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Data: 26/06/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Un terremoto per il Pd Orlando attacca: adesso primarie di coalizione. Renzi in trincea: basta patti con questa sinistra

ROMA - Una slavina. Un terremoto politico per il Pd, sulla testa del Pd. E non solo per la perdita di Genova. Sono caduti altri importanti capoluoghi magari meno importanti e storici della città della Lanterna, ma quel che più conta e appare è che a uscire sconfitti sono state tutte le alleanze e le strategie possibili da schierare ai ballottaggi o come linea politica. È stata sconfitta sia l'autosufficienza, il Pd che si presenta da solo, sia l'alleanza a sinistra come appunto a Genova, sia l'alleanza più vasta possibile anche con la sinistra estrema, e sia l'appoggio esterno come a Verona, dove il candidato dem non era al ballottaggio e il partito appoggiava la compagna dell'uscente Tosi, avvicinatosi a Renzi da un po'. Niente, tutti perdenti.
PROSPETTIVE
«Abbiamo perso». Non passa molto perché la sconfitta venga ammessa, riconosciuta e non sottaciuta dal vertice dem, per bocca del capogruppo alla Camera, Ettore Rosato. Sconfitta non proprio annunciata, ma neanche a sorpresa, forse non in queste dimensioni, ma comunque cocente abbastanza da resuscitare polemiche, interne ed esterne. Ce n'è quanto basta perché le minoranze interne di Andrea Orlando e Gianni Cuperlo tornino a riaprire il fronte interno. Il Guardasigilli è netto: «Il Pd da solo e isolato perde ovunque, bisogna ricostruire e rilanciare il centrosinistra». Orlando rilancia la sua proposta di primarie di coalizione, un'offerta neanche troppo velata a Pisapia a scendere in campo e a misurarsi per la premiership del centrosinistra ove mai si tentasse di risuscitarlo («ma non è più tempo di coalizioni o di Ulivi», ha stoppato sul nascere Matteo Orfini, il presidente del Pd), quando si tratterà di andare alle elezioni politiche. Un modo, soprattutto, per segnalare che ormai con Renzi si perde, anche se non si capisce con chi si vincerebbe, a questo punto. Entrambi, Orlando e Cuperlo, saranno presenti in prima fila alla convention pisapiesca del primo luglio a Roma, dove l'ex sindaco di Milano dovrebbe finalmente mostrare le carte e annunciare quel listone a sinistra del Pd di fatto già deciso e in fieri, formato da bersaniani e dalemiani ma non da Sinistra italiana di Fratoianni il quale, complice la legge proporzionale con la quale verosimilmente si andrà a votare, tenterà l'avventura da sola.
POLEMICHE
L'Espresso ha raccontato che, contumace il segretario Renzi andato in vacanza, Orlando abbia fatto un comizio a Genova davanti a una settantina di persone, ma a La Spezia, altra sconfitta che brucia, si tratta direttamente della sua Liguria. Si riapre il fronte interno dello scontro nel Pd? Le premesse ci sono tutte, nessuno al momento, e verosimilmente neanche dopo, è arrivato a chiedere le dimissioni del segretario, l'obiettivo sembra essere un altro, arrivare alle elezioni senza Renzi che ripropone la sua premiership. Una netta discontinuità di linea politica chiede Cesare Damiano, anch'egli della minoranza. Mentre Miguel Gotor di Mpd sottolinea «Renzi fugge, chi semina vento raccoglie tempesta. Ci vuole cambiamento del centrosinistra».
Di ben altro avviso, ovviamente, non solo i renziani ma tutta la maggioranza che sostiene il leader e che ha appena vinto le primarie di partito. «Il Pd è l'unico argine al populismo, specie questo a trazione leghista», tra i primi commenti a voce alta al Nazareno sede del Pd. Qualcun altro sottolinea come «c'è tanta gente in giro che vuole la distruzione del Pd, considerato l'unico argine a queste due destre che si scambiano i voti ai ballottaggi, il centrodestra classico e il grillismo, l'anno scorso fu al contrario, i primi votarono i secondi che ora ricambiano il favore». Come contrapporsi? «Non certo con alleanze spurie, che l'elettorato o non premia quando va a votare, oppure non capisce e si rifugia nel non voto e nell'astensione». A tarda notte il vice segretario Maurizio Martina detta una parte di linea: «È la destra a trazione leghista il nostro vero avversario».

