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Data: 07/06/2017
Testata giornalistica: Il Centro
L'acqua è un giallo. Anche per gli scienziati. Il direttore dei laboratori di fisica nucleare spalanca le porte ai sindaci. E svela: «Neppure noi conosciamo la mappa dei punti di captazione». Laboratori e A24, decide la Regione. Lolli annuncia: dal 15 giugno l'obbligo di comunicare quello che fanno per essere autorizzati

"Qui si fa di tutto per evitare che l'ambiente contamini gli strumenti di misura e viceversa». Così dice Stefano Ragazzi mentre apre le porte dei laboratori del Gran Sasso a sindaci e consiglieri comunali del Teramano a caccia di inquinamento. E' lui, il direttore dei laboratori dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), a condurre gli amministratori locali, guidati dal presidente della Provincia Renzo Di Sabatino, nelle viscere della montagna: lì dove da metà degli anni '80, immerso nell'immenso acquifero che alimenta gli acquedotti di Teramo e l'Aquila, è operativa la più grande infrastruttura sotterranea di ricerca scientifica esistente al mondo. Ma il giallo dell'acqua, che il 9 maggio ha messo in crisi il sistema idrico di mezzo Abruzzo, cerca ancora risposte. Quelle risposte che ieri sono in parte arrivate.
LA ZONA GIALLA. Il punto maggiormente delicato di questo sistema che costringe a una convivenza, che genera sospetti, l'acqua che finisce nei rubinetti di quasi un milione di abruzzesi, il traforo autostradale e le attività condotte nelle tre grandi sale dell'enorme caverna che disegna un triangolo è il suo vertice alto, quello più lontano dell'ingresso. La zona in cui l'antro, che se fosse svuotato di tutte le apparecchiature tecnologiche per dimensioni sembrerebbe quello di Polifemo, si restringe fino a formare una strozzatura è sbarrata da un'alta ringhiera gialla. «Lì in fondo», fa segno uno dei tecnici dell'Istituto indicando un punto a una cinquantina di metri di distanza, «viene captata l'acqua. Ma noi non possiamo entrare». L'accesso è consentito solo agli addetti di Ruzzo reti, la società acquedottistica teramana, e per evitare qualunque rischio di contaminazione gli scienziati si guardano bene dal mettere piede in quel triangolo di rocce e grosse tubature che corrono lungo il soffitto. Ragazzi confessa che per lui sarebbe molto meglio se l'acqua fosse prelevata altrove. «Dormirei molto più tranquillo», ammette.
QUALE ACQUA? E' il direttore a rivelare che «manca una mappa dettagliata della rete che attraversa i laboratori». E lascia intendere che forse neppure il Ruzzo ce l'ha così chiara. «Non sappiamo quale acqua arriva», aggiunge, «questa invece sarebbe un'informazione da condividere per garantire la massima sicurezza dell'intero sistema Gran Sasso, non solo dei laboratori». A scanso di equivoci, però, l'istituto adotta pratiche cautelative, come avvenuto proprio nel periodo precedente l'allarme del 9 maggio quando, in occasione di lavori all'interno delle sale, l'acqua captata è stata messa in via precauzionale a scarico: smaltita senza finire nelle condotte idropotabili.La contiguità con gli esperimenti in corso nelle viscere della montagna è inevitabile. Sotto l'impianto in cui è ancora in corso l'esperimento "Borexino", da cui nel 2002 si sversò il trimetilbenzene che inquinò la falda, si forma costantemente un accumulo d'acqua. «Per precauzione la raccogliamo in contenitori appositi», dice il direttore, «e la smaltiamo come rifiuto senza stabilire se è contaminata o pulita».
IL COMMISSARIO. Dopo lo sversamento di 15 anni fa e l'inchiesta che portò anche al sequestro della sala C, in cui è ancora installato l'impianto del Borexino, i laboratori sono stati sottoposti a interventi di messa in sicurezza disposti dall'allora commissario Angelo Balducci. I pavimenti delle sale sono infatti attraversati per i venti metri della loro larghezza da un'ampia griglia metallica. «Qui finiscono gli eventuali liquidi che potrebbero disperdersi sul pavimento», spiega Ragazzi, «e che finirebbero in serbatoi di raccolta per essere poi smaltiti come rifiuti». Le acque di sgocciolamento, che trasudano dalla roccia viva, vengono convogliate in specifiche canalizzazioni e messe a scarico. «Anche queste sono comunque sottoposte a un costante monitoraggio, per rilevare la presenza di sostanze inquinanti, e sfociano attraverso un collettore in un impianto di trattamento e depurazione a Casale San Nicola», spiegano gli scienziati. Per l'acqua ad uso potabile, inoltre, è stato attivato un sistema di controllo che, in tempo reale, rileva la presenza di contaminazioni.
L'INCIDENTE. Lo strumento, a detta del direttore dei laboratori, è sensibile e preciso ma una falla nel sistema è emersa comunque il 30 agosto dell'anno scorso. Quando nella rete idrica sono state individuate tracce di diclorometano non rilevate in precedenza. «E' inquietante che se ne sia accorta l'Arta prima di noi», ammette Ragazzi, «ma proprio quel giorno il sistema di monitoraggio era in manutenzione». Il direttore infine annuncia a sindaci e consiglieri che i laboratori di doteranno di un secondo impianto destinato al controllo continuo della qualità dell'acqua evitando che si ripetano incidenti come quello di nove mesi fa. «Poi si tratterà di stabilire», precisa, «cosa far controllare all'apparecchiatura». Ma Ragazzi afferma che, dopo i lavori di messa in sicurezza seguiti all'incidente Borexino, «nessun altro contatto c'è stato tra i liquidi utilizzati nei laboratori e le acque di stillicidio e dell'acquedotto».


