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Data: 10/06/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Sì al reddito di inclusione: fino a 490 euro

ROMA Se ne è parlato molto, sono state fatte sperimentazioni, ma ora si può partire: dal primo gennaio 2018 diventerà operativo il reddito di inclusione (Rei), ovvero quello che nelle intenzioni del governo (e degli esecutivi che lo hanno preceduto) dovrebbe diventare a livello nazionale la misura unica di contrasto alla povertà. Uno strumento di cui per lungo tempo si è lamentata l'assenza, rispetto ai sistemi di welfare dei principali Paesi europei: lo introduce nel nostro ordinamento un decreto legislativo, approvato ieri dal Consiglio dei ministri, che attua la legge delega sulla povertà votata nel marzo scorso.

LE COMPONENTI Nonostante il nome, il Rei dovrebbe consistere di due componenti diverse: quella propria mente reddituale, un beneficio economico su 12 mensilità graduato in base alla composizione del nucleo familiare, da 190 a 490 euro mensili (nel caso di un nucleo con 5 o più componenti); ed una serie di servizi che saranno erogati alla persona in base alle sue necessità individuali e familiari (formazione, supporto per l'abitazione e altre) con l'obiettivo di superare la condizione di povertà. Si tratta quindi di una via di mezzo tra le due impostazioni possibili, quella che cerca di affrontare il bisogno con un sussidio monetario e quella che punta invece sui servizi.
Per accedere al Rei sono richiesti un indicatore Isee non superiore ai 6.000 euro e un patrimonio immobiliare (esclusa l'abitazione principale) che non vada oltre i 20 mila euro. Chi lo ottiene potrà lavorare ma non potrà (né lui né i componenti del nucleo familiare) usufruire del Naspi o di un altro sussidio contro la disoccupazione. C'è inoltre una condizionalità, nel senso che l'interessato dovrà rispettare alcuni impegni, come quello di accettare eventuali offerte lavorative o di garantire la frequenza scolastica dei figli. Il beneficio potrà essere concesso per un periodo di 18 mesi, con possibilità di richiederlo nuovamente una volta che ne siano passati altri 6.
Sul piatto il governo si è impegnato a mettere circa 2 miliardi l'anno, ovvero gli 1,7 che si trovano sullo specifico fondo di bilancio alla voce lotta alla povertà più una serie di risorse aggiuntive. All'inizio questo non basterà per tutti i potenziali destinatari (che sono i circa 1,6 milioni di nuclei che ricadono secondo l'Istat nella condizione di povertà assoluta). Avranno quindi la priorità le famiglie che hanno un figlio minorenne oppure disabile, quelle con una donna in gravidanza o con un disoccupato ultracinquantacinquenne: una platea di 660 mila nuclei. Anche il versante servizi richiede uno sforzo finanziario: dovranno ad esempio essere assunti 600 addetti ai centri per l'impiego.

IL DIBATTITO Il debutto del Rei avviene mentre è in corso nel nostro Paese il dibattito su reddito minimo e reddito di cittadinanza. Il Rei punta all'inclusione sociale e si distingue da entrambi questi strumenti, che sono poi a loro volta non sovrapponibili. Reddito di cittadinanza è quello che viene erogato a tutti indipendentemente da reddito e condizione lavorativa; il reddito minimo punta invece ad assicurare a tutti un determinato livello reddituale aggiungendosi eventualmente alle risorse già percepite. Questo tipo di strumento è stato spesso criticato per i possibili effetti di disincentivo al lavoro: le persone potrebbero trovare più conveniente continuare a percepire il sussidio piuttosto che perderlo per accettare un lavoretto che magari frutta un reddito equivalente o di poco maggiore. Paradossalmente questo problema non si pone con il reddito di cittadinanza riconosciuto anche a chi ha redditi molto alti.

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