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Data: 25/05/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Boccia: «Ora un patto per crescere di più e assumere giovani». Calenda apre a meno tasse sui salari Affondo in difesa dei ministri tecnici

ROMA «La rotta è invertita», ma «la ripartenza è lenta». Con una crescita al ritmo dell'1% torneremo ai livelli pre-crisi solo nel 2023. Quest'anno il nostro Pil sarà ancora del 6% inferiore a quello del 2007. Gli altri grandi Paesi europei invece hanno iniziato a correre e così i divari aumentano. Al giro di boa del secondo anno alla guida di Confindustria, Vincenzo Boccia parte da queste considerazioni per lanciare la sua proposta alla annuale assemblea pubblica dell'associazione: un patto di scopo per la crescita.
Ma sia chiaro, avverte: non deve essere «un patto spartitorio dove ciascuno chiede qualcosa per la propria categoria, ma il suo esatto contrario, dove ciascuno cede qualcosa per il bene comune».
Imprese e sindacati quindi dovranno impegnarsi per dare corpo al cosiddetto «Patto nella fabbrica», per inaugurare una nuova stagione di relazioni industriali, avviare lo scambio salari-produttività. Politici e governanti dovranno a loro volta mettere in campo strumenti per ridare slancio agli investimenti pubblici, e aiutare i giovani a trovare lavoro. Il che si traduce in due richieste specifiche:azzerare il cuneo fiscale e contributivo per i primi tre anni di assunzione dei giovani; detassare «in modo strutturale» i premi di produttività.
LO SPIRITO UNITARIO
Insomma, occorre dare vita a un'assunzione di responsabilità che coinvolga tutti, in uno spirito unitario di coesione sociale. Così da vincere «la sfida di rimanere nel gruppo di testa» delle grandi potenze industriali, non sprecare il vento buono della ripresa mondiale e recuperare terreno: dal 2000 ad oggi - ricorda Boccia - il Pil italiano è rimasto invariato. Il reddito è inchiodato ai livelli del 1998: «Vent'anni perduti» chiosa desolato.
Il minuto di silenzio osservato dalla platea all'avvio dei lavori, in onore delle giovani vittime stroncate dalla follia terroristica a Manchester, sembra sottolineare ancor di più come solo uniti e coesi si combatte e si vince. La battaglia per il progresso culturale e civile non può che andare di pari passo con quella per lo sviluppo economico.
Non che il nostro sistema produttivo non abbia punti di forza. Boccia ricorda: siamo il secondo paese manifatturiero in Europa, il settimo nel mondo, il nostro export va alla grande. «Molte delle più grandi opere ingegneristiche nel mondo parlano italiano», come le chiuse del Canale di Panama, il supertelescopio di Atacama in Cile.
IL DEBITO DA RIDURRE
Ma questi traguardi non devono farci dimenticare i tanti problemi. L'elenco di Boccia spazia dai 4 milioni e mezzo di poveri, ai troppi giovani esclusi dal mondo del lavoro. Dalle «croniche carenze strutturali», al fardello del debito pubblico che - soprattutto in vista dell'uscita dal massiccio programma di acquisto di titoli sovrani da parte della Bce e del rialzo dei tassi - deve essere ridotto «rapidamente con privatizzazioni, dismissioni di immobili pubblici e il lancio dei Matusalem bond». Dall'alto costo dell'energia, al gap della banda larga. Dalla questione bancaria, ancora non del tutto risolta, all'inclusione dei migranti.
Le opportunità ci sono, ma permangono anche molti rischi: le tentazioni protezionistiche (Boccia cita lo slogan America First e si augura che il G7 di Taormina riaffermi il principio della libertà di scambi), i nazionalismi e gli euroscetticismi che, per fortuna, sembrano aver arrestato la loro avanzata. La Francia di Macron ne è l'esempio lampante.
Non mancano, nelle parole di Boccia, preoccupazioni più squisitamente politiche, a partire dal rischio stallo dovuto a «un lungo periodo elettorale». Boccia ricorda la «vocazione maggioritaria» di Confindustria e avverte: «Assecondare la tentazione proporzionalista potrebbe rivelarsi fatale per l'Italia. Comincerebbe una nuova stagione di immobilismo».

