decisore, svuotano di significato gli strumenti della democrazia».
Passando alla legge elettorale, un singolare asse Renzi-Salvini ha terremotato le trattative in corso. Lei come valuta questo sistema misto maggioritario/proporzionale che propongono?
«Non è un sistema misto, è un sistema confuso e pericoloso. Se venisse adottato, dalle elezioni potrebbero uscire una maggioranza casuale, che sarebbe comunque espressione di una minoranza dei cittadini, o anche due maggioranza diverse fra Camera e Senato. Mi sembra un tentativo di forzatura da parte del PD, del tutto sorprendente anche rispetto alle indicazioni del Capo dello Stato per una legge elettorale condivisa».
Forza Italia rischia di essere messa ai margini da questa trattativa: intende riattivare il canale di dialogo che in passato ha avuto con Renzi? Con quale proposta, nel caso?
«Il problema non è Forza Italia: questa proposta, che non ha la maggioranza in Senato, così com'è spacca il paese su un tema che invece dovrebbe unire, come le regole elettorali. Forza Italia ragiona come sempre nell'interesse complessivo, che in queste materie non può essere ricondotto a piccoli calcoli di convenienza immediata. Io spero e credo che si potrà tornare a ragionare con il Pd, anche perché i numeri parlamentari lo rendono necessario. Quello che è certo, comunque, è che questa proposta non è una buona base di partenza. Il sistema tedesco, quello vero, che noi chiedevamo, è uno dei due grandi sistemi possibili, accanto al semipresidenzialismo alla francese. L'unico che funziona davvero in Europa nei paesi in cui non è prevista l'elezione diretta del Presidente. La Germania ne ha avuto settant'anni di stabilità, di bipolarismo, di democrazia consolidata ed efficiente. Dalla catastrofe della guerra è diventata il paese leader in Europa. Significa che il suo sistema istituzionale, il suo modo di scegliere chi governa, funziona piuttosto bene, mi pare».
Ma se non si trova nessun accordo, le sembra reale l'ipotesi di apportare le correzioni necessarie per decreto e votare in autunno?
«Un decreto che cambia la legge elettorale sarebbe davvero senza precedenti. Ho l'impressione che senza un accordo il momento in cui sarà possibile ridare finalmente la parola agli italiani si allontanerebbe sensibilmente».
Ora anche il Pd parla di cambiare la legge sulle intercettazioni. Un tema in più su cui aprire un confronto?
«Questo potrebbe far sorridere, con qualche amarezza, pensando a come le intercettazioni sono state usate contro di me, la mia famiglia, i miei amici, i miei ospiti, per costruire vergognosi quando inconsistenti scandali mediatico-giudiziari. A quell'epoca, ogni utilizzo criminale delle intercettazioni veniva difeso come espressione della libertà di stampa. Ma io non sono a caccia di rivalse, e il fatto che oggi le intercettazioni colpiscano i vertici del Pd, o comunque siano fatte uscire ad arte per logiche interne a quel partito, non rende la cosa meno vergognosa. Quindi ben venga il ravvedimento del PD, anche se interessato. In generale, io non sono mai per usare contro i miei avversari gli stessi metodi che loro hanno usato contro di me, e quindi non ho esitazioni a definire riprovevole la campagna scandalistica della quale sono vittime Renzi e la Boschi. Sono avversari, ma noi vogliamo sconfiggerli sul piano delle idee, dei programmi, della capacità di governo, non usando questi metodi che ci ripugnano».
Venendo al centrodestra, Presidente, le primarie della Lega hanno creato parecchie tensioni tanto da far dire a Bossi che con Salvini la Lega è finita. Condivide questo giudizio?
«Non è nel mio stile intervenire nelle vicende interne di partiti amici ed alleati. Salvini ha voluto una consultazione fra i suoi iscritti che ha confermato la maggioranza della sua linea nel partito leghista, cosa della quale peraltro nessuno dubitava. Bossi è la storia della Lega, senza di lui la Lega non esisterebbe, e senza la sua capacità di visione la questione settentrionale non sarebbe mai stata posta seriamente».
Il centrodestra unito è un valore, si sente ripetere sempre più spesso. Ma unito tra chi, Presidente? Che chance vede di allearsi con questa Lega di Salvini?
