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Pescara, 24/07/2024
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Data: 30/06/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Generazione 80, al lavoro fino a 70 anni e al ritiro il 30% di soldi in meno dei padri

ROMA Guai ai nati negli anni '80. E, ovviamente, peggio ancora per le classi successive. Il graduale passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo (il meccanismo fu messo in moto nel '96) ha scavato un solco profondo tra i destini previdenziali di coloro i quali navigano intorno ai 40 anni (e a scendere) e quelli dei loro padri o fratelli maggiori. Questi ultimi sono andati in pensione, o si apprestano a farlo, con pensioni significativamente superiori e in età ancora relativamente giovane. Le generazioni future avranno trattamenti inferiori e resteranno al chiodo molto per molto più tempo.
LO STUDIO
I numeri dell'Inps parlano chiaro. Un'indagine a campione realizzata su 5 mila lavoratori nati nel 1980 e con una prospettiva di pensionamento nel 2050 fa emergere che chi oggi ha 35-37 anni prenderà nell'intera vita pensionistica, in media, un importo complessivo del 25-30% inferiore rispetto a quella della generazione precedente (i nati intorno al 1945) pur lavorando fino a 70 anni e oltre. L'impatto sull'assegno è ovviamente amplificato a seconda degli scenari considerati, con un appiattimento degli assegni verso il basso in caso di buchi contributivi di 10 anni o di una crescita del Pil in termini reali dell'1% anziché dell'1,5% considerato nello scenario base della Ragioneria generale del ministero del Tesoro.
I CALCOLI
I calcoli fatti dall'Istituto guidato di Tito Boeri disegnano uno scenario da vero e proprio scontro generazionale. Circa tre su quattro dei pensionati nati nel 1945 è uscito dal lavoro prima dei 60 anni. Mentre per chi è nato nel 1980 le proiezioni dicono che sarà possibile andare in pensione prima dell'età di vecchiaia (almeno 70 anni nel 2050) in meno del 40% dei casi. Ma si potrebbe arrivare fino a 75 anni. Insomma, sarà più basso il trasferimento pensionistico complessivo dei lavoratori attuali, che godranno di un tasso di sostituzione medio intorno al 62% (vicino al 63% dell'attuale media Ocse) ma lontano dall'80% circa delle pensioni oggi vigenti in Italia). Tra l'altro l'importo medio passerà dagli attuali 1.703 euro lordi al mese a 1.593 euro. Insomma si prenderà molto meno e lo si incasserà molto più tardi. L'istituto ha calcolato anche un «importo medio comparabile» che tiene conto del fatto che i giovani di oggi prenderanno la pensione per meno tempo, rispetto ai giovani di ieri. Tenendo conto di questa differenza, l'importo medio della pensione di oggi risulta pari a 2.106 euro, cioè un quarto in più rispetto a chi lo prenderà in futuro. Come a dire che, senza correttivi, il divario tra generazioni è destinato ad allargarsi sempre di più. «Il vero problema spiega Michele Raitano, docente di Politiche economiche dell'Università La Sapienza non è il meccanismo del retributivo in quanto tale. Ma il fatto che le generazioni che si affacciano sul mercato del lavoro avranno carriere molto più precarie rispetto alle vecchie generazioni. Vite lavorative meno fortunate in termini di frequenti periodi di non lavoro puntualizza l'economista , bassi salari, anche a causa di contratti part-time involontari, e aliquote di contribuzione ridotte si rifletteranno in una pensione di importo proporzionalmente più basso rispetto a chi, al contrario, non dovesse incontrare difficoltà occupazionali, versasse sempre aliquote piene, come i dipendenti, e percepisse retribuzioni di livello adeguato». Tanto è vero, conclude Raitano che «alcune simulazioni mostrano che con carriere piene e lunghe nel contributivo il rapporto fra pensione e ultima retribuzione sarebbe simile a quello del precedente schema retributivo».

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