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Data: 02/06/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Alfano: ho chiuso con il Pd M5S si spacca sul patto E Renzi: regge? Non lo so. Angelino si commuove: noi di nuovo sotto attacco

ROMA Renzi-Alfano, c'eravamo tanto amati. Neanche tanto, in verità, fatto sta che il rapporto politico tra i due sembra proprio finito. «Con il Pd storia chiusa, accettiamo la sfida del 5%», ha annunciato Angelino Alfano che, come tutte le storie che si rispettino, ci ha messo il veleno nella coda. «Renzi è da febbraio che ci ha chiesto di far cadere Gentiloni», la tesi sostenuta dagli alfaniani non smentita dal leader centrista, con i cinquestelle che ci saltano su, la prendono subito per buona fino ad accusare il leader dem di «eversione» (Di Maio). Dalle parti del Nazareno non porgono però l'altra guancia. «Far cadere Gentiloni? Io ho fatto cadere il mio governo... ma qualche partito non conosce bene come lasciare la poltrona», ironizza Renzi. Scontro totale con Alfano, ma qualche dubbio in serata - alla festa per il 2 giugno al Quirinale - Renzi sembra nutrirlo: «Regge l'accordo con M5S? Non so, noi ci siamo. E comunque a loro il sistema tedesco conviene. Per noi le preferenze non sono un problema? Ma per loro?».
Renzi intanto ha riunito per la prima volta la nuova segreteria, si discute, e alla fine le dichiarazioni sono tutte versus Alfano. Dice Lorenzo Guerini: «Noi da febbraio chiediamo la nuova legge elettorale, non altro». Dice Matteo Richetti: «Se il Pd volesse far cadere Gentiloni, non avrebbe certo bisogno di Ap, avendo dieci volte i voti di Alfano». Un clima che si va surriscaldando e che ha finito per influire sui lavori per la nuova legge elettorale simil tedesca. Anche se, notano un po' tutti, lo scontro politico non ha ancora inficiato la collaborazione fra i tre maggiori contraenti del patto, Pd-FI-M5S, l'accordone e il clima costituente reggono. I problemi, piuttosto, vengono dall'interno delle singole forze, specie nel M5S e nel Pd, mentre FI non mostra crepe, al momento. Dopo l'ennesima riunione tra i parlamentari 5 stelle, è toccato a Roberto Fico lanciare un penultimatum: «Ci sono problemi, nulla è scontato». Con il Pd che subito esprime «stupore», e con il relatore Emanuele Fiano che fa presente come «in commissione il clima sia buono e i cinquestelle con Toninelli non hanno mostrato segnali di rottura».

BATTAGLIA VERA«L'accordo regge? Non lo so, ma noi ci siamo», commenta a sera Renzi: «Noi abbiamo fatto un'operazione seria e intelligente. La legge elettorale è nelle mani del Parlamento. Noi abbiamo un impegno con il presidente della Repubblica». Conferma Di Maio, che fornisce la linea ufficiale grillina: «Non ci sono ultimatum e non c'è rottura, in questo momento c'è un ampio dialogo e si va avanti». Che cosa era accaduto? E' successo che nella riunione dei parlamentari sono riemerse le divisioni che si può dire da sempre attraversano il M5S, con Paola Taverna che si è fatta portatrice del malumore, di più, della contrarietà di una parte del movimento all'intesa a tre. «Io non mi sarei neanche seduta lì, è quasi un mega Porcellum», e via attaccando. Al punto che qualcuno è sbottato e ha agitato il rasoio: «Ma che vuole, il Tavernellum?», che non è propriamente un sistema elettorale. Quindi la proposta: voto disgiunto, in pratica la possibilità di poter votare uno di un partito nel collegio e un altro partito nel listino. «Non si può fare, se il sistema è proporzionale non si può, e per favore non mettiamoci a fare accordi a geometria variabile, le modifiche o sono di tutti o non si fanno», stoppa sul nascere Ettore Rosato, capogruppo dem. Mentre Fiano, in un Pd che sconta perplessità e malumori tra gli orlandiani e cuperliani, spiega: «Non è affatto un Porcellum, nei collegi sarà battaglia vera, altro che nominati».


