ROMA Non siamo ancora ai brindisi «perché siamo solo al primo tempo». Ma il centrodestra che va al ballottaggio nei «comuni che contano» è un risultato che apre scenari fino a ieri impensabili. La ricetta vincente è una sorta di ritorno al passato: l'alleanza fra forzisti, Lega e FdI, le candidature espressioni del territorio più che frutto di accordi di vertice, scelte assennate senza l'utilizzo costante del bilancino. È la chimica ha funzionato. Nella rossa Liguria avanza l'onda arancione del modello Toti, il governatore che si propone come federatore e che ha tirato fuori dal cilindro la candidatura di Marco Bucci, un exploit che è valso il 38,8 per cento dei consensi. «Mi piacciono le squadre che giocano all'attacco, penso ad un centrodestra che possa fare un percorso che porti presto a una federazione stretta, ad una lista unica», la butta lì l'ex giornalista Mediaset.
PERNO CENTRALE
Ma gli altri attori della coalizione frenano, a cominciare dal protagonista principale, Silvio Berlusconi. Per il quale si tratta di elezioni amministrative, «molto condizionate da fattori locali, quindi è saggio non trarne indicazioni affrettate a livello politico generale». Rimane alta e preoccupante fa notare il rettore di Arcore - la percentuale degli astensionisti: «quasi un italiano su due non è andato a votare». Inoltre, «nella gran parte delle città i candidati sindaco che approdano al ballottaggio ottengono risultati inferiori al 40 per cento - osserva l'ex premier - Questo significa che l'elettorato continua ad essere frammentato e che questi dati riprodotti su scala nazionale non autorizzano affatto, come alcuni commentatori fanno troppo frettolosamente, a parlare di ritorno al bipolarismo». Tradotto vuol dire: «nessun partito unico con la Lega, il modello resta una coalizione di centrodestra di cui FI rafforzi il suo ruolo di perno centrale». Insomma, altro che coalizione a trazione leghista, come vorrebbe Matteo Salvini. E non solo: per l'ex Cavaliere il grillismo non è affatto battuto, anche se l'effetto Raggi si è fatto sentire perché «il M5S dimostra di non essere forza di governo credibile». Nella testa del leader e non solo nella testa ma numeri alla mano, FI «si conferma nettamente come il primo partito del centrodestra, sia per i voti, sia come radicamento territoriale diffuso in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale». Parole che sembrano sottolineare il flop del Carroccio fuori dal bacino stretto dei suoi aficionados. Se dunque qualcuno poteva pensare che l'onda in certo senso anomala sollevata dal voto di domenica potesse riunire la litigiosa famiglia del centrodestra si sbagliava.
INCIUCELLUM
Giorgia Meloni, senza indugiare troppo sui convenevoli che in genere accompagnano il buon esito di una votazione, non esita a definire Berlusconi e Salvini due «che hanno perso tempo a giocare al piccolo chimico con Renzi». «Se si fossero dedicati all'unità del centrodestra oggi staremmo un bel passo avanti», dice la leader di FdI, che rivendica di essere dei tre, l'unica a non aver sostenuto il cosiddetto inciucellum. E ora? «Tutto dipenderà dalla legge elettorale che verrà fatta», lei avvisa, dicendosi pronta anche a sostenere un listone unico per elezioni in autunno. È necessario trovare una sintesi fra i tre movimenti che compongono la coalizione, «ma stop inciuci». L'esito del voto spinge le coalizioni in direzione ostinata e contraria, verso il maggioritario. Così che Salvini è il primo ad accogliere la proposta dell'alleata Meloni: «se si andasse a votare in autunno, faremo di tutto per avere una coalizione più compatta possibile». Sul Carroccio pesa il flop nelle regioni del Sud che ne circoscrivono le ambizioni. Ed è forse per evitare un'analisi troppo penalizzante che il leader leghista cerca un nemico comune, non Grillo ma Renzi, «lo sconfitto di queste elezioni».