«Il centrodestra ha due modi per regalare la vittoria alle elezioni a Renzi o a Grillo. Il primo è dividersi: l'esempio francese è un caso di scuola, e per di più la Lega mi sembra molto lontana dal consenso di cui gode il Front National in Francia. Il secondo errore, non meno grave, è quello di immaginare di federare le forze politiche del centrodestra, che sono e devono rimanere ben distinte, su un progetto che non abbia i connotati liberali, riformatori, cristiani, che sono quelli che prevalgono in tutt'Europa, nei paesi in cui il centrodestra vince le elezioni. Il liberalismo è il futuro, non il passato del centrodestra. Immagino che Salvini e Giorgia Meloni abbiano la lungimiranza necessaria per rendersene conto e non vogliano chiudere ogni prospettiva per le ragioni e le speranze degli elettori di destra».
Per quanto riguarda la leadership, già quest'inverno lei si è detto pronto a tornare in campo. Ma la sentenza della Corte di Strasburgo potrebbe non arrivare in tempo per le prossime elezioni politiche. Ha già preparato un piano B?
«Lei intende B come Berlusconi?».
Alla fine della prossima settimana saranno in Italia i leader mondiali per il G7. C'è qualche tema o suggerimento che vorrebbe dare a Gentiloni, approfittando della sua esperienza?
«Il presidente Gentiloni ha ormai cultura e pratica internazionale. Non gli sfuggirà il rischio che questi vertici si trasformino nella certificazione dell'incapacità delle classi dirigenti del mondo libero di dare una risposta alle grandi sfide del mondo globalizzato. Una sfida che l'Occidente non può più affrontare da solo, senza pensare a un sistema globale nel quale i principali players mondiali, la Russia, la Cina, le nuove tigri asiatiche, i paesi arabi non estremisti, devono essere parte di un sistema globale di sicurezza e di sviluppo. Problemi come il terrorismo e l'immigrazione si risolvono nel medio periodo soltanto con un grande piano Marshall per l'Africa che l'Occidente può promuovere ma non è in grado di gestire da solo. Lo stesso vale per il governo delle crisi regionali, nelle quali i soggetti più pericolosi, dall'Isis a Kim Jong-un, trovano l'acqua in cui nuotare».
L'assenza della Russia poteva essere evitata?
«Non solo poteva, doveva. La Russia non è un avversario, è un partner indispensabile che fa parte dell'Occidente. Questo non significa condividere ogni aspetto della politica russa: nella vicenda ucraina i russi hanno molte ragioni, in Siria stanno contribuendo alla stabilizzazione, ma sbaglierebbero se per esempio volessero esercitare pressioni indebite sui paesi baltici. Si tratta però di affrontare questi argomenti con un approccio condiviso e costruttivo: grazie a noi i tempi della guerra fredda sono finiti nel 2002 e, crollato il comunismo, la Russia è un paese amico, non un'antagonista globale. I leader occidentali più avveduti se ne stanno finalmente rendendo conto».
Un'ultimissima cosa, Presidente. Sono poche settimane da quando ha venduto il Milan. La ferita si sta rimarginando?
«No, e non si rimarginerà mai. Perché il Milan, prima che un'azienda, era una parte del mio cuore. Però sono convinto di aver agito nel modo migliore, da innamorato del Milan che vuole vedere il suo Milan ritornare protagonista in Italia, in Europa e nel mondo».
Legge elettorale, Renzi: fare presto pronto a trattare
ROMA Con cautela e con la massima riservatezza, Matteo Renzi non ha lasciato cadere i segnali lanciati nelle ultime ore da Silvio Berlusconi. Da quando il Cavaliere ha mandato avanti i suoi ambasciatori per capire se il segretario del Pd sarebbe disposto a qualche ritocco al Rosatellum in cambio di un accordo per votare in autunno, al Nazareno hanno cominciato a studiare il modo per rendere la bozza di legge elettorale «meno indigesta» e «più accettabile» a Forza Italia.
