ROMA Beppe Grillo li (ri)chiama «portavoce» perché molti parlamentari sembrano essersi dimenticati questa etichetta che si erano cuciti con tanto orgoglio addosso. Come ha detto ieri un portavoce di alto rango «si sono trasformati in pezzi di arredamento di Montecitorio».
Il capo politico del M5S ieri è intervenuto sul suo blog per ribadire che la legge elettorale (a grandi linee) è stata votata dagli iscritti, per cui i parlamentari non possono emendarla in alcun modo. Il quesito votato online, sottolinea Grillo «con oltre il 95 per cento» dei sì, era formulato in modo tale da tenere aperto il dialogo che il M5S sta intavolando con il Pd. Era formulato così: «Siete favorevoli all'approvazione di un sistema elettorale di impianto tedesco rispettoso della Costituzione, eventualmente con l'introduzione di correttivi di governabilità costituzionalmente legittimi?».
Ieri però sul blog è comparsa la versione aggiornata della proposta pentastellata: proporzionale con 5% di sbarramento e divisione tra seggi proporzionali e collegi uninominali con predominanza dei primi per assegnare i seggi. Il che vuol dire: avanti con i capilista bloccati su cui Toninelli aveva ammesso che non rappresentavano più un paletto insormontabile.
Atteggiamento che ha fatto storcere il naso a molti M5S, però. Il mare pentastellato resta in tempesta. E lo testimoniano i commenti, durissimi, degli iscritti. «Lasciagliela fare a loro questa porcata. Teniamoci fuori», scrive Gaetano sintetizzando i mal di pancia che torturano una parte del Movimento. «Questo comunicato puzza di diktat», incalza un altro utente.
LA TRATTATIVA Ora solo Danilo Toninelli ha la procura speciale di Grillo e Casaleggio per poter trattare in commissione Affari Costituzionali. Ai due garanti non è piaciuta per nulla la rivolta dei parlamentari che sono piuttosto disorientati di fronte all'avanzata minacciosa del modello elettorale tedesco per cui ad oggi nessuno è riuscito a decifrare la combinazione perfetta per centrare l'elezione. Vorrebbero le preferenze, ma niente da fare. Per Grillo la rielezione sicura è l'ultimo dei problemi e lo scrive: «Il tedesco non prevede preferenze, ma prevede liste talmente corte da renderle superflue, che sono proprio quelle raccomandate dalla Corte nella sua sentenza ammazza-Porcellum perché in grado di far riconoscere gli eletti agli elettori, e in ogni caso il M5S indirà le parlamentarie online che si svolgeranno su Rousseau. Non ci interessa garantire la rielezione di questo o quell'altro portavoce». Il voto online dovrà quindi far scegliere alla rete chi andrà nei collegi e chi nei listini. Un bel risiko, insomma. Ieri si sono tutti riallineati, in primis Roberto Fico che da Erice dice «Il Movimento nasce per dare voce a chi non ce l'aveva».
Se Grillo stronca sul nascere la dissidenza 5Stelle, crescono i mal di pancia all'interno del Pd. Gli orlandiani premono - e su questo hanno i 5Stelle dalla loro - per cancellare la norma che consentirebbe le candidature plurime. I sette orlandiani preparano pochi emendamenti mirati pur garantendo che non faranno ostruzionismo. «Le pluricandidature non hanno senso se non quello di assicurare un ulteriore maggior controllo ai leader», spiega Giuseppe Lauricella. Luigi Di Maio torna sulla necessità di avere un premio di governabilità. E un altro nodo che potrebbe avere appoggio da più di un partito è quello del voto disgiunto, previsto tra l'altro dal modello tedesco. Il testo Fiano, intanto, continua a non piacere ad una fetta eccellente del centrosinistra italiano. Walter Veltroni ricorda sul Corriere la vocazione maggioritaria del partito: «Con il proporzionale si torna agli anni Ottanta», attacca. «È una legge elettorale peggio della Prima Repubblica, quando almeno si potevano scegliere i parlamentari. Questa volta nemmeno questo potrà essere concesso agli elettori italiani», è il durissimo commento dell'ex premier Enrico Letta. Maria Elena Boschi però è ottimista: «Io sono sempre fiduciosa, quindi spero che l'accordo fra i tre principali partiti possa avere ovviamente un esito favorevole».
Renzi incassa garanzie sull'accordo la data delle elezioni però è in bilico
ROMA Piovono emendamenti al testo messo a punto da Emanuele Fiano, ma l'impianto tedesco della nuova legge elettorale sembra reggere alle contorsioni interne dei partiti. Il fronte che appoggia il nuovo sistema elettorale è molto ampio. Va dal Pd, a FI passando per il M5S e la Lega che formalmente non partecipa alla trattativa anche se il lumbard Giorgetti è in stretto contatto con Renzi.