Renzi in trincea: basta patti con questa sinistra

ROMA «Adesso? Si va avanti sino al 2018». Il tono fa comprendere che la risposta non sarebbe cambiata anche se a Genova il centrosinistra avesse vinto. «Un voto a macchia di leopardo, poteva andare meglio - sostiene a tarda notte su Facebook - ma le politiche sono altra cosa». Il secondo turno delle amministrative Matteo Renzi lo ha seguito dalla poltrona della casa di Rignano. La liquefazione dei grillini due settimane fa ha avuto sui leader dei due schieramenti tradizionali un effetto tranquillizzante da chi ha passato il turno ed è contento comunque di essere andato in finale. Ovvio che Renzi avrebbe voluto il podio in più capoluoghi, ma è convinto che l'analisi della sconfitta a Genova, e non solo, debba farla tutta la sinistra e non solo il Pd. Ovvio anche che il segretario ricordi le vittorie al primo turno ottenute a Palermo e Cuneo, ma dalla elezioni Europee in poi la curva dei consensi soffre, mentre nel partito si alzano voci critiche che evocano primarie anche se perse poche settimane fa.
IL FESTIVAL
Essere paragonati a «comari da ballatoio» può non piacere, ma il risultato di ieri dimostra che l'offerta complessiva della sinistra non sfonda e che la massa del non voto potrebbe presto prendere altre strade, come dimostra a Lucca l'8% preso al primo turno dai neofascisti di CasaPound. D'altra parte mentre la scorsa settimana Crivello a Genova cercava voti per battere Bucci, i partiti della sinistra che aspirano a governare il Paese, hanno continuato con il festival degli insulti, dei veti e controveti, con una serie di personaggi dalle mille stagioni pronti a sostenere tutto e il contrario di tutto pur di rimanere su piazza. «Più che la concorrenza temiamo le divisioni a sinistra», disse qualche giorno fa il portavoce del Pd Matteo Richetti. E la profezia sembra avverarsi con la sinistra dei turigliatti pronta a spianare la strada stavolta non più ad una nuovo Cavaliere ma ad una destra sovranista frutto della saldatura tra nostalgici, leghisti e grillini con l'albero genealogico a destra.
Una rissa che a Genova, come a Parma o Taranto, più che spostare elettori ha convinto tanti a restare a casa. «Qualcuno dirà che ci voleva la coalizione, ignorando che c'era la coalizione sia dove si è vinto, sia dove si è perso», sostiene il segretario del Pd. E così anche stavolta, Pd, Mdp, e SI pagano la disaffezione da secondo turno che una volta affliggeva solo il centrodestra che invece riprende quota, ma a trazione leghista e con sempre più frequenti strizzate d'occhio ai partiti, che grillina che non vota lo ius soli e lancia a Roma una campagna mediatica contro i campi-rom. Senza liste civiche e con alleati-coltelli, il compito degli aspiranti sindaco di centrosinistra si è rivelato in salita persino a L'Aquila. E mentre Berlusconi sosteneva in tv di volere Salvini ministro degli Interni di un futuro governo di centrodestra, Speranza attaccava Gentiloni annunciando di preferire una legge di Bilancio votata da Pd e FI.
I FLUSSI
Il numero secco dei capoluoghi vinti e persi è pesante anche se nei comuni più piccoli il dato è controverso e toccherà a Matteo Ricci, responsabile enti locali del Pd, analizzare i flussi elettorali. Ciò che però per Renzi emerge è il compattarsi di un blocco sovranista che taglia il centrodestra e si salda con il M5S e la difficoltà del Pd a sostenere e spiegare all'elettorato ammucchiate più che alleanze. L'analisi più politica sui risultati, che il segretario del Pd considera amministrativi, Renzi intende farla venerdì e sabato alla riunione dei Circoli del Pd organizzata a Milano. Un appuntamento che Renzi ritiene importante in vista di quella campagna elettorale «pacata e civile, tutta di contenuti» che intende svolgere in autunno. E di idee e proposte Renzi va a caccia in queste settimane convinto che le elezioni politiche ci saranno il prossimo anno e che dopo il fallimento del sistema tedesco sarà difficile rimettere mano ad una legge elettorale.
Su questo punto il pressing del Cavaliere è fortissimo. Berlusconi vorrebbe recuperare l'intesa sul sistema tedesco, ma il segretario del Pd di tentativi «doverosi» pensa di averne fatti fin troppi e la ritrovata sintonia con Romano Prodi gli impedisce nuove corse in solitaria. E così è convinto che il problema non sta nel Pd se il Quirinale avrà da dire qualcosa se si andrà a votare con i due consultellum. Come non sta solo al Pd tenere in piedi il governo al momento del voto sulla legge di Bilancio che «non passerà mai con i voti di Pd e FI».

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