Iscriviti OnLine
 

Pescara, 24/07/2024
Visitatore n. 738.562



Data: 05/07/2017
Testata giornalistica: Il Messaggero
Malattia, ora spunta l'autocertificazione. Le assenze inferiori ai quattro giorni sono oltre il 30 per cento dei casi

ROMA Tutto cominciò la mattina del 6 marzo del 2013 quando nella tranquilla Piacenza venne arrestato un agente della polizia penitenziaria. La notizia emerse dalla rapida conferenza stampa nella quale il magistrato spiegò che l'arrestato curava i suoi traffici privati soprattutto durante i giorni di malattia chiesti, molto spesso e sempre per telefono - senza visita - al suo dottore di base. Peccato che l'agente fosse intercettato. Col risultato di inguaiare fino al collo il medico per truffa e violazione (la mancanza della visita) del decreto legislativo 165 del 2001. Da quattro anni il medico è sotto processo e rischia la radiazione. Accadde ancor peggio a Roma, nella notte del Capodanno 2015 quando 767 vigili non si presentarono al lavoro, molti con la giustificazione di certificati medici ottenuti rocambolescamente proprio il 31 dicembre. Possibile? La Procura non ci mise molto a scoprire approssimazioni e irregolarità di ogni genere e indagò 59 medici per falso rinviandone a giudizio 22 per truffa.
CENTINAIA DI EPISODI
Sono solo due delle centinaia di episodi che non finiscono sui giornali ma che stanno mettendo a soqquadro gli Ordini provinciali dei medici: possibile che un dottore possa bruciare la sua carriera non per una diagnosi errata ma per un burocratico certificatino?
E' possibilissimo. Al di là delle truffe, il fatto è che ogni anno i certificati in Italia ammontano alla bellezza di 18 milioni (è la media degli ultimi 5 anni) e ogni lunedì che Dio manda in terra si tocca il picco settimanale perché gli italiani ne chiedono 120.000 che sommergono regolarmente i 70.000 medici di base.
Che fare? Complici le elezioni in arrivo, il Parlamento ha deciso di esaminare (il che non vuol dire approvare) una proposta di un senatore toscano ex 5Stelle che si chiama Maurizio Romani. «Sto riflettendo se ripresentarmi alle prossime politiche - sorride Romani - Ma non ho conflitti d'interesse perché non firmavo certificati da medico e questa mia proposta risale all'autunno del 2015. E' semplice: trovo giusta questa battaglia dei colleghi». Il suo disegno di legge prevede due cose. Primo: il cittadino può autoassegnarsi fino a tre giorni di malattia comunicandoli al medico che a sua volta ne invia notizia all'Inps. Secondo: addio alla truffa poiché i certificati vengono depenalizzati. «Dobbiamo responsabilizzare i cittadini non condannare i dottori - spiega il vicepresidente dell'Ordine dei medici, Maurizio Scassòla - Oppure copiare il Canada dove chi non fa il furbo con false malattie può andare in pensione prima». «L'attuale sistema non funziona - aggiunge Augusto Pagani, non a caso presidente dell'Ordine di Piacenza - Come fa un medico a non dare riposi di fronte ad una dichiarazione di un suo paziente relativa a una vertigine, al mal di testa, a dolori mestruali? Per combattere l'assenteismo serve qualcosa di più sistemico, qualcosa che combatta davvero i furbi».
Chiacchiere per mascherare una classica battaglia corporativa? Il sistema delle imprese da sempre chiede ai medici di filtrare i furbi. Tuttavia qualche azienda, come l'Ibm, accetta l'autocertificazione fino a due giorni di assenza e la Ferrari in funzione anti-furbi aumenta i già sostanziosi premi del 5% per chi non si assenta neanche per un giorno in un anno.
Il giuslavorista Michele Tiraboschi la pensa così: «Il tema va intrecciato con la trasformazione del mondo del lavoro. Siamo nel tempo dello smart working, del lavoro agile, della responsabilizzazione, del lavoro per obiettivi. Già adesso alcuni contratti collettivi di lavoro, come quello del Commercio, hanno alleggerito controlli e garanzie sulle assenze brevi per malattia, prevedendo una sorta di autocertificazione. Ma per impedire abusi, dopo 3-4 volte nell'anno, tali assenze sono pagate la metà».

Le assenze inferiori ai quattro giorni sono oltre il 30 per cento dei casi

ROMA I dipendenti pubblici si ammalano di più di quelli privati. E, soprattutto, hanno un record nelle assenze che durano soltanto un giorno. Gli ultimi dati disponibili li ha pubblicati la Cgia di Mestre che ha elaborato tutte le informazioni rese disponibili dall'Inps e dalla Ragioneria generale dello Stato, fino al 2015. Secondo il dossier messo a punto dagli artigiani di Mestre le assenze per motivi di salute nel pubblico impiego registrate nel 2015, hanno interessato il 57 per cento di tutti gli occupati. In pratica, durante l'anno, si è assentato dal lavoro un dipendente su due. Nel settore privato, invece, solo il 38 per cento dei dipendenti si è assentato per malattia durante l'anno, poco più di un lavoratore su tre, mentre la percentuale di chi si è assentato per solo un giorno è di soli 12,1 punti.
LA SORPRESA
Se invece si prendono in considerazione le malattie che durano da due a tre giorni, le percentuali tra il pubblico e il privato si avvicinano molto. Se tra gli statali questa durata è stata registrata nel 36,5 per cento dei casi, nel privato si arriva al 32,1 per cento. Nelle assenze più lunghe, quelle tra quatto e cinque giorni, c'è invece il sorpasso del settore privato su quello pubblico: il 23,4 per cento dei dipendenti delle imprese contro il 18,2 per cento degli statali. Se si prende in considerazione il pubblico impiego, c'è anche un altro dato che salta agli occhi nelle elaborazioni della Cgia di Mestre. Si tratta della distribuzione geografica delle assenze. Dei cinque milioni di «eventi» registrati nel 2015, si legge nel rapporto, il 62 per cento circa è riconducibile a dipendenti del Centro Sud. Un dato ancora più interessante se si va a vedere quello che invece accade nel settore privato. In questo caso la statistica si capovolge. Dei quasi 9 milioni di assenze registrate, circa il 57 per cento è imputabile agli occupati del Nord. Gli artigiani di Mestre hanno anche ricordato le differenti regole per le malattie tra il settore pubblico e quello privato.
IL MECCANISMO
Nel primo caso la legge Brunetta prevede che per le assenze per malattia inferiori o uguali a dieci giorni, venga corrisposto esclusivamente il trattamento economico fondamentale con decurtazione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento economico accessorio. Insomma, la decurtazione dello stipendio per malattia riguarda sempre i primi dieci giorni di assenza, anche se la malattia dura più di dieci giorni, e viene applicata ogni volta che c'è un'assenza giustificata da un certificato medico.
Nel privato, invece, le regole sono diverse. Tocca all'Inps versare al lavoratore una parte della sua retribuzione. La quota dipende da diversi fattori: dalla qualifica contrattuale, dal settore di appartenenza e dalla durata dell'evento. In generale, comunque, i primi tre giorni sono a carico dell'azienda, mentre dal quarto al ventesimo giorno, l'Inps copre la metà della retribuzione. Per le assenze più lunghe, fino a sei mesi, l'Istituto di previdenza sociale arriva a coprire il 66,6 per cento dello stipendio. Sempre secondo le tabelle della Cgia, nel 2015, nel pubblico impiego, si sono resi irreperibili alla visita fiscale 163 dipendenti.

www.filtabruzzo.it ~ cgil@filtabruzzo.it