Angelino si commuove: noi di nuovo sotto attacco

ROMA Ap alla ricerca di un Macron italiano. Un leader che possa ricalcare in qualche modo le orme del presidente francese, o perlomeno farsi testimonial di un programma europeista e moderato, che vada al di là degli schieramenti. Il candidato numero uno è Parisi. Il fatto che Alfano abbia dato mandato a Lupi di lavorare ad una nuova aggregazione è un segnale che possa essere l'ex Ad di Fastweb il competitor di Renzi da schierare in campo. Ma ci sono altri nomi. «Si dialoga con tutti», ribadiscono da Ap. Il sogno può essere Enrico Letta, ma l'ex premier non ci starà, in Ap ne sono consapevoli. In ogni caso in dieci giorni questo il piano va disegnato il futuro di Alternativa popolare.
Una sfida per la sopravvivenza. Del resto emergono nuovi particolari nel faccia a faccia di qualche giorno fa tra Renzi e Alfano. «Pensavi che io fossi morto gli ha rinfacciato il segretario dem e invece sono qui. Hai scelto un'altra strada, le nostre si sono già divise».

VELENI Ora piovono le accuse, è il tempo della rissa, dei veleni. «Renzi ha detto durante la direzione il ministro degli Esteri si è dimostrato un vero e proprio populista, vuole far prevalere gli interessi personali a quelli del Paese». Per il responsabile della Farnesina il traguardo possibile va oltre il 5%, perché, a suo dire, non sarà soltanto Ap a scatenarsi contro di lui. A condividere la posizione di Alternativa popolare non sono solo i vari Parisi, Cesa, Casini, Tosi, Fitto. «Ci sono imprenditori, intellettuali, politologi, esponenti di FI e perfino del Pd che guardano a noi», ha riferito Alfano. Un intervento, il suo, mosso dalla passione.
Fino alla commozione. «Quando abbiamo lasciato Forza Italia ha ricordato - ci siamo messi in una condizione non facile e lo sapevamo. Contro di me c'è stato un fuoco di sbarramento». Per qualche secondo il leader Ap si è bloccato. Ha ricordato di essere stato nel mirino della «stampa di destra e di sinistra», indicato come «un traditore. E' stata dura, una scelta difficile che rivendichiamo». «Ora ha osservato siamo di nuovo sotto attacco. Ma emergerà tutta l'ingratitudine di Renzi nei nostri confronti».

L'AUTOCRITICA Sul palco sono intervenuti in tanti. Il ministro Lorenzin, i capigruppo Lupi e Bianconi, il sottosegretario Castiglione, molti parlamentari. Interventi anche di autocritica. «Ci siamo sbagliati a fidarci di Renzi. Pensavamo che fosse un leader riformista, si è dimostrato soltanto un opportunista», hanno affermato Pizzolante e Cicchitto. Alfano d'accordo: «Mai più con lui, non faremo più questo errore». Si guarderà avanti. Dalla direzione è arrivata qualche critica per la gestione del partito ma anche la convinzione che «grazie a Renzi siamo di nuovo un popolo unito». Perché questa la consapevolezza «nessuno ora ce la può fare da solo».
Il patto è quello di non cercare casa in qualche altra lista. Ap sarà in cabina di regia nel progetto aggregativo del centro ma non chiederà di esprimere a priori il candidato premier. Il ruolo di primus inter pares difficilmente si deciderà attraverso le primarie: se Parisi sarà disponibile toccherà a lui. Però Ap vorrebbe che si arrivasse ad una federazione non ad un soggetto nuovo. Sul tavolo c'è poi la questione del ricambio. Il leader di Energie per l'Italia è stato chiaro: «Voglio gente nuova». Ci sarà tempo per discuterne. Per ora la linea è quella di attaccare Renzi, affinché si evinca che il suo alleato è Berlusconi, che e' lui a voler far cadere Gentiloni. La battaglia si giocherà sulle preferenze e sul premio di governabilità. «Non ci metteranno all'angolo», la promessa di Alfano ai suoi. Il ministro degli Esteri e' poi andato al ricevimento al Quirinale in occasione della Festa della Repubblica. Non ha incrociato Renzi.

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