È uno strano Abruzzo quello della riforma elettorale: sette circoscrizioni per la Camera, tre per il Senato che solo in parte ricalcano la geografia e la storia della regione. Ma sono rimodellati su principi che non sempre risultano comprensibili e che non piacciono ai parlamentari abruzzesi, che annunciano emendamenti. Prendiamo il Senato. La base di partenza per i tre collegi senatoriali della regione sono gli undici collegi della Camera della legge Mattarella del 1993, disegnati dal ministero dell'Interno e oggi accorpati in maniera non sempre congrua. Nella nuova geografia delle circoscrizioni senatoriali troviamo per esempio Teramo assieme a L'Aquila, Avezzano, Sulmona (con Popoli, Caramanico, Bussi e altri comuni della Val Pescara); Ortona sta ovviamente con Chieti, Lanciano e Vasto, ma ci sono anche comuni del Pescarese come Manoppello e Lettomanoppello. Giulianova sta con Silvi e Pineto, ma ci sono anche Montesilvano e Pescara. Alla Camera, tra i sette collegi uninominali scompare la Valle Peligna divisa tra i due collegi aquilani di Avezzano e L'Aquila. Nel collegio 4, Roseto degli Abruzzi sta con i comuni pescaresi di Bussi, Scafa, Abbateggio, Tocco da Casauria, San Valentino in Abruzzo Citeriore. Il collegio 5 ricalca quasi il progetto della Grande Pescara con Pescara, Montesilvano, Spoltore, Cappelle sul Tavo. Più omogenei i due collegi del Chietino. Il più accesso avversario di questa proposta è il deputato Gianni Melilla (Articolo 1) secondo il quale i nuovi collegi «sono frutto di sciatteria ed improvvisazione, e obbediscono all'unico criterio della corsa al voto, prima possibile». «Siamo alla umiliazione delle ragioni del territorio abruzzese», aggiunge, «chiediamo a Renzi Grillo Berlusconi e Salvini, nessuno dei quali peraltro è parlamentare, di riflettere meglio e consentire alla Regione Abruzzo e agli Enti Locali, tramite Anci e Upi, di fornire una proposta per la nuova legge elettorale. Questa storia non si può chiudere in pochi giorni».Per Stefania Pezzopane, senatrice Pd, «sicuramente servirà un primo passaggio con modifiche sia al testo, per quanto riguarda la legge», sottolinea, «sia ai collegi, che vengono definiti per legge, e non dal Viminale. È una novità e mi fa pensare ad un'accelerazione del voto. Tuttavia non credo», continua la senatrice, «che si possano disegnare dei collegi omogenei, superate le Province. Quello che invece mi preoccupa è che, secondo la legge, chi vince in un collegio uninominale, non è sicuro di andare in parlamento». I collegi, così come sono, non piacciono neanche al sottosegretario alla Giustizia, Federica Chiavaroli (Ap): «Noi proporremo delle modifiche ai territori in maniera omogenea», «che al momento sono stati disegnati con la riga e con la squadra, da chi non li conosce». Ma a Chiavaroli non piace neanche la legge elettorale, che è proporzionale in salsa tedesca. «Io sono per il maggioritario e questa legge non dà né governabilità né rappresentatività».«Sì, i collegi appaiono un po' problematici», nota Andrea Colletti, deputato M5s, «come nella Val Pescara o nel Teramano. Ho presentato degli emendamenti per due Comuni, Pettorano e Pacentro. Comunque si vede che si tratta di una legge fatta in fretta».Per Fabrizio Di Stefano, deputato di Forza Italia, «alcuni collegi regionali sono abbastanza omogenei, ma essendo una legge fatta nel giro di 48 ore, non è in grado di recepire tutte le complessità del territorio. Il Teramano, per esempio, è svantaggiato. Ma devo dire che questo accade anche nelle altre regioni. «Cervellotica», invece, definisce la legge elettorale Tommaso Ginoble, deputato Pd, anch'egli favorevole a collegi elettorali decisi dal Viminale. Secondo Ginoble, la legge è frutto di un «mercanteggiamento fuori da ogni buon senso». Per Paola Pelino, senatrice di Forza Italia, non è il caso, però, di anticipare verdetti. «Aspettiamo», dice la senatrice, aggiungendo che, «qualsiasi collegio mi si dovesse affidare, qualora fossi ricandidata, per me andrebbe bene. Ho lavorato su tutta la regione e problemi non avrei».