Dietro la fase di ascolto e di studio non c'è il desiderio di Renzi di riesumare il patto del Nazareno, né tantomeno l'intenzione di stipulare preventivamente grandi intese con Berlusconi. «Dio me ne guardi». C'è invece il timore di perdere definitivamente il treno per le elezioni tra fine settembre e inizio ottobre. Un timore, spiegano i suoi, che non è dettato dalla voglia o dall'impazienza di tornare a palazzo Chigi. «Matteo si è impegnato ad arrivare a fine legislatura, al 2018, e se può manterrà l'impegno». A far balenare di nuovo lo spettro delle elezioni anticipate sono invece «diversi motivi d'allarme».
Il primo è «arrivare a una fase cruciale ed estremamente delicata» a livello europeo e internazionale senza avere a palazzo Chigi un governo forte e politicamente legittimato dal corpo elettorale. Spiegano al Nazareno: «E' stato eletto Macron in Francia e il 24 settembre presumibilmente verrà riconfermata la Merkel in Germania, saranno loro ad aprire la trattativa sul futuro dell'Unione europea. E noi chi ci mandiamo? Gentiloni è bravo, competente e onesto, ma non è uno che batte i pugni sul tavolo».
C'è poi la questione della legge di stabilità da scrivere entro metà ottobre. Al Pd sono convinti che questo ingrato compito debba spettare a un esecutivo appena eletto (in grado di strappare nuovi margini di flessibilità a Bruxelles), piuttosto che a un governo prossimo alla scadenza. E c'è, soprattutto, l'«allarme democratico».
LA GRANDE PAURAPer il Pd il vero pericolo a questo punto non sono le larghe intese post-elettorali, ma la possibilità che a vincere siano i Cinquestelle. «E in meno di un mese ci ritroveremmo sull'orlo del default, con la troika che bussa a palazzo Chigi. La storia del reddito di cittadinanza non sta in piedi, sono dei visionari pericolosi...», dice un renziano di altissimo rango.
La disponibilità, in risposta alla avance berlusconiane, a ritoccare il Rosatellum non prescinde da un timing rigido e stringente. Il varo della legge dovrà avvenire entro giugno alla Camera e fine luglio al Senato: se si andasse oltre si chiuderebbe definitivamente la finestra elettorale d'autunno. «Del resto Mattarella ha detto che è possibile andare alle elezioni appena si ha la legge elettorale degna di questo nome, non ha chiesto, né chiede, l'accanimento terapeutico per tenere in vita un Parlamento a fine corsa...».
IL TIMING E I RISCHIE' evidente che per centrare l'obiettivo di fine luglio, scongiurare l'ostruzionismo e soprattutto avere i voti sufficienti a palazzo Madama, è indispensabile raggiungere l'intesa con Forza Italia. E anche con i Cinquestelle. Grillo ieri ha detto: «Il Rosatellum è un sistema contro di noi». Ebbene, al Nazareno assicurano di aver già avviato i contatti con i grillini. «Parliamo con tutti. La riforma più condivisa è, meglio è». Questo perché i voti di Pd, Lega, Svp, verdiniani e fittiani non garantiscono affatto il via libera alle legge da parte del Senato.
Per allettare Berlusconi a concedere il via libera alle elezioni autunnali, i renziani studiano «alcune correzioni». «E con qualche ritocco», spiega un'altra fonte autorevole, «il Rosatellum diventa il sistema tedesco che è sempre stato gradito a Forza Italia. Se vogliono arrivare lì, si può discutere...». Del resto, ragionano al Pd, il sistema tedesco, «grazie alla soglia di sbarramento al 5% e alla struttura del voto in collegi, dà garanzie di governabilità superiori al proporzionale puro». Una frase che rivela un altro timore di Renzi: non farcela ad approvare il Rosatellum, ritrovandosi così costretto ad andare alle elezioni con l'Italicum tutto proporzionale sponsorizzato da Berlusconi, Grillo, Angelino Alfano e «cespugli vari».
L'INCUBO BERLUSCONIANOLa partita del Pd con Forza Italia non è comunque difficile. Ciò è dimostrato dal fatto che il primo a lanciare segnali di pace è stato il Cavaliere. Questo perché, in base ad alcune simulazioni, con il maggioritario del Rosatellum Forza Italia rischierebbe di diventare marginale. Al Nord prevarrebbe la Lega, al Centro e al Sud il Pd, i grillini qua e là. Con il partito di Berlusconi destinato, se va bene, ad arrivare quarto.