ROMA Cresce la pressione per rinviare l'aumento dell'età pensionabile a 67 anni, che scatterebbe automaticamente nel 2019 per effetto dell'incremento dell'aspettativa di vita. Anche se il governo ha già mostrato una posizione più che cauta, il tema sarà sul tavolo del nuovo incontro con i sindacati in calendario oggi. L'ordine del giorno comprende i punti individuati nel verbale dello scorso 28 settembre e rinviati alla fase due, quella appena iniziata. Sempre oggi è in programma una conferenza stampa convocata dagli ex ministri del Lavoro Cesare Damiano e Maurizio sacconi, che pur militando uno nel Pd l'altro in Forza Italia convergono nella richiesta di evitare almeno per ora il salto a 67 anni. «È un tema molto sentito dai cittadini, che incide pesantemente sulle loro vite», hanno fatto sapere. In realtà il verbale, che ha già prodotto le misure sulla quattordicesima, quelle sull'anticipo pensionistico (Ape) e altre ancora, parla sul punto specifico di «valutare la possibilità di differenziare o superare le attuali forme di adeguamento per alcune categorie di lavoratrici e lavoratori in modo da tenere conto delle diversità nelle speranze di vita». Intanto però l'incremento del 2019 scatterebbe per tutti: secondo le norme del 2010 poi recepite nella legge Fornero l'adeguamento è automatico in base alle tendenze demografiche registrate dall'Istat; e secondo le ultime rilevazioni - nonostante la parziale inversione di tendenza del 2015 - i mesi in più sarebbero ben cinque e porterebbero dunque l'attuale requisito per la vecchiaia da 66 anni e 7 mesi a 67 tondi. Per fermare questo passaggio servirebbe però un rapido intervento legislativo, perché il relativo decreto ministeriale va comunque emanato entro l'anno (i dirigenti che non lo facessero rischierebbero il danno erariale). Per l'esecutivo si tratta comunque di una materia molto delicata, anche a livello europeo.
LA LEGGE DI BILANCIO
Gli altri temi in discussione, che dovranno eventualmente essere tradotti in provvedimenti legislativi con la prossima legge di Bilancio, comprendono una sorta di pensione di garanzia per i giovani, la valorizzazione del lavoro di cura ai fini previdenziali, la separazione tra previdenza e assistenza, interventi per la flessibilità all'interno del sistema contributivo e una nuova spinta alla previdenza complementare. Proprio quest'ultimo filone potrebbe vedere una certa convergenza di posizioni al tavolo, anche perché alcune delle misure possibili hanno un costo limitato o nullo per il bilancio dello Stato. Il rilancio delle adesioni ai fondi integrativi aprirebbe potenzialmente un ulteriore canale di flessibilità (in alternativa all'Ape ma anche in combinazione con esso), permettendo ad un certo numero di lavoratori di anticipare di fatto l'uscita sfruttando la pensione di scorta in attesa che scatti quella obbligatoria: questo può avvenire con strumenti che già esistono come la rendita integrativa temporanea anticipata (Rita) o con ulteriori meccanismi. Per aumentare la massa critica della previdenza complementare potrebbe essere valutato, come strumento estremo, un ulteriore semestre di silenzio-assenso per il conferimento del Tfr, come quello che ci fu nel 2007.
Altro nodo importante per i sindacati è la parificazione fiscale tra dipendenti privati e pubblici: questi ultimi per un buco legislativo non godono della tassazione agevolata sulle prestazioni e dunque pagano la più onerosa aliquota marginale Irpef (dal 23 per cento in su) invece del 15 per cento (o meno).