POSSIBILE I due hanno a cuore non tanto, o non solo, il sistema elettorale quanto i tempi del voto. Renzi, pur sottolineando ad ogni piè sospinto che lo scioglimento delle Camere spetta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, punta alle elezioni a fine settembre o al massimo a fine ottobre qualora si decidesse di lasciare al governo di Paolo Gentiloni il compito di presentare a Bruxelles la legge di stabilità. La Lega di Salvini chiede elezioni da mesi e il sostanziale via libera al sistema tedesco - come prima al Rosatellum - lo ha dato solo per accelerare il più possibile le elezioni.
L'argomento del «voto-subito» appassiona quindi i vertici di Pd e Lega ma molto meno Forza Italia e M5S. Silvio Berlusconi ufficialmente si dice non contrario alle elezioni come d'altra parte deve fare il leader di una forza di opposizione e come è previsto nell'intesa non scritta siglata con Renzi qualche settimana fa e necessaria al Cavaliere per evitare il Rosatellum: sistema tedesco in cambio del voto in autunno. Incassato un sistema elettorale non maggioritario, Berlusconi potrebbe tornare allo schema originario. Ovvero cercare di far proseguire la legislatura per cercare di spuntare la riabilitazione o ex legge Severino o tramite la Corte Europea. Come forza di opposizione poco potrebbe qualora il Pd decidesse di far cadere il governo-Gentiloni, ma è certamente intenzione del Cavaliere lasciare esclusivamente al Pd renziano il non facile compito di far esaurire la legislatura.
Anche i grillini che siedono in Parlamento non hanno fretta di urne a breve preoccupati come sono delle parlamentarie annunciate da Beppe Grillo e delle stringenti regole del Movimento che rischiano di mettere alla porta anche un certo numero di big. Difficile anche per i pentastellati mettersi di traverso qualora il Pd decidesse di chiudere con il governo Gentiloni, ma anche i grillini contribuiranno in Parlamento - specie al Senato - a comporre quel muro di resistenti molto ampio che può far rallentare il cronoprogramma di Renzi.
Il timing renziano prevede che la Camera licenzi la legge a metà della prossima settimana. Il testo passerà poi al Senato dove c'è l'impegno dei capigruppo Zanda (Pd), Romani (FI) e Martelli (M5S) a chiedere al presidente di Palazzo Madama Pietro Grasso una veloce calendarizzazione. Obiettivo del segretario del Pd arrivare all'approvazione della legge entro la prima settimana di luglio, ma il rischio che possa scivolare di qualche giorno è concreto. Occorrerà poi attendere la pubblicazione della legge che al suo interno contiene già la ridefinizione dei collegi. Lo scioglimento delle Camere dovrebbe quindi avvenire in piena estate e il termine massimo di 70 giorni per le urne dovrebbe essere compresso al massimo consentito (45 giorni) per votare il 24 settembre insieme alla Germania ed evitare l'ingorgo tra urne e sessione di bilancio. Con tanto di raccolta delle firme per le liste e di campagna elettorale in piena estate.
Un ingorgo complicato che preoccupa il Quirinale visti i rischi che l'Italia può correre sui mercati e che si vorrebbe evitare fissando il voto il 22 ottobre in modo da far presentare al governo Gentiloni la legge di Bilancio salvo poi farla approvare dal prossimo Parlamento previo assenso del futuro governo.
Ieri l'altro Matteo Renzi, intervistato dal Tg1, su questo punto è stato molto chiaro sostenendo che la legge di Bilancio la può fare questo Parlamento a patto che sia in grado di abbassare le tasse. «Se non è in grado, lo dicano». Ovvero scordatevi che il Pd possa votare leggi di stabilità in stile Monti 2012 e poi andare al voto.
CHIUSA Nel pressing il segretario del Pd è però sostanzialmente solo con i due i partiti d'opposizione, e persino i due (AP e Mdp) che compongono la maggioranza, che non hanno nessuna intenzione di facilitare il percorso dell'ex premier verso il voto. Secondo qualcuno toccherebbe a Paolo Gentiloni risolvere il problema dichiarando di fatto chiusa la stagione del suo governo nato proprio per permettere al Parlamento di fare la legge elettorale.
Si può dare però per scontato che Gentiloni, dopo il varo definitivo della legge elettorale da parte del Parlamento, concorderà le sue mosse con il Capo dello Stato senza strappi ed accelerazioni. Anche perché borse e spread sono sempre in agguato.