Laboratori e A24, decide la Regione. Lolli annuncia: dal 15 giugno l'obbligo di comunicare quello che fanno per essere autorizzati

L'AQUILA«Possibile che non esista una mappa delle acque al di sotto dei Laboratori del Gran Sasso?». La domanda è di quelle destinate a rimanere senza risposta. Almeno nell'immediato. Non c'è un soggetto istituzionale che possa dire con precisione che percorso fa l'acqua al di sotto dei Laboratori di fisica nucleare del Gran Sasso.Una mancata informazione che lascia turbati i sindaci. La confusione è ancora tanta. A porre la domanda è stato uno dei sindaci del Teramano che ieri pomeriggio si sono ritrovati nella sala Maiorana dei Laboratori di Assergi, in una riunione allargata con il vicepresidente della Regione, Giovanni Lolli, il presidente della Provincia di Teramo, Renzo Di Sabatino, il direttore dei laboratori Stefano Ragazzi e il vicedirettore, Antonio Masiero. Quello di ieri è stato il primo passo per mettere in piedi un rapporto più franco fra le istituzioni ed i laboratori, «un'eccellenza che non può essere vista come un pericolo», ha ribadito Di Sabatino, «e che va salvaguardato nella totale sicurezza dei territori e dei cittadini». NIENTE MAPPE IDRICHE. Alla domanda, rivolta con alzata di mano a Ragazzi, è corrisposta un'alzata di spalle: «Non esiste uno schema, perché il sistema idrico sotterraneo non è stato costruito dai Laboratori. Navighiamo nel buio», ha ammesso il direttore, «la nostra impressione è che anche chi gestisce le acque sia al buio, stiamo cercando di ricostruire la mappa sulla base di indizi». E' dall'agosto scorso che il direttore dei Laboratori ha a che fare con episodi che mettono al centro la questione sicurezza del sistema idrico, con un primo caso di presunta "contaminazione", quando l'Arta rinvenne una concentrazione di diclorometano nell'acqua. A porre le domande anche i sindaci di Castelli, Rinaldo Seca (che ha voluto sapere «cosa si deve fare per arrivare a rischio zero?»), e di Isola del Gran Sasso, Roberto Di Marco, che lunedì ha incontrato le mamme preoccupate del suo Comune. Di Marco ha sollecitato anche prelievi nelle acque dei fiumi teramani. SENZA INTERFERENZE. Il vicepresidente Lolli ha ricordato l'obiettivo del tavolo tecnico per la messa in sicurezza del bacino idrico del Gran Sasso che mette insieme, per la prima volta, tutti i soggetti che ruotano intorno ai Laboratori: sindaci, Regione e Autostrade, ma anche lo Stato, che dovrà fare gli investimenti economici e tecnici necessari per trovare un altro modo possibile per captare le acque in modo che non interferiscano con il lavoro dei Laboratori. Ed è il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, l'interlocutore diretto.«Vogliamo arrivare a un sistema senza interferenze», ha precisato Lolli, «e che la tubazione non passi sotto i laboratori e sotto l'autostrada. Questa è un'emergenza nazionale, dobbiamo rendere il sistema indipendente, in modo che non ci sia nessun contatto fra la captazione delle acque, l'autostrada e il laboratorio».Ma per farlo bisogna superare l'attuale sistema di captazione, studiato in passato per eliminare l'acqua che interferiva con i lavori di realizzazione dell'autostrada. SOLUZIONI POSSIBILI. Come? Per la Regione «si tratta di capire come arrivare con una sonda a prendere l'acqua a potenza e volumi sufficienti per fare in modo che avvenga sopra al livello dell'autostrada e non al di sotto, e incanalarla in tubi di acciaio e non, come attualmente avviene, in un tubo di cemento». Per studiare e realizzare un simile progetto, però, ci vuole del tempo.«Abbiamo chiesto ai gestori degli acquedotti (Ruzzo e Gsa, ndc) di dotarsi, intanto, di strumenti in grado di individuare in tempo reale qualsiasi sostanza anomala nell'acqua e di bloccarla immediatamente». PROTOCOLLO D'INTESA. Giovedì 15 giugno la Regione sottoporrà ai Laboratori di fisica e ad Autostrade un protocollo in base al quale «avranno non soltanto l'obbligo di comunicare quello che fanno, ma soprattutto dovranno avere la nostra autorizzazione», ha detto Lolli. In questo contesto entra anche la concessione della Ruzzo, in scadenza a fine anno, che sarà prorogata.

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