Calenda apre a meno tasse sui salari Affondo in difesa dei ministri tecnici

ROMA Detassare ulteriormente i premi e il salario di produttività. Privatizzare la Rai, perché «la politica non ha dato risultati lusinghieri». Evitare la tentazione di andare al voto, completando la ricapitalizzazione delle banche in crisi e, soprattutto, varando una legge elettorale che consenta di formare un governo stabile. Strappa applausi Carlo Calenda nel suo intervento in Confidustria, interpretando il malessere diffuso della platea, quel senso di precarietà e incertezza che aleggia tra gli imprenditori, preoccupati per una possibile fine traumatica della legislatura. Pragmatico e a tratti duro lancia un messaggio chiaro ai «politici di professione» e anche a Renzi, vero convitato di pietra, difendendo i ministri tecnici: «Io e Padoan - dice - abbiamo capito che la tecnica può diventare un grande gap mentre noi pensavamo fosse una cosa positiva». Il riferimento è allo stop alle privatizzazioni e quindi alle tensioni con l'ex premier. Proprio da tecnico, ma con una gran voglia di scendere in politica, sottolinea che «non servono accelerazioni sul fronte delle elezioni perché c'è uno scenario da evitare: quello dell'esercizio di bilancio provvisorio». Un messaggio chiaro al Pd e alle manovre in corso. In prima fila sorride Padoan, il quale, già nel mirino di Bruxelles e con una maxi manovra da presentare a ottobre, trema al solo pensiero che il percorso delle riforme si interrompa bruscamente.
Elenca, Calenda, i casi di Eni, Enel, Leonardo e Fincantieri per osservare che mantenere il controllo pubblico aprendo il capitale al mercato è stata una «buona soluzione». «Al contrario - sottolinea il ministro dello Sviluppo che si ispira a Macron - quando la politica ha preteso di mantenere un controllo i risultati non sono stati buoni. Il riferimento alla Rai è del tutto casuale». Tolto il sassolino dalla scarpa, Calenda promette che lavorerà fino all'ultimo per dare corpo alle nuove liberalizzazioni, tagliare il costo dell'energia e anticipare l'uscita dal carbone, consapevole che il game over può arrivare dopo l'estate. Conferma quindi la scelta non protezionista dell'Italia, la validità delle norme «anti scorrerie» (che presto saranno presentate a Bruxelles) e attacca la «sindrome Nimby». Nel mirino finisce il Tar del Lazio che ha «sospeso l'espianto degli ulivi per la Tap in Puglia quando l'espianto era di fatto già terminato». Una vicenda - dice sommerso dai battimani - davvero kafkiana. Così come sono «stravaganti» le proposte sul reddito di cittadinanza e le richieste di nazionalizzare ogni azienda in crisi. «Anomalie - ammette - tutte italiane».
LE PRIORITA'
Meglio puntare tutto sulla crescita, la spinta alla competitività, i progetti di lungo periodo. Perché - è il ragionamento - scorciatoie non ce ne sono se vogliamo recuperare terreno in Europa, creare posti di lavoro, difendere il made in Italy. Ammette che gli esecutivi Renzi-Gentiloni hanno fatto molto, tagliando Irap, Ires e Imu sugli imbullonati, incentivando investimenti, dando i bonus per l'efficienza energetica. Ma, nota, bisogna fare ancora di più, proprio adesso che la Bce si accinge ad abbassare il bazooka del Qe. A partire dal ddl concorrenza, bloccato da mesi, che va approvato subito alla Camera. Per poi passare al Piano Industria 4.0, che incentiva l'innovazione (con crediti d'imposta e superammortammenti) e che non «è il piano Calenda», ma va portato avanti con determinazione. Al presidente di Confindustria Boccia, assicura che il governo farà di tutto per diminuire le tasse sul salario di produttività e che saranno favorite, con «percorsi di crescita personalizzati», le imprese che puntano sull'internazionalizzazione. Il capitolo «più importante, che va ancora scritto», è quello sul lavoro. Per questo annuncia che insieme al ministro Poletti si ragiona su un Piano Lavoro e Welfare 4.0.

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